Riceviamo una relazione tecnica da parte di un amico laureatosi in ingegneria a Genova e che ha iniziato la sua carriera con una profonda analisi del progetto Morandi per la costruzione del ponte sul Río Magdalena in Colombia.

Col permesso dell’Autore ne riportiamo le parti essenziali a beneficio di quanti sono interessati ad approfondire, con cognizione di causa, le conoscenze su questo tema.

di Ing Maurizio Gentilomo

Introduzione

Ho “incontrato” Riccardo Morandi nel 1958: allora una impresa di costruzioni genovese, la Mantelli, mi aveva imprestato un progetto “Morandi” – soltanto i disegni! – di un ponte ad arco (un solo arco, di 120 m) di calcestruzzo armato, sul torrente Leira, a Voltri. Era l’oggetto di un appalto concorso per costruire un ponte dell’Autostrada Genova Savona (allora limitata alla tratta Voltri Albissola). L’appalto fu vinto da un altro concorrente che aveva proposto un ponte con due archi, di calcestruzzo armato, tuttora funzionante sull’autostrada appena ricordata.

Il mio ricalcolo degli stati di sollecitazione del ponte (della soluzione Morandi), al fine di ri-verificarne, a fini “scolastici”, la stabilità in tutte le previste condizioni di servizio, è stato piuttosto laborioso: allora le operazioni (derivanti da analisi matematiche trasformate in elaborazioni algebriche), necessarie allo scopo, si dovevano eseguire a mano (nel mio caso con l’aiuto di una appena uscita Divisumma elettrica che mi aveva generosamente prestato la filiale Olivetti di Genova). Aggiungo che il lavoro, oltre che impegnativo, è stato – per me – fruttuoso: primo perché ha costituito la mia tesi di laurea in ingegneria civile e, successivamente, importante per il mio percorso professionale dedicato anche alla realizzazione di “grandi ponti”.

Ma la mia conoscenza diretta del Professor Morandi è avvenuta dopo, nel 1970. Allora l’impresa Lodigiani di Milano, dove lavoravo, aveva deciso di partecipare a un gara internazionale per costruire un ponte sul Río Magdalena vicino alla sua foce, in Colombia. L’appalto è stato vinto dalla Lodigiani in associazione con un qualificato costruttore colombiano.
Il progetto del ponte, a due vie, da noi proposto l’aveva inventato ed elaborato Riccardo Morandi. Io, con il gruppo di lavoro del quale facevo parte, ho collaborato con il Professore e con il suo studio di Roma specialmente per progettare l’organizzazione dei lavori e i relativi impianti e attrezzature, meccaniche ed elettromeccaniche: a Roma, Milano, Bogotá e sul posto (a Barranquilla, dove sono stato coinvolto, nel progetto, dal principio fino all’inaugurazione dell’opera e direttore del cantiere dal 1972 in poi).
Si noti che una parte del ponte di Barranquilla, in corrispondenza del canale navigabile del fiume, era (è) caratterizzata da grandi luci (o campate), sostenute da quattro pile portanti e da quattro coppie di tiranti (o stralli) ancorati alla sommità di apposite torri erette sulle pile delimitanti il canale navigabile.
Gli stralli erano (sono) simili a quelli del Polcevera: di acciaio rivestito di calcestruzzo precompresso (o presollecitato).

Il ponte, con i suoi accessi e opere accessorie, fu inaugurato nel 1974: da allora è stato usato ‒ mi hanno informato (estate 2018) dalla Colombia ‒ da almeno 60 milioni di veicoli. Con l’occasione informo che il ponte sta per essere rimosso, dopo una vita di soli 44 anni, per cresciute necessità della navigazione fluviale tali da pretendere una campata centrale di maggiori dimensioni.

Le buone regole

Ho parlato piuttosto a lungo del progetto colombiano perché: l’occasione ha fatto nascere una forte intesa professionale tra Riccardo Morandi e me; mi ha permesso di apprezzarne in pieno le qualità di architetto e di ingegnere; ho acquisito un’esperienza diretta in materia di stralli precompressi; si è realizzato il mio desidero professionale di costruire, anche, dei ponti.

