Non la stampa ma gli stampatori da anni soffrono un calo di commesse e di margini. Questo è noto. Non tutti però si sono resi conto delle ragioni e delle possibili soluzioni.
Non diciamo nulla di nuovo e certamente molti saranno in disaccordo con quanto affermiamo in questa analisi del mercato della stampa. Tuttavia, riteniamo, sulla base di ricerche a livello internazionale, che alla base ci siano delle verità inconfutabili.
Molti stampatori commerciali hanno da tempo capito che il lavoro di sempre, il famoso “abbiamo sempre fatto così” oggi non paga più. Di conseguenza si sono rivolti a settori più remunerativi o quanto meno in crescita. In particolare alla stampa di etichette e di imballaggio, oppure al grande formato. Ma non sempre i risultati sono stati alla pari delle aspettative. Ci sarà una ragione.
Al recente convegno Gipea — associazione degli stampatori di etichette autoadesive ― si è posta una domanda: “Stampare etichette, conviene?” Evidentemente la risposta unanime è stata: sì, conviene. Ma in privato qualcuno ha aggiunto: “Conviene, ma meglio non farlo sapere”. Come dire, evitiamo che stampatori commerciali ci portino via il mestiere.
Cambiare mestiere o mentalità ?
Uno studio condotto negli USA afferma che molte aziende di stampa cercano o hanno cercato di (perdonando il gioco di parole) ‘convertirsi al converting’. Tuttavia i casi di successo si contano sulle dita per il motivo che la stampa di etichette o di imballaggi in cartone o in materiale flessibile, non si impara da un giorno all’altro. Ci voglio non soltanto attrezzature – che quelle si acquistano facilmente – ma competenze specifiche in prestampa, stampa e gestione, e soprattutto nei mercati e nelle regole sempre più intricate che governano il mondo del packaging.
In un convegno di Grafitalia/Converflex, Simona Michelotti, AD della SIT di San Marino, nota industria di stampa del packaging flessibile, mise in guardia dai facili entusiasmi nel tentare il passaggio ‘tout court’ dalla stampa commerciale alla stampa di imballaggi, perché le delusioni, e i fallimenti, sono dietro l’angolo.
In tutti i casi è comunque corretto cercare di convertire la propria attività nei settori in cui la domanda è maggiore. Secondo tutti gli analisti questi settori sono:
– la stampa digitale di piccolo formato (personalizzata, mini-tirature, stampa on-demand)
– il grande formato, insegnistica e cartellonistica (soprattutto con i supporti moderni all’avanguardia dagli adesivi ai tessili)
– etichette e packaging.
Stampa digitale
La stampa a toner e oggi a getto d’inchiostro, hanno aperto nuove opportunità per gli stampatori commerciali. La combinazione tra tirature corte e personalizzazione hanno trasformato l’approccio alla stampa. Le applicazioni vanno dai libri ‘fai-da-te’, ai giornali super locali, e persino a riviste a contenuti variabili, quasi personalizzate (questo richiede uno specifico e impegnativo lavoro di redazione, ma può avere rendimenti interessanti).
Un altro prodotto di moda – ormai da diversi anni peraltro – sono gli album fotografici, un mercato nato con la stampa digitale per prodotti 100% personalizzati. Lo stesso si può dire per libri in poche copie, con molte immagini e copertina cartonata dedicati a lettori unici.
Questo dicono gli analisti. A parere nostro, non basta. Da un lato c’è la concorrenza da parte di aziende che questi lavori li hanno in portafoglio già da anni e che sono particolarmente attrezzate allo scopo, non tanto per attrezzature di stampa, quanto nei sistemi gestionali. Il rischio è di trovarsi in mano un lavoro che poi no si riesce a gestire. Dall’altro lato, la necessità di un mercato vasto e polverizzato, con enorme dispendio di energie per sostenerlo.
