L’invenzione della stampa a caratteri mobili degli spartiti musicali
(il testo che proponiamo è liberamente tratto dalla monografia scritta nel 2001 da Franco Mariani in occasione del V centenario dell’invenzione della tipografia musicale)
Con l’inizio del terzo Millennio si celebrò il quinto centenario di un avvenimento importante nel campo della tipografia, secondo forse solo all’innovazione apportata da Gutenberg alla stampa del libro: nel 1501 infatti a Venezia lasciava i torchi una raccolta di musica a stampa, l’antologia di 96 chansons polifoniche ´Harmonicae Musices Odhecaton‘, per la prima volta realizzata con caratteri mobili dal tipografo-editore Ottaviano Petrucci da Fossombrone (1466 – 1539).
Un nome ancora oggi poco conosciuto ai più, ma ben noto a quanti si interessano di storia della musica. Il metodo di Petrucci consiste di 3 impressioni successive: i righi, le note, le parole con le iniziali, i numeri di pagina e di registro. Le difficoltà del sistema richiedono la massima accuratezza, ma il risultato è bellissimo.
Ma vediamo ora chi era questo Gutenberg della musica, e come si stampava la musica nel Quattrocento.
A Magonza, nel 1457, Johannes Fust e Peter Schoeffer stampano il Salterio, opera che comprendeva anche una parte cantata. Qui ai righi stampati al torchio furono aggiunte successivamente a mano le note. Quindici anni più tardi appare, sempre in Germania, il Collectorium super magnificat, stampato da Fyner usando note musicali fuse come i caratteri, ma con i righi tracciati a mano in un secondo tempo. Subito dopo, a Roma Ulrich Han (Gallo) stampa il Missale romanum (1476) che, come recita il colophon “…con il metodo dell’arte nuova venne composto e stampato insieme con il canto, il che mai era stato fatto“. L’effetto finale non è entusiasmante essendo il risultato di una stampa con matrici lignee dal disegno piuttosto grossolano e dalle dimensioni irregolari.
I tentativi per raggiungere esiti soddisfacenti si susseguirono, ma sempre con dubbi risultati ed era ormai acquisito che il miglior modo di stampare musica “figurata”, cioè composta da note e canto, fosse quello di stampare solo due delle tre componenti (righi, note, testo del canto) e tracciare a mano la parte restante.
Ottaviano Petrucci fa la sua comparsa a Venezia alla fine del secolo. Della sua giovinezza si sa poco: nato nel 1466 a Fossombrone, tra Fano e Urbino, ebbe modo di conoscere anche la corte del Duca Federico del Montefeltro.
Il fatto che Ottaviano abbia frequentato la nobiltà locale, e fors’anche a Urbino la corte del duca e poi di suo figlio Guidubaldo, è un’ipotesi sostenibile considerando la fiducia riposta in lui dai duchi Della Rovere, successori dei Montefeltro, nel corso della sua vita; per contro non trova corrispondenza nel mestiere che Ottaviano intraprende.
Nel 1490 circa si trasferì a Venezia sembra per apprendere l’arte tipografica, anche se a ventiquattro anni era un po’ tardi, allora, per imparare un mestiere; in effetti cosa abbia fatto Petrucci fino al 1490 rimane un mistero. Tuttavia sulla Laguna ottenne il privilegio di stampa per stampare musica a caratteri mobili secondo il metodo a tre passaggi da lui inventato e utilizzato nella sua prima pubblicazione.† è dunque possibile che il Petrucci si sia trasferito a Venezia già conoscendo la tipografia. Eppure, per quanto se ne sa, la stampa fu introdotta a Urbino solo nel 1490, e quindi troppo tardi per Ottaviano. Nel 1476 a Cagli, prossima sia a Urbino che a Fossombrone, era stata attiva una tipografia che però non ebbe vita lunga e quindi sembra da escludere che abbia potuto compiervi un apprendistato.
Ottaviano a Venezia
Si può almeno supporre che se non conosceva la tipografia, conoscesse almeno la musica.
Certo è che Venezia in quel periodo è la capitale italiana della stampa: proprio in quegli anni dopo Giovanni e Vindelino da Spira, era giunto Nicolas Jenson, la cui stamperia fu acquistata da Andrea Torresani da Asola con cui entrò in società Aldo Manuzio, che ne sposò poi la figlia.
Certo è che Venezia in quel periodo è la capitale italiana della stampa: proprio in quegli anni dopo Giovanni e Vindelino da Spira, era giunto Nicolas Jenson, la cui stamperia fu acquistata da Andrea Torresani da Asola con cui entrò in società Aldo Manuzio, che ne sposò poi la figlia.