E, soprattutto, dopo il crollo del ponte del Polcevera (detto anche, dalla stampa, ‘Ponte Morandi’), avvenuto 14 agosto 2018, per ricordare, a chi avesse la voglia di leggere questa nota, le buone regole che dovrebbero (nel caso: avrebbero dovuto) governare la realizzazione di un’opera pubblica, specialmente quelle riguardanti la sicurezza del ponte, dei suoi utilizzatori, del connesso spazio vitale e ambientale, dei “vicini di casa” (abitazioni, strade, ferrovie, un torrente, fabbriche, etc.).
È inteso che il ‘Polcevera’ (come d‘ora in poi il ponte sarà chiamato) è il ‘Ponte Morandi’ dell’autostrada Genova Savona crollato in parte, ma funzionalmente estinto del tutto, il 14 agosto 2018.

La verifica che segue, riguardo al rispetto delle “buone regole” applicate (oppure no, oppure parzialmente) al Polcevera, nel suo mezzo secolo di vita, è fondata su dati diffusi, dopo il 14 agosto, dalla stampa e da altre fonti pubbliche di informazione. Quindi si avverte non è “scientifica”.
Neppure è volta a scoprire – in casi come questi modestia e umiltà sono doverose – le cause del crollo e la opinabile sicurezza della parte del ponte rimasta in piedi: a questo si stanno dedicando, nelle sedi appropriate, esperti incaricati.   Restando comunque certa, a proposito di (difetto di) sicurezza, la prova assoluta: il crollo del ponte.
Essa (la verifica qui proposta) potrebbe tuttavia essere utile per osservare, nelle giuste prospettive, l’efficacia degli atti pubblici, cominciando da quelli dei “decisori politici”, diretti a riparare i danni materiali e funzionali generati dal disastro del 14 agosto (riservando un’attenzione speciale, nelle sedi proprie, alle 43 persone uccise, a quelle ferite e a coloro che hanno perso casa e luoghi di vita e di lavoro).

Fatti e antefatti

Il Polcevera, lungo circa 1.200 metri, è stato aperto al traffico nel 1967. È stato oggetto, negli anni ’90 del secolo scorso, di importanti lavori di “rinforzo”, in special modo applicati agli stralli della pila n. 11 (sembravano, agli automobilisti e camionisti in corsa, interventi di sostituzione piuttosto che di rinforzo).
Inoltre, si sono montati, sul piano stradale, dei pesanti blocchi di calcestruzzo ‘sicurvia’. Blocchi di una apparente qualità minore: vista, dai ricordati automobilisti e camionisti, la precoce estesa ossidazione delle loro armature metalliche (emergente, contro ogni buona prassi costruttiva, dalla superficie del calcestruzzo). Stimolando nel contempo, nei viaggiatori, una domanda: quale sarà mai la salute delle strutture, non visibili, sotto e sopra il piano stradale?
Il 14 agosto 2018 è crollato, come si è anticipato, di schianto, un tratto del ponte lungo circa 100 metri comprendente una delle sue grandi pile (la numero 9). Il crollo ha disattivato tutto il ponte, la tratta di autostrada Genova Est (Genova Ovest) – Aeroporto e provocato gravissimi danni, diretti e di lungo periodo, a persone e cose.
Inoltre − si è saputo dall’informazione, dopo il 14 agosto − erano stati eseguiti e stavano proseguendo, con il ponte in esercizio, interventi di osservazione (di monitoraggio, si usa dire), restauro e manutenzione.
Si è appreso inoltre − sempre dopo il crollo − che erano stati progettati prossimi interventi di rinforzo di stralli deteriorati (vedere supra, pila n. 11) in corrispondenza di altre torri e stralli, n. 9, n. 10, e le connesse campate. Programma annullato dal crollo (della torre n. 9, con stralli e travate).
Si noti che il ponte, privo di corsie e di piazzole di emergenza, funziona(va) anche come una tangenziale urbana (Ovest) di Genova, attraversando e sovrastando densi abitati, strade, ferrovie, fabbriche, e il torrente Polcevera.
Proseguendo poi l’autostrada (tratto Genova Savona) verso Ovest, passato il ponte del Polcevera, il nastro stradale era – è – immerso, almeno fino a Voltri, in un denso sistema di case, edifici industriali, commerciali e pubblici con le connesse reti stradali e dei servizi.

