In questa intervista esclusiva a uno dei massimi esperti delle materie plastiche applicate al mondo della stampa, Edoardo Elmi, presidente di Guandong, ne esaminiamo i pro e i contro con una analisi pratica di come queste sono usate e trattate nel campo della stampa, della comunicazione visiva e dell’imballaggio, con le opportune conoscenze e competenze. Problematiche e soluzioni prima e durante e dopo la stampa in digitale e in offset.
Attenzione è poi rivolta al recupero e riutilizzo delle resine plastiche e le potenzialità in termini di recupero energetico e lotta all’inquinamento. Con un approfondimento sulle tecniche descritte.

«Tra il mondo della stampa e il mondo della plastica c’è ancora grande distanza, una enorme impreparazione, che provoca anche qualche diffidenza. Quelli che, nel mondo della stampa, meglio conoscono la plastica sono i serigrafi perché, a differenza delle altre tecnologie, non esiste un inchiostro universale valido per tutti i tipi di materie plastiche, quindi sono costretti a utilizzarne uno specifico per ogni tipo di materia plastica » ci dice subito Edoardo Elmi, appena affrontiamo questo tema mai abbastanza approfondito e recentemente trattato al TAGA Day di Saronno (v. articolo).

«Per uno stampatore digitale la cosa è diversa. Ha una cartuccia che deve andare bene per tutto, dalla carta alla plastica. A lui non interessa sapere che plastica sta stampando
Il digitale ha infatti a disposizione tre tipi di inchiostri: eco-solvente, UV e latex, i tre tipi dominanti nella stampa a getto d’inchiostro. È compito del fornitore, come Guandong, predisporre le superfici dei vari tipi di plastica atti a ricevere indifferentemente i tre tipi di inchiostro.

I problemi della offset

«Quando passiamo alla stampa offset il dialogo è ancora più complicato. Il litografo usa inchiostri ossidativi normali per carta oppure inchiostri ossidativi per fondi non assorbenti: alcuni tipi di carta pattinata, metallizzati e plastica predisposta
In questo campo la prima novità risale a 30 anni fa quando la Komori introdusse la stampa UV con interdeck dopo ogni gruppo stampa. Oltre a ridurre i tempi del post stampa dava la possibilità alla plastica di entrare a pieno titolo nel mondo della offset.

«Dannatamente no, restava il problema dell’elettricità statica. Quindi più che nella stampa in sé, che non è molto diversa dalla stampa su metallizzato per esempio, ma è nella gestione del foglio che sorgono i problemi. Nel mettifoglio non è sufficiente la barra antistatica, ma occorre aria ionizzata, la cui carica contrasta quella che si forma sul supporto. Lo stesso per la raccolta dei fogli in uscita, che una volta rilasciati dalla pinza, devono restare ben allineati e pareggiati. Ma in questo caso è sufficiente la barra in fibra di carbonio. Sì, debbo ammetterlo per lo stampatore offset il percorso di stampa su plastica è ancora un po’ in salita

Il DOC.20, che TAGA Italia ha presentato a Saronno, (La stampa UV sui supporti plastici) è in questo senso un ottimo documento, che fa chiarezza su tutti questi problemi e, come ha affermato Angelo Meroni nel presentarlo “la stampa in sé non è difficile, è una tecnica, che occorre conoscere.”
«Gli esperti di TAGA hanno lavorato molto bene – afferma Elmi – perché sono riusciti a dare spiegazioni semplici ed esaustive

Ma come conoscere la plastica?

Qual è l’aspetto negativo per cui la plastica è così poco conosciuta nel mondo della stampa?

«Tutte le fasi di produzione della plastica sono complicatissimi processi chimici, quindi tutti i trattati che esistono sono per addetti ai lavori che si confrontano fra di loro, trascurando il livello di comprensione che occorre per l’operativo, per colui che la plastica la deve toccare, la deve trasformare: dobbiamo “banalizzare” i contenuti, renderli comprensibili.
«Per inventarmi un linguaggio così banale ci ho messo ben oltre 40 anni, partendo dalla direzione di stabilimenti di produzione di PVC, polipropilene, metacrilato, polistirolo ecc, alla formazione dei collaboratori tecnici e anche ai clienti, dovendo affrontare tutti i problemi relativi alla stampa della plastica fin dagli inizi» chiarisce Elmi la cui esperienza è indiscutibile.

Quando nel 1989 Edoardo Elmi avviò Caledonia l’idea vincente fu quella di mettere a disposizione del comparto della comunicazione visiva materiali plastici pronti per la stampa; inizialmente quasi solo serigrafia, poi la gamma è andata oltre.

«Come avete affrontato le varie specificità ?»