In quel periodo, a parte alcuni anni in cui infierì la peste, Venezia era città ricca e fiorente di attività artigianali e artistiche che godevano di protezione e favori. Il benessere raggiunto favoriva un tenore di vita elevato nel quale trovavano posto feste, canti, rappresentazioni musicali e musici e letterati che approdavano da più parti a San Marco erano tenuti in grande considerazione. Agli stampatori la Serenissima accordava privilegi e nel retroterra, da Treviso a Toscolano sul lago di Garda, era possibile approvvigionarsi della carta necessaria, di buona qualità. Le opere realizzate godevano di un vastissimo mercato di vendita, in pratica tutte le terre toccate dai mercanti veneziani, tanto che nell’ultimo quarto del secolo operarono in laguna più di centocinquanta tipografie, contro la trentina di Roma, poco meno di cinquanta a Bologna e una ventina a Firenze.
Non si sa cosa abbia fatto e chi abbia frequentato Petrucci appena giunto a Venezia; dalle due lettere che presentano la sua prima opera si deduce che si era bene inserito negli ambienti culturali veneziani, così come è verosimile che abbia incontrato e frequentato due suoi concittadini, Bartolomeo Budrio e Franceco Spinaccino, personaggi interessanti per le rispettive attività: tipografo il primo, maestro di liuto il secondo (del quale Petrucci stamperà un’opera); deve aver, quanto meno, imparato l’arte tipografica, o deve essersi dedicato a perfezionare le sue conoscenze.
Il 25 maggio del 1498 Ottaviano avanzò richiesta alla Serenissima per ottenere il privilegio esclusivo per stampare musica affermando che “con molte sue spese et vigilantissima cura ha trovato quello che molti non solo in Italia, ma etiam dio de fuora de Italia za longamente indarno hanno investigato che è stampar comodissimamente canto figurado. Ed per conseguenza molto più facilmente canto fermo; cosa precipue alla Religione Cristiana de grande ornamento et maxime necessaria; per tanto el soprascritto supplicante ricorre alla Ill.ma Signoria … supplicando se degni concederli come a primo inventore che niuno altro nel dominio di V. S. possi stampare canto figurado né intabuladure de organo e de liuto per anni venti ne anche possi portare ne far portare o vendere dicte cose in le terre e luoghi de Excelsa V. S. stampade fuora in qualunque altro luogo sotto pena de perdere dicte opere et de pagare ducati X per ciascheduna opera…“; il Consiglio concesse il privilegio con la formula: “Quod suprascripto supplicanti concedatur prout petit“.
Bisognerà comunque attendere fino al 1501 perché veda la luce la prima edizione musicale stampata interamente con caratteri mobili. Le ragioni del ritardo potrebbero essere ricercate nella messa a punto del sistema di stampa, o forse nella necessità di reperire i finanziamenti necessari per avviare una tipografia propria e per una prima edizione. Fatto è che dopo tre anni esatti, il 15 maggio 1501, Ottaviano Petrucci edita la sua prima opera, Harmonice musices Odhecaton (semplicemente noto più spesso come Odhecaton), cioè cento canti di musica armonica (in realtà sono novantasei), un volumetto in 4° di forma oblunga (23 x 16 cm), con testo a caratteri gotici, nitidissimi, stampato con un inchiostro nero brillante, mantenutosi inalterato nelle pagine pervenuteci a distanza di cinque secoli.
I caratteri metallici usati, non si sa se in piombo, o stagno, o in loro lega, furono certamente incisi da maestri del mestiere: non era difficile trovarne allora a Venezia dove i maggiori stampatori davano rilevante importanza ai caratteri usati per le loro opere (ricordiamo ancora che all’epoca era attiva da oltre un decennio la tipografia di Aldo Manuzio, noto per la ricerca posta nella scelta dei caratteri e nell’eleganza della pagina stampata).
I caratteri metallici usati, non si sa se in piombo, o stagno, o in loro lega, furono certamente incisi da maestri del mestiere: non era difficile trovarne allora a Venezia dove i maggiori stampatori davano rilevante importanza ai caratteri usati per le loro opere (ricordiamo ancora che all’epoca era attiva da oltre un decennio la tipografia di Aldo Manuzio, noto per la ricerca posta nella scelta dei caratteri e nell’eleganza della pagina stampata).
Bisogna osservar che in quel periodo proprio a Venezia Ottaviano aveva un concorrente: Andrea Antico da Montona, che aveva adottato la tecnica della xilografia. Eccellente miniatore, Antico incideva su una matrice di legno la pagina di musica che poi avrebbe impresso su carta. Questo procedimento era più economico rispetto alla stampa a caratteri mobili, ma le edizioni erano sicuramente meno belle e precise.