Opere pubbliche e buone regole

L’arte ingegneristica è evolvente. In termini di coinvolgimento, variabile, di molteplici interessi determinati dal contesto locale e di area vasta (politico, economico, finanziario, umano, sociale, paesaggistico, ambientale, storico, tecnologico).
È una prassi moderna applicare a una nuova opera, specialmente se pubblica, un insieme di (buone) regole, addirittura più ampie rispetto alle normative istituzionali.
Raccomandazioni, nel caso del Polcevera, ora volte al futuro: per il passato, quel che è stato è stato…
Se applicate, potrebbero (avrebbero potuto) far risparmiare, o limitare, critiche, post operam, verso i decisori politici e gli operatori diretti (il Concedente, il Concessionario, i controllori) e dispiaceri per le collettività umane.

E il contrario: scelte (nei limiti del possibile) giuste, soddisfazione per tutti.

Corre l’obbligo, a questo punto, di sottolineare che non sarebbe corretto (e in ogni modo impossibile per un osservatore “esterno”) esprimere pareri documentati sul disastro del Polcevera, in particolare su disattenzioni riguardo alla sicurezza dell’opera.
È per contro lecito, e doveroso, data la gravità dell’evento, proporre osservazioni e considerazioni su eventi e circostanze che hanno preceduto il crollo del 14 agosto.

Le “Regole”, di seguito riassunte, sono seguite, in corsivo, di volta in volta, da constatazioni e considerazioni – di un osservatore “esterno” – sul ponte e su alcuni fatti avvenuti tra la sua entrata in servizio e il crollo.
Si ricorda che il proprietario dell’autostrada è lo Stato (Concedente); l’esercizio è stato affidato in concessione a una società privata (il Concessionario).

Primo: essere certi dell’utilità pubblica dell’opera.

Sulla utilità del ponte non possono esserci dubbi. La sua funzione è passata tuttavia da puramente “autostradale” a quella di “autostrada più via di scorrimento urbano”: condizioni, le seconde, sfavorevoli alla sicurezza per la maggiore densità del traffico e, conseguentemente, per accresciuti fenomeni di fatica (delle strutture del ponte).

Secondo: attuare con preparazione, preoccupazione, prospettiva (visione del futuro), conoscenza del contesto, coscienza dei rischi, coordinamento, controlli. E con onestà (non guasta mai).
Considerare gli interessi di tutti gli attori coinvolti e ogni possibile implicazione sociale, economica, ambientale.

Osservazioni: assenti per difetto di informazioni specifiche. 