E qui ci si permetta una parentesi. Oggi su Facebook proliferano piccole tipografie che propongono lavori a distanza – il web-to-print tanto di moda – imitazione di chi queste offerte le ha inventate e messe in pratica ormai da molti anni. E per principio, sappiamo che imitare non è mai, o quasi mai, fonte di successo. Inutile cercare di copiare chi ha avuto un’idea vincente, ma bisogna cercare di avere proprie idee vincenti per avere successo sul mercato. Purtroppo invece, il mondo dei tipografi è costellato di ‘inseguitori’, i quali, essendo appunto inseguitori, saranno sempre dietro. Parentesi nella parentesi: non si capisce poi perché usare Facebook, che non è un Social professionale, ma di gossip e contatti privati anche se messi in pubblico. Comunque non adatto per fare business. Chiusa la parentesi.
Grande formato e stampe speciali
Questo è un campo in forte espansione in cui soprattutto le nuove tecnologie vengono incontro agli stampatori. Fino a ieri, queste applicazioni richiedevano attrezzature molto costose e quindi investimenti non alla portata di piccole o medie aziende. Oggi, con la stampa a getto d’inchiostro e al proliferare di plotter a rotolo e in piano, la produzione di poster, banner, insegne e altri stampati di grande formato non hanno più limiti, se non quelli di una capacità di gestire le commesse e il mercato. Le stesse attrezzature di stampa vanno da sistemi semplici e relativamente poco costosi, con i quali cominciare, a sistemi complessi e di alta qualità che permettono di entrare nei mercati più sofisticati della pubblicità esterna e non solo. Si tenga anche presente che questo segmento di stampa, non si limita alla stampa piana, su carta, cartone o materiale sintetico, ma anche su oggetti, aprendo nuove opportunità di mercato, come ormai vediamo da anni nelle fiere specializzate.
Se anche la stampa 3D può far parte di questa categoria, qui si parla in particolare della stampa ‘normale’ su oggetti tridimensionali: custodie per telefonini, chitarre, palline da golf, tanto per citare alcuni oggetti fino a ieri neppure presi in considerazione. Il limite, o se vogliamo la difficoltà di questo settore, consiste nella prestampa, che spesso contempla la stampa abbinata al taglio e nella corretta gestione degli ordini, pressoché di pezzi unici o quasi.
Etichette e packaging
Come detto sopra, questo è un settore promettente, ma che richiede elevata professionalità. È vero che la stampa digitale offre oggi nuove opportunità per chi vuole inserirsi in questo mercato. Il vantaggio è la possibilità di offrire etichette a clienti che fino a ieri non pensavano di poter promuovere i propri prodotti con una vesta grafica interessante e piacevole. Parliamo in particolare di prodotti artigianali, dal vino alle confetture, dal miele al piccolo agroalimentare. Oggi anche un piccolo produttore con una grande varietà di prodotti specifici, può presentarli alle varie sagre e mercati locali, con etichette non solo stampate e incollate, ma persino con una grafica invitante e attraente e in rotoli autoadesivi.
Un fatto è certo: i mini segmenti di mercato esistono e oggi sono appetibili perché la tecnologia lo permette.
Quello che deve cambiare, eventualmente, è la mentalità dello stampatore che deve saper proporre la soluzione migliore, nel modo migliore, al prezzo migliore (per sé e per il cliente), e con la consegna migliore (il cosiddetto just-in-time, che comporta non solo la consegna ma la presa in carico al momento giusto e nel modo giusto).
Ma cos’è la stampa?
Quanto detto finora non è altro che un approccio diverso a quanto si è sempre fatto: mettere inchiostro su carta. Ma è questa la stampa, oggi?
Mettere inchiostro su carta è una cosa che tutti possono saper fare. La differenza tra uno stampatore qualsiasi, e uno di successo deve stare altrove. Vediamo.
Un caso è rappresentato dallo stampatore d’eccellenza, quello la cui qualità è decisamente elevatissima, e suoi prezzi sono adeguatamente elevati, e la sua clientela è particolarmente esigente e disposta a pagare il giusto. Ma questa è una nicchia, peraltro ottimamente rappresentata in Italia, che come sappiamo, più che attrezzature richiede competenze specifiche. Ma non è alla portata di tutti.