«È sempre stato nostro compito comprendere come funzionano le varie tecnologie di stampa e ancor più comprendere come reagiscono i vari tipi di inchiostro quando impattavano le superfici dei vari materiali: era ed è nostro compito predisporre le superfici attraverso la primarizzazione o attraverso la compoundizzazione, vale a dire la preparazione di formulazioni attraverso lo scioglimento e la miscelazione di polimeri allo stato fuso, additivi e/o cariche, per ottenere materiali che combinino perfettamente con i vari tipi di inchiostri utilizzati nelle molteplici tecnologie di stampa. Va da sé che un bel po’ di impegno ce lo deve mettere anche l’operatore di macchina

Una lezione sintetica e molto chiara la troviamo nel citato DOC.20 di Taga Italia. Sono i primi 5 capitoli dove Edoardo Elmi ha attivamente collaborato per la stesura del documento, che illustra nel dettaglio, ma in modo molto comprensibile, i vari tipi di materie plastiche usate in stampa.

Guandong store

Il magazzino di Guandong è strutturato e viene gestito sulla base delle previsioni delle richieste del mercato, in modo tale da avere disponibilità di tutti i supporti pronti per la stampa con una autonomia di oltre quattro mesi. Questo per garantire un servizio puntuale anche nella eventualità di ritardi nelle consegne da parte della produzione. Produzione che opera sulla base di ben definiti capitolati con il management delle varie sedi produttive.

L’ambiente e l’energia

Nella seconda parte di questa intervista Edoardo Elmi affronta il discorso dell’ambiente.
Nel mondo della stampa la plastica è utilizzata per la comunicazione visiva, per le carte di credito e card di cortesia di ogni tipo e ogni tipo, per il mondo delle etichette e infine per il grande mercato dell’imballaggio. Questo costituisce circa il 20% della plastica: la maggior parte è utilizzata per prodotti duraturi, che quindi non richiedono uno smaltimento a breve termine.

«Certamente l’imballo è quello maggiormente accusato di inquinare. Ma non dimentichiamo i vantaggi indiscutibili che l’imballo in plastica dà alla conservazione dei prodotti alimentari, deperibili. L’alternativa, per ora, è la carta, ma pur sempre accoppiata alla plastica per garantire l’effetto barriera. Che quindi non risolve il problema. Quindi perché, anziché considerarlo un problema, non lo consideriamo una soluzione? »

Ma come?
Escluse le ‘card’ tutto il resto non è, o meglio non dovrebbe essere, PVC, l’unica plastica difficile da smaltire, e che nella combustione potrebbe generare gas tossici.

«La UE dovrebbe vietare l’uso del PVC negli imballi in generale e nell’imballaggio a perdere in particolare. Questo è il primo passo. Ma poi viene il problema del riutilizzo delle plastiche in generale. Perché la plastica – prosegue Elmi – anziché essere riciclata, termine tanto di moda, operazione che comporta grandi costi energetici e di inquinamento delle acque, sarebbe molto più opportuno che venisse utilizzata per produrre energia, in sostituzione di carbone e petrolio. Questo è possibile semplicemente perché tutta la plastica, ad eccezione appunto del PVC, viene prodotta da derivati della raffinazione, ottenuta dagli stessi prodotti derivati del petrolio, pertanto nella combustione conserva tutto il potere calorico della materia prima di base, il petrolio. Non deve sfuggire il principio ben asseverato che recita “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.»

Come dicevamo, escluso il PVC, tutte le altre plastiche bruciano con la capacità di produrre calore come fosse gasolio, e le cui emissioni in atmosfera sono equivalenti appunto a quelle del gasolio.
Approfondiamo questo tema in appendice. *

E per quanto riguarda il PVC come la mettiamo?

«Il PVC è una importante resina con qualità enormi, basti pensare che nasce autoestinguente in modo naturale senza l’aggiunta di componenti asfissianti. È indispensabile per tutto il mondo della mobilità: auto, aerei, navi, e inoltre nella costruzioni di impianti elettrici ecc. Il PVC è assimilabile alle tecnoresine per tutte le sue eccellenti caratteristiche ed è un peccato sprecarlo per la produzione di semplici imballi.»

Ma allora perché si continua a usare PVC anche per gli imballaggi?