Molto probabilmente Petrucci si avvalse dell’opera di Francesco Griffo, il raffinato incisore che collaborò con Manuzio, e padre del corsivo usato per il Virgilio stampato da Manuzio (Venezia, 1501) e per il Petrarca del Soncino (Fano, 1503).
Per quanto Ottaviano non avesse mai indicato quale procedimento adottasse nella stampa, secondo gli studiosi questa avveniva con tre impressioni successive: la prima per il pentagramma, la seconda per le note, la terza per il testo, e tutte le annotazioni; secondo altri la stampa – almeno in un secondo tempo – avvenne mediante due sole impressioni. Ma ciò che meravigliò fin dall’inizio fu l’elevata perfezione raggiunta nelle impressioni successive (in pratica le ristampe) nelle quali mai furono riscontrate differenze di registro, il che faceva dell’opera del Petrucci un vero capolavoro e del suo autore un vero artista; con i mezzi a disposizione, il problema della tenuta del registro era una delle maggiori difficoltà che gli stampatori incontravano in occasione di ristampe (per la carta, supporto altamente igroscopico, sono sufficienti piccole variazioni di temperatura e umidità per creare problemi di registro). Per ottenere la massima precisione possibile, pare che il Petrucci inserisse aghi nelle diagonali del foglio da stampare.
L’Odhecaton e le molte edizioni che seguirono, incontrarono subito il favore del pubblico e il Petrucci deve averne tratto discreti utili, una parte dei quali sicuramente investita nell’acquisto di beni nella città natìa, dato che – nell’aprile 1504 – il duca Guidobaldo gli concesse l’onore di essere eletto nel Consiglio di Fossombrone, nel quale, secondo gli statuti vigenti, nessuno poteva sedere “nisi sit et esse reperiatur civis originarius eiusdem civitatis, possideat bona stabilia in dicta civitate forisempronii et eius districtu valoris centum florinorum ad minus et habitaverit ad minus per viginti annos continuos…“.
Nel 1511 Petrucci decise di trasferire la propria attività nelle Marche, anche a causa dalla situazione politica veneziana, della scomparsa dei suoi protettori e forse dell’età; da un atto notarile risulta che nell’aprile di quell’anno prese in affitto a Fossombrone una casa di Francesco di Paolo Guidi da Urbino, con l’uso delle stalle e della cisterna, al prezzo di ventidue ducati e mezzo l’anno.
Nella sua terra, Petrucci continua a dedicarsi alla stampa, ma non più solo musicale. Nel 1513 edita l’opera più importante di Paolo da Middelburgo, vescovo della città, il trattato sulla correzione del calendario romano e sui calcoli per determinare l’esatta cadenza della Pasqua: De recta Paschae Celebratione: et de die Passionis domini nostri Jesu Christi, più nota come Paulina. è un volume prestigioso, con fregi bellissimi e iniziali stupende, un testo nitido, di grande effetto tipografico, che ancora oggi colpisce e si lascia ammirare quale esempio superbo di bella stampa; della Paulina è da rimarcare la bellezza del carattere, disegnato da Francesco Griffo, in quegli anni presente a Fossombrone.
Una tipografia nel Lazio
Nel 1519 Ottaviano Petrucci viene invitato dalla comunità di Sora (Frosinone) a impiantare una tipografia; per rendere più appetibile l’offerta, la comunità decide di regalare al Petrucci un appezzamento di terra sulle rive del torrente Carnello per erigervi una cartiera, in modo che non debba preoccuparsi per l’approvvigionamento di carta.
Della cartiera nulla si sa, almeno fino ad oggi, ma della sua esistenza e del suo funzionamento si può essere certi, dal momento che un atto notarile del 5 gennaio 1535 ne riporta la vendita fatta da Ottaviano a Sebastiano Bonaventura di Urbino.
Non è, quella di Sora, l’unica cartiera posseduta dal Petrucci, che ne ebbe un’altra nei pressi della sua città natale, in località Acquasanta, nei pressi di Fossombrone.
Petrucci muore nel 1539 – per quanto se ne sa a Venezia – dopo aver ricoperto diverse cariche pubbliche nella sua città natale.
Delle opere musicali da lui stampate ci restano pochissime copie, peraltro incomplete, dell’Odhecaton e pochi frammenti delle oltre cento edizioni musicali edite dalla sua officina tipografica. Più consistenti le copie pervenuteci della Paulina, due delle quali conservate presso la Biblioteca Civica di Fossombrone.
Solo intorno al 1528 la tecnica di stampa di spartiti con un singolo passaggio divenne di uso comune, grazie al libraio e tipografo francese Pierre Attaingnant, che stampava mediante segmenti di partitura. Questo metodo è più veloce da stampare ma meno preciso e meno bello di quello di Ottaviano.
Scrivi un commento