Uno stampatore commerciale che ha sempre svolto un lavoro ‘di massa’, come può cambiare e adeguarsi alle nuove esigenze del mercato?
Un approccio, sperimentato soprattutto negli anni delle vacche grasse è stato: “prima compro, poi mi informo”. E così molte aziende si sono trovate con macchine da stampa sovradimensionate che oggi sono sul mercato dell’usato. Perché accadeva questo? Perché le aziende si fidavano, forse troppo, degli agenti di vendita delle grandi case produttrici di macchine. “Se lo dicono loro, che sono una grande azienda, di successo, allora è vero”. Qualcuno potrà contestare, ma è una frase sentita personalmente. E ha prodotto non pochi guai.
Una soluzione che ci sentiamo di proporre, è quella di cambiare dall’offerta orizzontale a quella verticale.
Se le tirature calano fino alla personalizzazione della copia unica o quasi, perché non offrire al cliente una serie di soluzioni? Non solo stampa, ma servizi complementari. In fondo il cliente che chiede uno stampato lo fa perché deve comunicare. Ma si può comunicare anche attraverso parecchi altri mezzi. A parte i cosiddetti ‘cross-media’ che contemplano la comunicazione sia a stampa, sia a mezzo web o altre soluzioni virtuali, limitiamoci ai prodotti stampati. Se il cliente è un ristorante, gli si può offrire accanto ai menù – che magari cambiano giornalmente – altri mezzi di marketing collaterali, dalle insegne alle locandine che cambiano regolarmente, dai gadget per fidelizzare i clienti, alle etichette per la cantina personalizzata, alla pubblicità esterna. Un esempio che con le dovute modifiche, vale per ogni tipo di cliente.
Barriere conoscitive
Resta un problema da risolvere quando si vogliono affrontare nuovi mercati e proporre nuove soluzioni: la conoscenza e quindi la competenza. Senza queste non si fa molta strada.
Se parliamo di etichette e packaging sono richieste conoscenze specifiche relative le leggi vigenti – peraltro in continua evoluzione – per evitare grane. Conoscenza degli inchiostri, delle tecniche di finitura e di nobilitazione, e dei supporti. Ma anche per quanto riguarda la stampa di altri prodotti, oggi le conoscenze sono più complesse rispetto al passato.
Basti un esempio. Quanto si sa degli inchiostri UV? Lampade o LED? Si conoscono i limiti del LED (se ne è parlato all’ultimo convegno Gipea in cui è emerso che sul LED c’è una disinformazione ad hoc che aziende produttrici di plotter inkjet hanno diffuso).
Ma limitiamoci alla conoscenze specifiche legate alla stampa.
La visualizzazione 3D: può essere utile saper proporre soluzioni tipo la stampa lenticolare o altri sistemi di visualizzazione tridimensionale. I questo campo gli sviluppi tecnologici sono rapidi e con la dovuta attenzione è possibile anticipare a concorrenza e quindi guidare il mercato verso applicazioni fino a oggi non molto diffuse. Un esempio che possiamo ascrivere a questo gruppo è la realtà aumentata (AR) di cui abbiamo già parlato su queste pagine e su cui torneremo (è previsto un seminario il prossimo marzo). Questa applicazione è molto importante nel campo delle etichette oltre che dei cataloghi e va ben oltre.
Design strutturale: ci sono progetti di packaging o di espositori per il punto vendita che prevedono pannelli multipli che richiedono appositi software corrispondenti a InDesign o QuarkXPress per la stampa 2D, da applicare a materiali 3D.
Workflow: che si stampi 2D o 3D il corretto flusso di lavoro con sistemi automatizzati è diventata oggi una necessità cui non si può rinunciare se si vuole mantenere la competitività. Molti stampatori sono già attrezzati in questo campo, ma devono fare attenzione a mantenersi aggiornati con la complessità crescente dei lavori. La stampa di grande formato ha le sue esigenze specifiche e spesso occorre avere flussi di lavoro compatibili con la stampa tradizionale, per non parlare del taglio e montaggio degli elementi a formare una struttura: un risparmio di lavorazioni.