«Purtroppo nel mondo c’è una esagerata domanda di soda e la soda si ricava del sale (salgemma). Il sale è un cloro-soda: quindi per avere la soda mi rimane il cloro che è un gas che in qualche modo va utilizzato e non basta quello che utilizziamo per la candeggina (circa il 3%); la sola alternativa è l’utilizzo del cloro residuo nella produzione di PVC. Quindi grande richiesta di soda, grande disponibilità di PVC che va utilizzato anche ricorrendo al sottocosto. Ecco perché spesso troviamo il PVC a prezzi talmente bassi da far concorrenza a tutte le altre resine e quindi utilizzato anche per impieghi impropri

Condividiamo l’idea di Elmi, ma per far questo bisogna incentivare il recupero degli imballi, non bastano i cassonetti gialli, bisogna far sì che il consumatore sia invogliato a recuperare il packaging.
Come? Per esempio con una raccolta presso la GDO con un rimborso, come il vuoto a rendere. Cosa non certo impossibile, visto che già è attiva in Germania, dove all’ingresso dei supermercati ci sono contenitori nei quali metti la bottiglietta o il sacchetto di plastica ed esce un buono che sconti alla cassa. Studenti e pensionati, arrotondano la giornata raccogliendo la plastica, potrebbero farlo anche bussando alle porte delle famiglie, togliendo loro persino questa incombenza. **

Elmi terminava la relazione al TAGA Day con il suo ‘Viva la plastica‘. Bene, possiamo condividere, ma vorremmo anche aggiungere ‘Viva il recupero intelligente della plastica‘.

Approfondimento

Come ha sempre affermato Edoardo Elmi, ricordiamo che non sarebbe corretto dire ‘plastica’, il termine corretto è resine sintetiche. Perché sono tutte resine ottenute con il processo di sintesi e non con un processo naturale come ad esempio la resina lattice (gomma naturale).  Vediamone quindi una sintesi per quello che riguarda il mondo della stampa, comunicazione visiva e imballi, che sono le resine dette termoplastiche perché tramite l’applicazione di calore e pressione sono modellabili.
Queste sono:
polietilene tereftalato, PET (bottiglie, film, tubi, vaschette e blister, contenitori e imballaggi, etichette)
polietilene ad alta densità, HDPE (flaconi per detersivi o alimenti, giocattoli, tappi in plastica, tubi per il trasporto di acqua e gas naturale);
polietilene a bassa densità LDPE (film flessibili e pellicole, da cui derivano anche sacchetti e buste per alimenti)
polipropilene, PP (imballaggi rigidi e imballaggi flessibili quali film per imballaggio automatico, articoli casalinghi, giocattoli)
polistirene (o polistirolo), PS (espansi per imballaggi e manufatti alleggerenti, isolanti, fonoassorbenti per l’edilizia, stoviglie monouso, tutta la parte interna dei frigoriferi )
cloruro di polivinile, PVC (pellicola rigida e plastificata per “imballi”, card, dischi fonografici, oltre a impieghi industriali)

Il riciclo della plastica può essere effettuato attraverso metodi differenti che permettono il recupero di materia, oppure di energia, come auspica Elmi.
«Le materie plastiche ottenute da etano e propano come sono polietilene e polipropilene e tutte le altre tranne il PVC, possono essere destinate al recupero energetico mediante il processo di termovalorizzazione, dopo uno specifico trattamento di selezione e triturazione per ricavare combustibili alternativi utilizzati nei processi industriali e per la produzione di energia termoelettrica. 
«Nella termovalorizzazione è importante specificare che non si parla di incenerimento (basso recupero di energia) ma di incenerimento e co-incenerimento con forte recupero di energia, che è una forma di recupero energetico ed è quindi preferibile allo smaltimento in discarica.
«Per le materie plastiche utilizzate nel packaging, – prosegue Elmi – il recupero di energia è quindi la soluzione più efficiente in termini di risorse disponibili rispetto al collocamento in discarica o persino al riciclo forzato, promosso da alcune associazioni, perché hanno un potere calorifico superiore alle 5.000 kcal per kg, simile a quello del carbone o dell’alcool etilico. Tramite impianti specializzati si possono produrre a partire da questi materiali combustibili che sono poi utilizzati preferibilmente in sostituzioni dei combustibili fossili in impianti termici esistenti, ma anche nei termovalorizzatori di ultima generazione

Ricordiamo che secondo uno studio di PlasticEurope (2014) il recupero energetico delle materie plastiche attualmente non riciclabili in modo sostenibile, potrebbe contribuire alla generazione di 300 TWh all’anno di energia in Europa, equivalenti al consumo di 30 milioni di persone, 10 milioni di barili di petrolio, oppure al 23% del gas europeo importato o alla produzione di 300 centrali a carbone.
Fonte: Amici dellaTerra promosso da Ministero dell’Ambiente ; partner scientifico LEAP Laboratorio Energia Ambiente Piacenza.

