Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa accorata difesa dei giornali su carta stampata, quelli seri. Il nostro autore fa però notare, in contrasto con le difficoltà in cui molte testate si vengono a trovare in questo periodo di crisi, e non solo, l’ancora troppo diffuso ‘analfabetismo digitale’ degli italiani. E se non proprio analfabetismo – aggiungiamo noi – un cattivo uso dello strumento internet.
di Francesco Pirella *
Lo sappiamo, la nostra dipendenza dal mondo di Gutenberg muterà quasi radicalmente, nonostante il nostro amore per l’invenzione tra le più usate al mondo: la carta stampata dei tipografi, oggi prodotta sinteticamente dall’industria.
Ciononostante consumiamo ancora una grande quantità di informazione cartacea: libri, giornali, rotocalchi, ecc.
Circa la metà di tutti noi interagisce, anche fino a 80 ore settimanali, con il PC, ma il resto si identifica ancora in quel carnale ‘mcluhaniano’ Typographic Man che intorno al 1450-55, a Magonza, generò il suo primo manufatto, convenzionalmente la Bibbia delle 42 linee, due ingombranti volumi in stile gotico.
L’Uomo tipografico ha cambiato in oltre cinque secoli tutti i parametri della vita civile e culturale del pianeta, naturalmente in meglio, tranne per i poveri amanuensi, che inesorabilmente e progressivamente rimarranno senza lavoro; essi protesteranno, ma alla fine soccomberanno.
Gutenberg si è beccato un sacco di maledizioni per essere stato la causa di una rivoluzione occupazionale senza sbocco che lasciava migliaia e migliaia di uomini disoccupati e senza futuro (e non è neppur certo che la paternità dell’invenzione fosse sua!).
I nostri ritardi
Le gravi difficoltà economiche in cui oggi versa il quotidiano “il manifesto” e non solo, rimandano a quella lontanissima storia.
La sua eventuale chiusura riaccende il dibattito sui nuovi media e la fine della carta stampata, così come fu per le copisterie a causa del proliferare dei gutenberghiani. Verrano fermate, quasi certamente, le macchine da stampa.
È in drastica riduzione il numero dei tipografi e dei giornalisti, soprattutto quelli che hanno vissuto la coda della tipografia pre-elettronica.
Possiamo parlare delle ragioni, ma solo empiricamente, per la complessità dell’argomento.
L’incapacità o l’impossibilità di esprimere l’informazione secondo le esigenze dei lettori, una scarsa produttività, una conduzione del giornale paralizzata su se stessa, incapace di proporsi efficacemente nel confronto con i nuovi media e, ancora, la concorrenza della televisione e in particolare, oggi, quella del web.
Ma, soprattutto, pesa l’inettitudine della nostra politica verso la formazione e l’apprendimento dei nuovi linguaggi: il nostro Paese entrerà in competizione con ingiustificabili ritardi rispetto a quasi tutto il resto d’Europa e le conseguenze sono evidenti nella difficoltà ad aggiornare persino i sistemi di interazione tra cittadino e amministrazione pubblica.
La vocazione digitale nella popolazione è stata ottusamente rallentata: troppi lettori restano degli ‘analfabeti digitali’ e resistono all’idea di doversi svezzare dal prodotto di carta.
Gli stessi giornali, fatte le dovute eccezioni, si muoveranno con ritardo e con scarsa convinzione nell’occupare sapientemente lo spazio web. Ora è il tempo della simulazione, il giornale può scegliere di rifiutare le regole convenzionali e inventarsene di volta in volta di nuove.
Il nostro homo oeconomicus, l’attuale presidente del Consiglio Mario Monti, è alla ricerca del bene collettivo preferibilmente con un’identità digitale, ma… “è la stampa bellezza” come direbbe Humphrey Bogart, ancora nel cuore.
Sarebbe un grave errore non sostenere i giornali di carta e non permettere loro di percorrere una strada parallela al web: sbarriamo piuttosto la strada a certi grotteschi epigoni tenuti in vita per sottrarre fondi pubblici.
Giornali popolari, di informazione, di opinione, non rappresentano solo un’impresa produttiva in crisi: restano giganti della nostra formazione che hanno contribuito, lottando e pagando anche con la vita dei loro giornalisti, alla nascita della Repubblica e della democrazie, alla sua crescita, allo sviluppo socio-economico del nostro Paese e ancora oggi rappresentano un punto di forza per sperare in una società civile più obiettiva.
Per la storia che hanno, quindi, i giornali di carta non possono essere liquidati se non vengono aiutati a traghettare tutti i propri lettori, fino all’ultimo, in una ‘Second Life’, sul pianeta digitale.
19 maggio 2012
*Direttore Armus di Genova estratto dal Blog “giornalismoriflessivo” di Marina Milan – Università di Genova
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