Collaborazione: progetti complessi richiedono operazioni multiple che coinvolgono altri campi di attività e quindi possono richiedere la collaborazione di aziende, spesso artigianali, con competenze specifiche. Una collaborazione dinamica, tipo cloud, permette di offrire soluzioni in tempo reale. L’integrazione tra i flussi di lavoro per operazioni diverse può costituire una sfida interessante.
Finitura: chi stampa piccoli formati ha in genere buone competenze con il post stampa, quali taglio, cordonatura, piega. Il grande formato può richiedere finiture più elaborate, non ultimo il tavolo da taglio e la possibilità di lavorare su materiali diversi, rigidi o flessibili, e con spessori anche consistenti. Anche in questo caso non è solo la macchina che fa la differenza, ma molto spesso il software.
Il ruolo dei fornitori
Questo è un argomento non facile: la gran parte degli stampatori, è affezionata a un fornitore, sia per il nome che questo porta, sia perché hanno spesso un rapporto di fiducia con i suoi agenti o product manager. Negli anni tuttavia ci è capitato di vedere agenti di vendita che passando da una azienda a una concorrente, riescono a esaltare le virtù della nuova azienda per cui lavorano alla pari della precedente. Allora i casi sono due: o non sono o non erano sinceri, o i prodotti si equivalgono tutti. A nostro parere i buoni prodotti sono sì paragonabili, ma non sempre si equivalgono. Nel senso che alcuni possiedono certe caratteristiche che altri non hanno. Ciò che importa è valutare quali sono le caratteristiche di cui si ha maggiormente bisogno. E per questo occorre conoscere bene il proprio lavoro e il mercato a cui ci si rivolge: quindi “prima mi informo poi compro“.
Per questo motivo non si deve imitare o improvvisare, ma occorre sempre avere ben chiaro ciò che si vuole fare, indipendentemente da quello che fanno i nostri vicini.
Il problema della stampa sono da sempre gli stampatori, non condividono, non collaborano, diminuiscono i prezzi per avere un po più di lavoro.
Così facendo diminuiscono i margini e basta sbagliare un lavoro e si va in perdita, i problemi poi negli ultimi anni sono stati fortemente aggravati da Roma, intendo il nostro governo grazie a tasse su tutto e aumento di costi dei dipendenti.
Il peggiore dei nemici comunque rimane lo stato!!, Postel ha fatto una concorrenza sleale agli stampatori, prendendosi a basso costo le commesse che rendevano il mercato interessante per gli imprenditori, raggiungendo poi l’assurdo sui prezzi di vendita a fine anno, dove i commerciali prendevano premi produzione al raggiungimento di fatturato, pertanto, pur di prendere lavori, facevano e fanno offerte sotto costo, tanto anche se l’azienda chiude in perdita, Poste Italiane copriva in passato e anche oggi non credo la situazione sia molto diversa.