Quindi, quando il riciclaggio e il recupero non sia tecnicamente e operativamente possibile, al fine di prevenire lo smaltimento in discarica, è indispensabile consentire – e agevolare il più possibile – il recupero energetico dei rifiuti.

Ciò che sorprende è il ‘silenzio’ delle istituzioni che sembrano demonizzare la termovalorizzazione.
Invece, l’indice di efficienza energetica, viene calcolato con una formula specifica ***.
Quando il risultato è pari o superiore a 0,60 si consegue la qualifica di recupero energetico R1. Nel caso del mancato raggiungimento della soglia applicabile, l’incenerimento è classificato come operazione di smaltimento (D10), con tutte le conseguenze in tema autorizzativo e, non ultimo, di applicazione dell’eco-tassa.
La qualifica di recupero energetico (R1) è attribuita quando l’incenerimento dei rifiuti urbani contribuisce in modo significativo alla produzione di energia per i comparti direttamente beneficiari siano essi civili o industriali.

Vogliamo aggiungere che da uno studio promosso da IllyCaffè, allo scopo di utilizzare le capsule caffè per generare combustibili, risulta che i gas prodotti dalla combustione delle capsule, sono idrocarburi alifatici lineari saturi e insaturi privi di idrocarburi aromatici e quindi non nocivi.
Tesi di laurea (Università di Padova) ‘Indagine Sperimentale sulla Decomposizione Termica Selettiva di Polietilene e Caffè’  https://core.ac.uk/download/pdf/19496063.pdf

La plastica si mangia?

Alternativo è lo smaltimento smaltimento tramite funghi (micorrize). È stato trovato, e sperimentato, che alcuni funghi digeriscono la plastica abbandonata in natura (I); altri digeriscono il poliestere e il poliuretano (II).
Il micologo Trad Cotter, tramite la sua organizzazione Mushroom Mountains, ha avviato una iniziativa di crowd-sourcing per la raccolta di funghi in luoghi insoliti (vedi www.newfoodeconomy.org/ )

(I) Brunner, M. Fischer, J. Ruethi, B. Stierli, B. Frey, Ability of fungi isolated from plastic debris floating in the shoreline of a lake to degrade plastics, 2018
(II) S. Khan S. Nadir, Z. Shah, S.C. Karunarathna, J. Xu et al., Biodegradation of polyester polyurethane by Aspergillus tubengensis, 2017

NOTE


Se il polimero innesca la fiamma a 300°, a 1400° si originano radicali liberi che contengono O2 ad alta energia e pertanto mantengono la combustione. I prodotti finali di combustione sono CO2 e acqua. Si può formare un aerosol, il char, composto al 90% da C, 3% H e 7% N (G. Malucelli – Politecnico Torino)

**
La raccolta differenziata è la prima fase del processo di riciclo, ed è quindi fondamentale che sia effettuata in modo attento e consapevole, perché si tratta di un processo efficace e sostenibile solo se applicato nel modo corretto.
Nella raccolta differenziata della plastica dovrebbero essere conferibili solo gli imballaggi, ossia quei manufatti concepiti per contenere, trasportare, proteggere merci in ogni fase del processo di distribuzione (v. sopra).
Gli oggetti in plastica non-imballaggio non possono essere immessi nella raccolta differenziata e devono essere gettati nell’indifferenziato per non gravare sui processi di selezione pre-riciclo e sui loro tempi e costi.
I materiali da imballaggio riciclabili sono caratterizzati da codici (stabiliti come standard internazionale SPI – Society of Plastic Industry) utilizzati per l’individuazione del materiale proprio ai fini del riciclo.

***
R1 = Ep – (Ef + Ei)    0,97 * (Ew +Ef)
dove :
Ep = Energia annua prodotta sotto forma di energia termica o elettrica, calcolata moltiplicando l’energia sotto forma di elettricità per 2,6 e termica prodotta per uso commerciale per 1,1 (GJ/anno)
Ef = Alimentazione annuale di energia nel sistema con combustibili che contribuiscono alla produzione di vapore (GJ/anno)
Ei = Energia annua importata, escluse Ew ed Ef (GJ/anno)
Ew = Energia annua contenuta nei rifiuti trattati, calcolata in base al potere calorico netto dei rifiuti (GJ/anno)
0,97 = Fattore corrispondente alle perdite di energia dovute alle ceneri pesanti (scorie) e alle radiazioni.

Tale formula è stata aggiornata e corretta (o meglio sostituita) dal legislatore italiano con D.M. 07.08.2013 e poi dall’art. 1/comma 1 D.M. 19.05.2016 n. 134, introducendo il fattore climatico (CCP) non previsto nelle linee guida UE del 2011:
R1 = Ep – (Ef + Ei). CCP 0,97 * (Ew +Ef).