Si entra in Germania e con 3 fiorentini si gode una merenda tedesca offerta da un ex militare che alla fine della guerra era stato salvato dagli italiani.

L’undici agosto era una splendida mattinata, come aveva annunciato il tramonto. Il vento, che tirava assai teso, faceva correre nubi bianche attraverso un cielo di un azzurro intenso.
Prima di lasciare l’ostello ci accorgemmo che non eravamo i soli italiani; c’erano dei milanesi che erano giunti la sera tardi in auto e stavano ripartendo, ma nella direzione opposta alla nostra. Li salutammo e ci avviammo a piedi verso la strada che portava verso Groningen.
Potemmo cosí assistere a quello che per noi era uno spettacolo nuovo: un ponte levatoio, che dopo aver dato il preavviso con un semaforo rosso, cominciò a sollevarsi interrompendo la strada e arrestando le auto di passaggio, anche con l’aiuto di un passaggio a livello. Passò un vaporetto e quindi la strada tornò al suo posto e noi pensammo che fosse meglio passare dall’altro lato del canale a piedi per evitare di essere nuovamente bloccati da un altro battello.
Qui finalmente, dopo un po’ di attesa, un’auto ci prelevò per portarci fino alla prima cittadina che si incontra sulla strada per il nord-est verso la Germania: Leevarden. Pensammo di comprare del latte cosa che in Olanda dovrebbe essere copioso come l’acqua; invece non ne trovammo. Ci incamminammo, ma a un certo punto ci venne in mente che non avevamo ancora fatto colazione ed erano già le undici, per cui ci comprammo un litro di birra che dividemmo e un economico, ma assai delizioso e sostanzioso dolce fatto con farina, miele e latte.
Fatti gli elogi del dolce a chi ce lo aveva venduto, e ricevuti per contraccambio i complimenti e i saluti come italiani, il tutto in lingua olandese (o frisone, come si fa a saperlo?) riprendemmo la strada tra le gambe in attesa di un provvidenziale passaggio.

L'Università di Groninga

L’Università di Groninga

Il quale arrivò a breve. Era un avvocato di Groningen, che arrivati a destinazione molto gentilmente ci fece fare il giro della città, spiegandoci che ospitava una famosa e antica Università fondata nel 1614, che ci mostrò con orgoglio. Groninga è oggi la città più ciclabile d’Europa e portata a esempio per la sua viabilità. All’epoca però, potemmo attraversarla in auto, cosa che oggi non sarebbe possibile. E infatti, dato che intendevamo proseguire per Brema, non ci lasciò senza averci prima fatto visitare il centro e il municipio, e ovviamente gli edifici dell’Università, per poi condurci fuori città sulla strada giusta in direzione del confine tedesco.
Qui non dovemmo attendere molto per essere portati, e anche velocemente, fino a un paese fuori mano, in aperta campagna, dove appena scesi ci prendemmo le prime gocce d’acqua da un cielo che nel frattempo si era oscurato.
Qui dovemmo restare circa una mezz’ora e finalmente, quando eravamo sufficientemente bagnati, si fermò una Opel con targa tedesca che, al contrario dell’autista precedente, procedeva a 50 km all’ora per godersi il panorama. Ci portò al confine dove ci facemmo lasciare perché dovevamo prendere la strada verso Brema.
E qui accadde il fatto piú interessante e simpatico fino a quel momento del viaggio. Vedemmo arrivare dall’Olanda una Fiat 1100 targata Firenze con a bordo tre studenti e stracarica di bagagli. Viste le nostre bandierine tricolori si fermarono per salutarci. Ma non avevano posto, dato che la macchina era colma. Ciò nonostante, senza che noi lo proponessimo, cominciarono a spostare i bagagli per farci posto e cosí tutti insieme con grandi risate ci dirigemmo verso Brema raccontandoci le rispettive avventure di globetrotter.
Facemmo tappa in un paese chiamato Westerstäde per cercare una banca dove poter cambiare la valuta. Mentre un paio dei fiorentini era andato in banca, io fui avvicinato da un signore di una certa età, mutilato a una gamba, un vero tedescone pacioso, che subito cominciò a elogiare gli italiani, la loro cortesia e allegria e ci invitò tutti quanti a casa sua per fare una merenda. O meglio, disse, lui per un caffè. Ma in Germania, prendere un caffè significa sedersi attorno a un tavolo e mangiare e bere, e non necessariamente caffè. E infatti ci preparò una tavola con pane di campagna, dolci vari, latte e cosí via. Poi si fece aiutare da tutti noi a preparare il caffè, o quanto meno una bevanda che porta questo nome indegnamente. Tirò fuori dalla credenza una pagnotta che si misurava a metri, varie qualità di marmellata fatta in casa, burro, e poi ancora tazze, cucchiai, coltelli e altri accessori. Poiché ero l’unico che capiva, e neanche tanto bene, il tedesco, mi toccava fare da interprete e parlare con questo signore gioviale, mentre i fiorentini, da buoni toscani non mancavano di fare supposizioni sul motivo recondito di tale invito cosí generoso. Chi pensava che ci avrebbe uccisi tutti e fatti a pezzi per poi preparare degli insaccati, chi propendeva per l’idea che ci voleva avvelenare, chi invece pensava che meditava una rapina a sfondo sessuale, fatto sta che quando mi propose di accompagnarlo in cantina a prendere altra marmellata, dovetti insistere perché ci accompagnassero almeno altri due di noi, altrimenti lo scopo era evidente: portarci uno per uno in cantina per farci fuori, e io non volevo essere il primo.
Nonostante il pessimismo toscano tutto andò per il meglio. Mentre facevamo la nostra merenda che ci sarebbe servita per pranzo e per cena con nostra grande soddisfazione, il nostro ospite ci rallegrò con la fisarmonica. Poi ci spiegò il perché di tanta ospitalità: conservava un buon ricordo degli italiani quando, giovane militare tedesco in fuga alla fine della guerra, gli italiani gli salvarono la vita proteggendolo dai partigiani. Prima di lasciarci andare, volle regalarci un fiore per ciascuno: cinque belle dalie bianche del suo giardino che ci pregò di conservare il piú a lungo possibile, raccomandandoci di salutare per lui die liebe Italien, la cara Italia.
Dopo aver ringraziato e scambiati gli indirizzi, tornammo all’auto, che contrariamente alle supposizioni e convinzioni dei toscani non era stata né rubata, né manomessa, nonostante fossero ben visibili tutti i bagagli.

Bremen_RathausRiprendemmo il nostro viaggio verso Brema, quando ormai erano le cinque e trenta del pomeriggio, piuttosto buio perché il tempo era piovoso.
Giunti a destinazione non avevamo molto appetito, però una birra e un würstel ci fecero ancora compagnia per concludere degnamente una giornata da non dimenticare.