Il convegno di due giorni “Future Factory 2021: il domani al servizio dell’uomo” sembra confermare che l”industria grafica italiana stia cambiando e maturando verso un approccio più consapevole verso le richieste di consumatori e brand e su come affrontare temi chiavi come sostenibilità, innovazione, formazione e networking. Forse si sta imboccando la strada giusta, ma attenti alle sirene.

Future Factory, l’evento annuale organizzato da Acimga, tappa principale della roadmap per Print4All in programma dal 3 al 6 maggio 2022, segna l’evoluzione del settore della grafica e della comunicazione come opportunità di incontro tra i produttori di tecnologia, i trasformatori, gli stampatori, i brand owner e GDO. I relatori che si sono presentati sul palco ci hanno dato l’impressione che molte cose stiano cambiando in un mondo statico, qual è per tradizione quello dell’industria grafica.

Questa almeno è l’impressione di chi da oltre 30 anni segue dall’esterno questo mondo variegato, ma pur sempre statico: ma almeno a giudicare dagli interventi sembra che l”industria grafica stia vivendo una nuova adolescenza e stia migliorando.

Nuovi approcci

Come rilevato dal presidente di Acimga, Daniele Barbui, negli ultimi anni sono maturati diversi trend, come la printing convergence, ma soprattutto sono cambiati gli approcci e le richieste di consumatori e brand, che hanno accelerato la diversificazione delle imprese di stampa, oggi più impegnate nella ricerca di nuovi sbocchi di mercato e di nuove soluzioni tecnologiche, ma anche di un nuovo modo di vedere il mondo esterno, anche in chiave di sostenibilità.

Concetti ribaditi da Antonio Maiorano, Presidente di ARGI, secondo cui “le grandi sfide con cui il mercato è oggi chiamato a interfacciarsi confermate al centro di un progetto che coniuga innovazione, formazione e business networking.”

Cosa succederà dopo?

Piuttosto che una cronaca dell’evento – per chi è interessato sarà disponibile la registrazione da parte degli organizzatori,  in particolare per le relazioni dei produttori di tecnologie che hanno sponsorizzato l’evento – ci vorremmo limitare qui ad alcune considerazioni che ci hanno particolarmente colpito.

Betrand Badré – CEO e fondatore di Blue come un Capitale Sostenibile Orange – ha sottolineato il nuovo paradigma portato dalla Covid perché ora ci stiamo chiedendo “cosa succederà dopo?” Ora dobbiamo capire a che punto siamo, non più il profitto come fine, perché dopo la crisi finanziaria abbiamo preso la decisione collettiva di una economia resiliente con attenzione ai cambiamenti sociali e ambientali. “Non eravamo sulla strada giusta – ha detto Badré – ma non eravamo sicuri di cosa andava fatto, e oggi dobbiamo adeguare, aggiustare la nostra economia.”
Ma dobbiamo tuttavia chiederci se questa è una tendenza che riporterà alla cosiddetta normalità.

C’è in effetti ancora molta fragilità e non è stata ancora raggiunta una politica condivisa da tutti: il sistema deve cambiare dal punto di vista collettivo. Consumatori e produttori devono mettere la sostenibilità al primo posto e l’Europa ha una grande responsabilità; dobbiamo decidere noi cosa faremo, dobbiamo decidere come dobbiamo spostare la nostra economia.

Ma c’è una collisione perché ogni società cerca il profitto: invece stiamo migrando verso un nuovo sistema. Una sfida è trovare soluzioni profittevoli; il profitto non è da criticare e resta al centro, ma occorre definire tutti i dettagli della nostra vita e l’equilibrio tra profitto, ritorno investimento e sostenibilità. In definitiva dobbiamo considerare il prezzo che dobbiamo pagare per il mercato e il profitto non è necessariamente la performance in sé, perché oggi la sostenibilità è una fonte di business. È un viaggio lungo, ma è già iniziato e siamo tutti coinvolti

Sostenibilità e greenwashing

Sulla sostenibilità si è concentrato il dibattito condotto da Armando Garosci direttore Largo Consumo. Bisogna fare un passo avanti e superare la ‘adolescenza’.

Andrea Alemanni di IPSOS ha esposto i risultati di indagini su quali sono le opinioni delle aziende e delle persone in fatto di responsabilità sociale e sostenibilità. Emerge che ancora si pensa in termini di “adesione volontaria”, perché molti non sono ancora consapevoli che la sostenibilità è un fattore competitivo e mitiga i rischi anche finanziari delle aziende nel lungo termine.
Negli ultimi 10 anni si è passati dal 7% al 9% della conoscenza di sostenibilità (una crescita peraltro ancora bassa) ma già si nota che il consumatore ne tiene conto. E di questo sono consapevoli molti brand e la GDO stessa che orienta le proprie scelte in questa direzione.