Terzo: redigere il progetto con studi preparatori sufficientemente approfonditi, eseguire estese analisi di rischio (in diversi possibili o prevedibili scenari), stabilire il livello di qualità atteso, valutare gli impatti sull’ambiente (socio-economico compreso, per l’intero ciclo vitale dell’opera), verificare la consistenza e l’efficienza del sistema in cui l’opera va ad inserirsi, determinare costi congrui (estesi ad un esercizio lungo quanto la progettata vita di servizio); eseguire affidabili analisi benefici costi; individuare efficaci mitigazioni; rispettare ogni applicabile normativa e standard; prevedere i metodi di costruzione, la disponibilità locale di lavoratori (o il contrario), il macchinario operativo, le fonti dei materiali di costruzione, le vie d’accesso ai cantieri; prevedere ed attuare controlli stringenti (indipendenti, specialmente dagli appaltatori!) e monitoraggi sistematici, in costruzione e in servizio.
Le constatazioni e osservazioni possibili sono limitate ad alcuni aspetti “visibili” e o forniti, dopo il crollo, dall’informazione:
– la definizione della vita di servizio del ponte sembra non sembra essere stata definita (non si usava ancora, negli anni ’60 del secolo scorso) e neppure il livello di qualità dell’opera
– destino dell’opera al termine della sua vita di servizio: ignoto (probabilmente non considerato)
– analisi benefici costi, impatto sull’ambiente, adozione di mitigazioni: nulla si sa, pubblicamente, su queste materie
– progettazione (e analisi dei costi) dell’esercizio del ponte: apparentemente non considerati. Tant’è vero che sono stati intrapresi interventi straordinari – non programmati perché imprevisti, né pre-progettati (dovuti alla scoperta di difetti osservati visualmente o strumentalmente) – come il rinforzo, o la sostituzione, degli stralli della pila n.11 (anni ’90 del secolo scorso). Inoltre, secondo l’informazione, si sarebbero iniziati prossimi rinforzi di questo tipo su altre pile, se non si fosse verificato il crollo del 14 agosto
– controlli (si vedano le conclusione di questa analisi)
– subito dopo il crollo si è parlato di possibili difetti della progettazione (del progetto Morandi originale). Chi ha conosciuto, come lo scrivente, l’ingegnere Morandi, le sue qualità professionali e l’efficienza del suo Studio, esclude questa evenienza. Resta il fatto che per togliere ogni dubbio, disponendo dei documenti progettuali, sarebbe sempre possibile ri-effettuare calcoli e verifiche applicati alle strutture dell’opera
– in materia di progettazione, si è fatto riferimento a fenomeni di “fatica” derivanti, come è noto, da ripetute e altamente frequenti irregolari sollecitazioni (con valori tuttavia inferiori a quelli della resistenza limite dei materiali), variabili nel tempo (da minimi a massimi). Si è detto che i massimi, singolarmente, non provocherebbero danni (in altri termini: i danni per fatica avvengono con sovraccarichi inferiori a quelli di sicurezza “senza fatica”).
I danni per fatica dipendono poi, oltre che dalle “forzanti la fatica”; da condizioni specifiche come: forma dell’elemento costruttivo, irregolarità superficiali, variazioni termiche e climatiche. Senza mai dimenticare che i materiali di costruzione non sono perfettamente omogenei né omogeneamente isotropi.
La fatica, se eccessiva, è causa potenziale di rotture, improvvise, in esercizio. I sintomi sono l’innesco di fratture (cricche) crescenti nel tempo (in altri termini, sono “auto-fertilizzanti”)
– meritano un’attenzione particolare i rischi intrinseci dei cavi di precompressione È noto che essi sono installati, liberi (a parte le testate) dentro guaine, a tenuta d’acqua, nel calcestruzzo. L’acciaio dei cavi viene reso solidale con il calcestruzzo, dopo l’ultima tesatura, mediante l’iniezione in pressione, negli spazi vuoti delle guaine, di una miscela cementizia (cemento e acqua). Il riempimento è assicurato dall’uscita di una parte della miscela dalla estremità del cavo opposta a quella ricevente l’iniezione. Questa operazione richiede alta competenza: a iniezioni imperfette corrisponderebbero sicuri dispiaceri. Tanto è vero che è spesso usato un tipo di precompressione, detto “a fili aderenti” (non descritto per brevità in questa sede), volto ad evitare le iniezioni
– rischi piuttosto seri possono annidarsi nella costruzione degli stralli di calcestruzzo precompresso come sono quelli del Polcevera e di altri ponti e strutture ‘Morandi’ (chi scrive ha vissuto “in diretta” l’esperienza stralli di Barranquilla).
Il rischio sta nella necessità, per costruirli e pre-sollecitarli, di personale altamente competente, scarsamente reperibile, in Italia e nel mondo, in relazione al loro raro impiego.
Forse per questo i Costruttori (tedeschi) del Puente Urdaneta, nella Laguna di Maracaibo, hanno prudentemente preferito installare, diversamente dal progetto iniziale (con stralli precompressi), cavi di acciaio “nudi” (a parte le protezioni contro le aggressioni chimiche).

Queste osservazioni non intendono né possono correlare il caso Polcevera con la soluzione “stralli precompressi” (tra l’altro destinata anche a funzioni anticorrosione), quanto a sottolineare che la realizzazione di stralli speciali (a dire il vero la prudenza è d’obbligo per tutti i tipi di strallo, anche di quelli “nudi”) pretende lavorazioni e tolleranze di costruzione specialissime, più vicine ai livelli della meccanica piuttosto che a quelli delle pur nobilissime e raffinate arti del carpentiere e del muratore.

Osservazioni generali

La qualità di progettazione, costruzione, esercizio deve essere un unicum avente l’obiettivo di raggiungere una sana (intera) vita di servizio.
A proposito di qualità: un buon progetto costruito male, andrà a finire male; un cattivo progetto costruito male, anche se fosse poi gestito bene, andrà a finire male; un buon progetto costruito bene ma gestito male andrà a finire male (“bene” e “male” riassumono ventagli di valori: da “bene” a “molto bene”; da “male” a “molto male”).
Riguardo al Polcevera: conviene, come si è già detto, aspettare il parere, sulle cause del crollo, degli esperti incaricati. Ben conoscendo i limiti delle (anche delle) ricerche “scientifiche”.
Il ponte dl Polcevera è una parte importante di un “concentrato di rischi”: il tratto di autostrada tra Genova Est e Voltri che è stato “ficcato” a viva forza nella città, fra e sopra le case. La scelta del tracciato si perde probabilmente nella notte del passato; pochi dubbi invece sul coinvolgimento dei “decisori politici” di allora.

