Rodčenko e Raetz al Museo d’Arte della Svizzera italiana di Lugano per conoscere due artisti, uno russo e l’altro svizzero, grazie a opere che coniugano le arti visive con la tipografia e la calcografia.

di Barbara Bernardi

Fino all’8 maggio 2016 il Museo d’Arte della Svizzera Italiana nella sede del LAC, (ricordiamo che partner principale del MASI Lugano è Credit Suisse), documenta con la mostra Aleksandr Rodčenko il lavoro di uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia russa: 300 opere tra fotografie, fotomontaggi, collage, stampe offset. Nato a San Pietroburgo nel 1891 da una famiglia modesta, l’artista èuno dei principali esponenti del costruttivismo russo (prima metà del ‘900), che credevano fermamente che l’arte dovesse avere una funzione sociale.
E in effetti l’avanguardia russa del ‘900 è stato un fenomeno unico e Rodčenko è stato indubbiamente uno dei principali generatori di idee. Pittura, design, teatro, cinema, tipografia, fotografia: tutti i campi da lui sperimentati e trasformati e radicalmente aperti a nuovi percorsi di sviluppo.

Manifesto per la birra Trechgornoe, 1923

Manifesto per la birra Trechgornoe, 1923

Dopo aver frequentato la scuola d’arte di Kazan si cimenta nei primi disegni astratti; nel 1917 è fra i fondatori dell’Unione degli artisti e pittori e segretario della Federazione della Sinistra. Dal 1918 al 1922 espone nelle più importanti mostre dell’avanguardia sovietica e contribuisce all’elaborazione dei principi del Costruttivismo. Dal 1923 lavora come grafico e introduce il fotomontaggio nell’illustrazione di libri, riviste, nei manifesti pubblicitari e di propaganda. Dal 1924 inizia a dedicarsi alla fotografia. Già dal 1921 abbandona la pittura e si dedica all’arte “produttivista” (grafica e pubblicità, design d’oggetti, scenografia per cinema e teatro).

Progetto per la copertina del libro Di questo, di Majakovskij, 1923

Progetto per la copertina del libro Di questo, di Majakovskij, 1923

Negli anni ‘30 e ‘40 lavora come fotoreporter per giornali e riviste insieme alla moglie Varvara Stepanova. Muore a Mosca nel 1956.
Fotomontaggio e collage erano mezzi di comunicazione efficientissimi nella Russia di quel periodo, in cui gran parte della popolazione era analfabeta, per manifesti e copertine (in particolare, divenne il grafico principale della rivista “Lef” di Vladimir Mayakovsky) in linea con i principi del movimento costruttivista russo. I collage erano basati sui principi dell’organizzazione compositiva; materiali collocati in diagonale, schemi lineari e lettura incrociata. Imponendo una sequenza di lettura usando accenti grafici come collegamenti compositivi tra le righe e posizionando i testi uno sotto l’altro secondo vari livelli, creando immagini pubblicitarie o di propaganda che stupiscono ancora oggi per la loro grande attualità.

Fotografie ‘storte’

Il planetario di Mosca, 1929

Il planetario di Mosca, 1929

Nel 1924, quando decise di abbandonare la pittura in favore della fotografia, con la sua Leica iniziò a fotografare la Russia da prospettive diverse rispetto agli standard: fu il primo a scattare fotografie storte. Il “metodo Rodčenko” è caratterizzato dalla composizione diagonale, da scorci e punti di ripresa insoliti, dal basso verso l’alto e viceversa, dall’ingrandimento di dettagli che mettono in luce aspetti della realtà industriale. Ma tutte queste attività non bastavano per soddisfare l’artista. Nel 1937 scrive: “ho pensato molto e ho deciso che c’è bisogno di un’altra svolta decisiva nella mia arte. Bisogna fare qualcosa di molto caloroso, umano, universale, in risposta all’avanzata di fascisti, leccapiedi e burocrati! Ogni problema è visto da un punto di vista politico. È troppo. L’arte andrebbe gestita da stimolare la creatività, le idee di ampio respiro”.
Entra quindi nei circhi e nei teatri, unici luoghi dove fantasia e immaginazione potevano trovare spazio, e gli scatti degli artisti circensi sono tristi, sorridenti ma goffi, grotteschi, quasi tragici. Nell’autobiografia Bianco e nero del ’39, Rodčenko sottolinea tristemente che “un paese socialista non avrebbe bisogno di ventriloqui, illusionisti, giocolieri? Di tappeti, fuochi d’artificio, planetari, fiori, caleidoscopi?”

L’ arte del bulino

Raetz- Due Poli, bulino, 1994-2014

Raetz- Due Poli, bulino, 1994-2014

La seconda mostra è dedicata all’artista bernese Markus Raetz (1941), fra i maggiori protagonisti nel panorama contemporaneo dell’arte svizzera, ed è la prima mostra monografica ospitata dal MASI Lugano, visitabile fino al 1° maggio 2016.
A partire dalla fine degli anni ’60 Markus Raetz ha sviluppato un percorso creativo incentrato sulla relazione fra l’osservatore e l’opera, dando vita a un insieme coerente di lavori che si interroga, e ci interroga, sulla relatività della visione e le diverse prospettive dalle quali si può osservare il mondo.

Un affascinante cammino raccontato con oltre 150 opere.

Raetz - Défense d’y voir, acquaforte e acquatinta, 1980

Raetz – Défense d’y voir, acquaforte e acquatinta, 1980

Ampio spazio viene dedicato all’opera incisa di Raetz, ambito artistico prediletto dall’artista che negli anni ha esplorato le varie tecniche calcografiche sperimentando nuove applicazioni volte a ottenere una libertà creativa non sempre raggiungibile attraverso la pittura e il disegno. Dalle importanti serie realizzate negli anni settanta, quando apprende e perfeziona le principali tecniche incisorie in seguito al soggiorno presso la Gerrit Rietveld Academie di Amsterdam, fino ai più recenti e meditativi studi dedicati alla difficile arte del bulino, la mostra include opere realizzate con la più grande varietà di tecniche: dall’acquaforte all’acquatinta, dalla punta secca all’eliografia.

Nell’immagine sotto al titolo: Aleksandr Rodčenko – Pubblicità per la sezione di Leningrado della casa editrice di Stato, 1925, con ritratto di Lilija Brik, musa ispiratrice di Vladimir Majakovskij