Mi permetto un piccolo commento all’articolo di M. Picasso che ho avuto occasione di conoscere personalmente e stimo , da quando di mestiere faccio l’Agente di Commercio nel settore arti grafiche . Nella narrativa esposta vi sono alcuni passaggi ” volutamente stimolanti ed un pochino provocatori ” in stile giornalistico di chi vuole accendere interrogativi e domande sul da farsi e sul mondo della carta o altro supporto da stampare. Professionalmente mi sento tirato per la giacca sulle affermazioni che parte delle colpe della situazione di oggi siano attribuibili al mio/ns operato. Essere venditore di beni strumentali durevoli quali sono i macchinari per le Arti Grafiche richiede professionalità , anni di esperienza oltre che la cosiddetta “gavetta sul campo”. Aver lavorato e lavorare per marchi prestigiosi come Heidelberg, KBA, Muller Martini, Horizon (senza nulla togliere ad altri marchi come Roland Komori etc.. ma che non ho rappresentato) ha comportato e comporta un impegno imprescindibile quale “portare risultati di vendita” per l’azienda mandante , per se stessi e, se ben discusso e progettato, per il cliente acquirente. Personalmente non ho mai fatto “fatture da incantatore di serpenti” né proposto le classiche “banane verdi” poiché se vuoi durare nel tempo, essere stimato, e a volte trovarsi a sostenere cambiamenti non voluti ma creatisi da situazioni imprevedibili, bisogna comportarsi con qualsiasi cliente sempre con la massima correttezza e trasparenza. Quindi con garbo faccio notare che quanto affermato dal “sentito dire” non possa essere generalizzato e farlo passare per la causa di incauti acquisti di macchinari. Diciamo che in realtà aggiungerei alcuni fattori chiave che sono avvenuti dal 1994 ad oggi; dove ricambio generazionale dei macchinari ha coinciso con stimoli di incentivazione quali furono le leggi Tremonti, che almeno per il Centro Nord che non ha mai avuto sostegni come per il Mezzogiorno ha avuto un effetto droga ed “emulazione” da parte di alcuni stampatori non dimenticando che molti di loro erano e sono artigiani cresciuti con l’economia ,così come è tutt’ora l’ossatura del ns intraprendere in Italia. Per questo non mi posso sentire colpevole, né lo merita la ns categoria, di fare bene il mio lavoro per l’azienda che ho rappresentato e rappresento. Condivido la parte in cui oggi più che mai si devono avere idee chiare sul cosa si intenda promuovere come servizio alla propria clientela non dimenticando che è vero che produciamo carta o imballaggi stampati ma siamo sempre aziende di servizi per terzi (tolta qualche eccezione di chi produce e vende in punti vendita) quindi necessita di capacità gestionali della propria azienda oltre alla conoscenza del proprio settore merceologico servito. Poi speriamo che il sistema Italia riprenda vigore credendoci, uscire dalla crisi si può ciascuno facendo del suo per migliorarsi.
Piove, governo ladro.
Tipica frase che sottolinea l’abitudine italica di scaricare le responsabilità delle proprie o comuni avversità sugli altri.
Detto che il mercato e le leggi non permettono di sostenere il tessuto industriale oggi presente sul mercato italiano (do quindi ragione anche ai miei colleghi di settore), il dovere di un imprenditore è quello di produrre ricchezza per la propria azienda e, crescendo con gli investimenti su attrezzature ed il personale, ridistribuirla sul proprio territorio.
Altro dovere è quello farlo con coscienza e responsabilità.
Quindi, se da una parte è corretto che l’imprenditore ricerchi lavoro su nuovi mercati e nuovi settori (label e packaging come dalla corretta analisi dell’articolo di Picasso) sarebbe anche corretto pensare che ciò venga fatto in coscienza e responsabilità.
La coscienza imporrebbe di CONOSCERE nel profondo i conti economici ed analitici della propria azienda.
La coscienza imporrebbe di CONOSCERE nel profondo i propri dati di produzione.
La coscienza imporrebbe di SAPERE come ridistribuire e ribaltare i conti economici sui dati di produzione rilevati, per avere un corretto controllo di gestione (per capire le proprie improduttività e le proprie potenzialità).
Soltanto dopo aver fatto un corretto “esame di coscienza” l’imprenditore sarà poi in grado di capire se e dove spostare i propri interessi ed i propri investimenti; anche questo, potrà e dovrebbe essere fatto in coscienza.
Ricerca di mercato, attrezzature idonee al mercato da affrontare, personale adatto a gestire e far funzionare le nuove attrezzature… sono una conseguenza di scelte fatte con coscienza.
Ho invece l’impressione che molti affrontino o intendano affrontare i nuovi mercati (POTENZIALMENTE remunerativi) con la solita lotta sui prezzi…. la stessa che ha sputtanato il l’ex remunerativo mercato della stampa commerciale.