La conversione ecologica si afferma solo se appare socialmente desiderabile. Primo, evitare lo spreco e in questo contesto al primo posto viene il packaging (ritenuto eccessivo); al secondo posto il consumo di energia. Ma in particolare la grande accusata è la plastica che appare come la meno sostenibile.

Il tema ambiente non è comunque il primo elemento di preoccupazione, superato da fame, povertà, salute. In fatto di ambiente ci sono ancora il 13% di scettici e il 17% di indifferenti (2018). Nel 2021 i sostenitori passano dal 20 al 23%, ma aumenta anche lo scetticismo dal 13 al 21%.

Credibilità dell’azienda

Un vademecum dell’azienda responsabile deve considerare che il comportamento interno genera credibilità, e quello esterno fa percepire il grado di sostenibilità e reputazione: ma occorre avere una strategia chiara e non esagerare con le iniziative. Poche, ma buone.
Si è poi parlato di circolarità, la quale si fonda sulla cooperazione, garantendo opportunità e parità di accesso e partecipazione, quindi le aziende devono includere al loro interno la diversità per costruire n modello inclusivo e partecipativo da gestire con intelligenza e con la tecnologia. Ma oggi ancora è difficile fare sistema.
In conclusione l’azienda sostenibile è quella che riesce a ridurre il gap tra (auto)percezione e realtà.

Da tutte le relazioni è emerso che è proprio sul packaging che si concentrano molte nuove idee.

Il contesto economico

Molto importante la relazione di Nouriel Roubini – economista, professore di economia alla New York University, consulente della Casa Bianca dal 1998 al 2000, nel 2006 avvertì in un discorso al FMI l’imminente recessione, previsioni che divennero realtà nella crisi del 2008.

Considerato uno dei massimi esperti al mondo in economia e politiche internazionali, Roubini ha elogiato l’Italia di oggi in cui vede una situazione più rosea se ci saranno le riforme previste che porteranno all’innovazione. Ha espresso molta fiducia in Draghi che grazie al suo carisma sta attirando investimenti dall’estero. Ma ha anche avvertito, parole sue, che “se la politica andrà nella direzione sbagliata potrà compromettere quanto ha fatto e sta facendo ora l’Italia e il pericolo sta nell’estrema destra, che se dovesse vincere le prossime elezioni potrebbe riportare indietro l’Italia”.
Non dimentichiamo – ha detto – che la credibilità ottenuta dall’Italia, e di conseguenza delle imprese italiane, attira investimenti: non sprechiamo questa occasione unica e difficilmente ripetibile.

Meno ottimista è stata Paola Mariani – professoressa di diritto internazionale – che teme i problemi dovuti all’antieuropeismo. Sulla apertura dei mercati e la globalizzazione, molto possono fare le imprese, ma dipende dagli enti pubblici. Un regolatore in EU è avvenuto, ma in Italia? Occorrono leggi globali per un mondo globale e occorrono azioni coordinate, ma fino a oggi poco efficaci; il coordinamento internazionale è difficile a livello normativo e – come abbiamo visto in tempo di pandemia – all’Italia è andata bene essere nella UE, altrimenti non saremmo autonomi neppure a livello alimentare. Oggi per il futuro dobbiamo e possiamo essere preparati perché gli eventi anche pandemici ora sono prevedibili: questo è un vantaggio. Il cambiamento climatico deve essere affrontato a livello collettivo, gli stati devono impegnarsi e coordinarsi tra loro, ma anche le imprese possono fare molto a livello internazionale e noi tutti dobbiamo agire.

Confronto tra chi stampa

Chiamate in causa, le aziende di stampa hanno dato il loro parere e contributo.

Nel pack flessibile si tende ad avere prodotto sempre più leggero; evitare i materiali diversi e cercare materiali più sostenibili, ma alla base resta il concetto che bisogna portare il prodotto sano al consumatore. Dobbiamo abbinare la plastica alla carta e meglio utilizzare packaging 100% monomateriale, ma la sfida è ragionare in termini di logica circolare collaborando con la GDO e anche i brand devono essere pronti.

Altro aspetto emerso è che tra 5 anni il 100% dei prodotti confezionati saranno cambiati, quindi già da oggi dobbiamo sviluppare nuove competenze, portare nelle aziende giovani capaci con una visione corretta sia in fatto di tecnologia sia di sostenibilità.

Altro aspetto importante è il greenwashing. Come si fa a riconoscere questo tipo di l’ipocrisia ?
È una attività di marketing demenziale, ma il consumatore è più attento di noi e l’azienda deve stare attenta, e deve comunicare in modo serio.

Inoltre si raccomanda di essere certificati e sostenibili al 100% le aziende devono ridurre i materiale consumati analizzando quali settori privilegiare cui dare priorità, perché non si può fare tutto a impatto zero.

Al termine, si è ringraziato il direttore di Acimga, Andrea Briganti e tutto lo staff per l’ottima organizzazione dell’evento.

L’immagine di copertina è tratta da un’opera di Paul Friedlander, ispirata al futuro