Quarto: pensare (progettare) più di una soluzione con le relative opzioni finali: prolungamento del ciclo vitale, riciclo, nuova collocazione (dell’opera), dismissione, conferimento in discarica delle eventuali demolizioni (attenzione bene: l’abbandono puro e semplice, mai).

Osservazioni assenti per mancanza di informazioni specifiche.

Quando il ponte è stato progettato certi concetti erano ancora da inventare.

Considerazioni estemporanee

Si è osservato, nel tempo e nello spazio (non solo nelle vicinanze del Polcevera), che le scelte dei decisori politici ‒ coloro che decidono se, perché, dove, con quali finanziamenti etc. ‒ possono essere fallibili: in termini casuali e non casuali. Non è raro che certe decisioni siano afflitte da errori non casuali: per esempio per compiacere elettori, amici lobbisti, oppure dettate da brama di “grandeur”. Non ultimo, per acquisire “benemerenze” spendendo denaro – anche se l’opera non fosse poi realizzata, o realizzata diversamente – per studi; indagini economiche, di mercato, urbanistiche, geognostiche; progettazioni preliminari; prove su modelli; pubbliche relazioni (l’elenco, anche quello degli esecutori degli studi, non è limitativo, anzi!).
Certe decisioni, anche se oggettivamente (originariamente) fossero state azzeccate, potrebbero trovarsi, successivamente, in condizioni casualmente diverse. Per esempio, per guerre, rivoluzioni, sommosse, cataclismi naturali “sopra soglia”, crisi economiche e finanziarie tali da modificarne, in altre direzioni, le funzioni iniziali (si veda, pagina 1, la progettata demolizione del ponte sul Río Magdalena, in Colombia per nuove necessità della navigazione fluviale, ossia per “variazioni funzionali”).

Infine: assoggettare l’opera, dalla concezione al termine del ciclo vitale, a controlli sistematici e rigorosi. Ciò implica la disponibilità, da parte del Cliente (e del Costruttore), di servizi tecnici, di consiglieri e di esperti fidati e culturalmente aggiornati (in un mondo ideale, così dovrebbero essere anche i decisori politici).

– il Concessionario (del Polcevera) informa che sarebbero stati eseguiti controlli, nel tempo, continui ed estesi. I risultati dei controlli (extra-tecnici, parziali e riassuntivi, pubblicati dalla stampa e reperibili in rete) sono variabili: da allarmanti a ottimistici (talvolta le relazioni tecniche sono scritte in termini inopportunamente “diplomatici”)
– la questione dei controlli è vitale: devono essere eseguiti indipendentemente dal Costruttore (nel caso, il Concessionario), anzi: “contro” il Costruttore (una volta, dell’ispettore, si diceva il Contrario…).

È inteso peraltro che i controlli propri del Costruttore sono doverosi e un bene.
I controlli sono essenziali specialmente nella fase di costruzione: una progettazione, anche “perfetta”, potrebbe essere indebolita, se non demolita, da una non buona qualità di esecuzione (non si affrontano in questa sede le questioni “Qualità” e “Sistemi Qualità” perché troppo vaste e, talora, demoralizzanti).
Si ripete, a costo di essere ossessivi, che controlli continui, efficaci e, soprattutto, non “compiacenti” sono semplicemente necessari.
Con l’occasione: si devono limitare ai soli casi di vera convenienza (tecnologica) le “terziarizzazioni”, spesso vendute come “subappalti”, portatori certi di competenza povera.

Ringraziamo l’ingegner Maurizio Gentilomo per questa disanima dettagliata, che purtroppo difficilmente raggiungerà le ‘sedi competenti’.  Se qualche quotidiano o settimanale vorrà riprenderlo, il testo è libero da copyright. Noi lo abbiamo pubblicato certi di fare un servizio giornalistico corretto, anche se marginale alle specifiche tematiche della nostra testata.