Questi non sono imprenditori (dotati di coscienza)… sono dei venditori di terza categoria..
Al di là dei lacci e lacciuoli imposti dallo Stato alle imprese – certamente non sono pochi – la ‘rappresentazione’ che molti degli imprenditori del settore mettono in scena ancora oggi, è quella solita, poco adeguata allo spirito del lavoro e con un percorso troppo spesso lastricato di ‘barriere conoscitive’; un modo di interpretare il lavoro che da anni non smettiamo di criticare. Se rileggi le mie “riflessioni” del mese di aprile 2009 sull’intervista di Cherubini (http://www.metaprintart.info/i-mercati-e-la-vita-in-azienda/1836-riflessioni-sullinteervista-a-cherubini/) in ordine alla crisi finanziaria che già allora si faceva sentire nel comparto della grafica-cartotecnica, ti rendi conto di quanto le stesse siano attuali. E qualcuno a suo tempo mi tacciò di pessimismo!
Mi permetto di scrivere qualche piccola considerazione:
Per anni ho svolto come tuttora l’ attività di commercio e assistenza macchinari grafici. Ritengo, ma posso sbagliare, che di imprenditori non ve ne siano molti, la maggior parte delle piccole medie aziende grafiche è nata da lavoratori che poi hanno deciso di mettersi in proprio e fare il grande salto. Spesso a conoscenza dei problemi di stampa, ma non dell’impresa. Questo negli anni diciamo buoni ha creato molta occupazione e impresa spesso senza nessuna cognizione o poca, ma anche aziende spesso non capaci di seguire il mercato e di analizzarlo.
Con l’arrivo delle prime difficoltà: internet, globalizzazione, poi crisi ecc. non hanno saputo trovare risposte se non appunto quanto già citato sopra. Aggiungo un ulteriore problema, la qualità di stampa, che per diminuire i costi di gestione inesorabilmente si è dovuta spessissimo abbassare, vedi mancanza di assistenza, manutenzione, uso di materiali corretti. Inesorabilmente dopo i lavori vengono contestati, e oggi non si può più permettersi di produrre a vuoto o in perdita.
E’ troppo facile quando un settore è in crisi sparare a zero sulla professionalità degli imprenditori che vi operano, in particolare su coloro che durante il percorso della propria tipografia, spesso molto duraturo, hanno invece dimostrato di adattarsi ai nuovi cambiamenti e di saper rischiare facendo continui investimenti, ovviamente rapportati alle proprie dimensioni e possibilità. Parlo ovviamente delle persone serie che operano nel settore e ce ne sono tante.
Oggi semplicemente il cartaceo è in caduta libera e la domanda di stampati pure quindi è ovvio che piccole, medie o grosse tipografie, salvo casi rari, siano in difficoltà. Non pensiate che i tipografi siano degli sprovveduti, e la maggior parte oggi sono imprese familiari con dentro figli che hanno studiato, diplomati e laureati; quindi cercano consapevoli e anche preparati di cogliere le opportunità che restano sul mercato. Anzi spesso uniscono il “sapere” manuale al “sapere” commerciale e amministrativo, Ma ciò non basta. La maggior parte di loro affronta le difficoltà con impegno e professionalità ma ovviamente spesso ciò non basta prima cosa perché le risorse economiche sono sempre limitate e secondo la domanda di stampati è calata a picco! Ormai le nuove comunicazioni, il telematico e la diffusione in tutte le aziende delle stampanti “fai da te” ha messo in ginocchio i fornitori di “stampati di qualità e di quantità”; oggi si può solo sopravvivere. Purtroppo spesso si sopravvive se i concorrenti chiudono. Poi esistono anche pochi “bandti” che hanno successo investendo alla cieca e con megalomania fregandosene delle conseguenze economiche a cui esporranno se stessi e le proprie famiglie. Cari venditori mi sembra che mancate voi di professionalità non riconoscendo la situazione molto grave della stampa…. oppure tacete per vendere!?
