L’assenza di inquinamento luminoso permette ai quechua di osservare e scrutare di notte un cielo pieno di stelle invisibili a noi occidentali metropolitani – gringos –, instaurando con la volta celeste un rapporto molto stretto e profondo, riportandomi alla mente la massima kantiana “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”.

Tratto dalla recensione di Carlo Fraschetti del romanzo andino “Il Segreto dei Dieci Laghi“.
In questa sua recensione, Carlo, che è un forte lettore, colto e appassionato di letteratura, è riuscito a cogliere il vero senso di una incredibile esperienza vissuta dall’autore – genovese che per lunghi anni ha lavorato in Perù e altri Paesi dell’America Latina.

Esperienza nata e vissuta grazie a una serie di speciali coincidenze, forse mai casuali, che hanno permesso all’Autore di conoscere e approfondire una cultura da noi dimenticata.
Già nel titolo – si spiega nella recensione – la parola “segreto” predispone il lettore a volerlo scoprire, come cerca di fare il protagonista del romanzo, un “gringo” genovese che parte alla volta delle Ande, al confine tra Perù e Bolivia, per conoscere l’ultimo erede della dinastia Inca e scoprirà di essere latore di un prezioso documento redatto con la misteriosa scrittura quipu (khypu) composta di nodi colorati utilizzata dagli Inca. Cosa è nascosto tra quei nodi incomprensibili?

Un viaggio compiuto sotto “l’indispensabile guida, come il Virgilio dantesco, di Padre Ruíz un gesuita-quechua che impersona quel sincretismo religioso derivante dalla religione cattolica, imposta dai colonizzatori spagnoli nel XVI secolo e la religione politeista incaica dominata dagli Spiriti della Natura.”

L’intera recensione può essere letta qui.

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