Intorno a Rubaldo Merello, è il titolo della mostra di fine anno al Palazzo Ducale che mette in luce, letteralmente, il divisionismo italiano tra fine Ottocento e inizio Novecento.

Un’esperienza a lungo sottovalutata o interpretata come fenomeno di carattere locale, è stata definita questa tecnica pittorica, che per i non addetti ai lavori – come chi scrive – può ricordare il retino stocastico nella stampa offset. Partiamo quindi da questo concetto che i critici d’arte ci perdoneranno, per evidenziare le nuove esperienze di luci pittoriche che questa mostra mette in evidenza. Nelle opere esposte, di Merello, Pelizza, Segantini e altri vediamo infatti i colori vibranti di una ‘retinatura’ tanto per restare nel tema della stampa.

La mostra – che si protrarrà fino al 4 febbraio 2018 – insieme alle opere di Rubaldo Merello, espone dipinti di Pelizza da Volpedo, Giovanni Segantini, Gaetano Previati e il ‘sovversivo’ Plinio Nomellini, che fu incarcerato per le sue opere che troppo evidenziavano le problematiche dei lavoratori.

Rubaldo Merello, nativo della Valle Spluga, visse in isolamento a San Fruttuoso di Camogli, all’epoca semplice e isolato micro villaggio di pescatori che ancora non conosceva il turismo di massa. Qui si ispirano i suoi dipinti, tutti paesaggi senza ritratti, scorci di mare e rocce, i pini e la macchia del monte di Portofino, in una varietà senza limiti di tinte e luci, come del resto ancora oggi sono le albe e i tramonti, o anche le giornate nuvolose di questo angolo tra il Golfo Paradiso e il Tigullio.

Rubaldo Merello, Pini

“Nel suo volontario isolamento sul monte di Portofino, concentrandosi ossessivamente sugli stessi angoli di paesaggio, Merello finì con elaborare una propria visione introspettiva della natura che, tangente alle contemporanee esperienze internazionali postimpressioniste e fauve, trovò pure riscontri con le ricerche di altri artisti liguri, da Antonio Discovolo a Domenico Guerello” (da Matteo Fochessati e Gianni Franzone).

 

Retino stocastico

Rubaldo Merello, San Fruttuoso

Non è nostro compito, tanto meno per competenza, descrivere una tecnica pittorica che si rifà in un certo modo a Vincent Van Gogh – Merello fu definito il Van Gogh italiano – che rende i dipinti di Merello ‘vibranti’ come furono definiti dai critici dell’epoca. Ci basti vedere, come si diceva, una sorta di retinatura, stocastica, dalla tecnica ‘pulviscolare’ di Vittore Grubicy a quella ‘filamentosa’ di Giovanni Segantini. Merello, la cui pittura, secondo Carlo Carrà (1926), intendeva “spingere gli effetti luminosi al limite estremo” porta queste tecniche agli estremi della valorizzazione del colore. Inizialmente scultore e grafico (sculture e opere grafiche sono pure esposte), Rubaldo Merello si concentra infine sulla pittura che diventa quasi ossessiva della vegetazione e degli scorci di San Fruttuoso con una ‘progressiva trasfigurazione fantastica e visionaria del motivo naturale trasformandolo nella rappresentazione di una realtà interiore’ con un linguaggio simbolista che trova ‘riscontri puntuali nelle contemporanee esperienze postimpressioniste e nelle emergenti inquietudini della cultura fauve’.

La mostra su Merello e i suoi contemporanei si accompagna alla molto più pubblicizzata mostra su Picasso sempre al Palazzo Ducale di Genova.