Gentile Stefano, la sua analisi è praticamente perfetta. Mi permetta di osservare che i figli che hanno studiato dovrebbero però interrogarsi se sia opportuno proseguire la strada spianata dai loro padri o piuttosto guardare anche altrove. La invito a leggere due articoli in particolare: la stampa di celle fotovoltaiche (non oggi, ma prepararsi per il futuro); e la stampa iperrealistica di arte. Non semplice, ma da studiare e valutare. Questi sono solo esempi, ma per mercati che si chiudono, altri si aprono. Concordo poi con l’ultima sua frase, l’anatema contro i venditori: sappiamo tutti quello che è successo negli anni d’oro in cui tutti investivano in nuove macchine da stampa (poi rivelatesi sovrabbondanti) solo perché si fidavano dei venditori. Marco Picasso
Buon giorno, da piccolo artigiano grafico, ho letto con grande interesse sia l’articolo pubblicato, che i commenti postati. Tutto molto interessante e purtroppo vero. La crisi nel nostro settore esiste ed è grave, un piccolo esempio è il fatto che questo articolo lo sto leggendo da un video di computer e non su una rivista patinata. Voi giustamente vi siete adeguati alle nuove tecnologie e inviate i files della vostra rivista tramite e.mail, costa meno che stampare e azzera le gravose spese di spedizione “il francobollo obolo dello Stato”. Ma questo vuol significare che stampatori e rilegatori sono là a spolverare le loro costose ed avanzate macchine, anni per imparare un lavoro non facile, anni di sacrifici per pagare mutui o leasing di macchinari che erano il tuo futuro… ed ora tutto si riduce a un files inviato in allegato PDF… no carta, no grafica. Poi è vero si può fare tutto oggi, dalle etichette con effetti 3D a stampare le custodie dei cellulari ai tessuti… ma poi sorge il problema, i macchinari li butto dal rottamaio tanto al kg?? Tutto nuovo digitale costi alti per acquisto, costi dei consumabili “al limite dell’estorsione” li puoi comprare solo da loro e sei vittima dei loro ricatti, e poi la durata dei macchinari digitali, da barzelletta se paragonate alle robuste offset, un’avaria dietro l’altra, se non è il sensore e la scheda madre se non peggio, e qui altra “estorsione” il pezzo di ricambio è loro monopolio e sono mazzate nei denti, addio guadagno, addio competitività. Non vorrei che tutto questo si trasformi in un fuoco di paglia come il modulo continuo, era la soluzione era il business perfetto era il futuro della grafica commerciale e tutti a investire, peccato che era un vicolo cieco. Le colpe di chi sono? Di tutti e di nessuno, il venditore ha fatto il suo lavoro, il grafico ha fatto il suo lavoro… il mondo è cambiato e il sistema Italia è rimasto al palo. A scusate per quelli che giustamente esaltano la figura dell’imprenditore “colui che deve cavalcare le situazioni e inventarsi le strade del futuro”… per me ci sono due categorie d’imprenditori ! 1) Quelli veri, concreti che rischiano del loro e con i soldi loro – 2) i miracolati quelli che usano i soldi pubblici o dei fondi europei per creare imprese e se le cose vanno male riversano i debiti sui contribuenti o peggio sui correntisti bancari….la FIAT ha fatto scuola! Con stima ed affetto Radici D.
Gentilissimo sig Daniele, non posso che concordare quasi in pieno con il suo rammarico per come è cambiat il mondo della comunicazione. Sembra quasi che sia colpa di chi diffondo le informazione via web anziché su ‘carta patinata’. Ma proseguendo la lettura del Suo commento, si nota che la colpa, come dice lei “è di tutti e di nessuno”. La ringrazio per il tempo che ha dedicato con la sua lettera perché mi dà spunto per un prossimo editoriale, in cui vorrei analizzare ulteriormente i motivi della crisi degli stampatori offset e quali rimedi possono adottare.