A proposito del Trattato di Ninfeo, la convenzione firmata nel 1261 tra Genova, e l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo, di cui parliamo in “Una chiesa nel vigneto”, un lettore mi chiede quale sia l’origine del detto “perdere la trebisonda”.

Marco Mussini, mi scrive Un suggerimento che mi sento di offrire è quello di inserire dei link di approfondimento esterni… per esempio la citazione di Trebisonda (non so quanti sappiano distinguere fra una importante e storica città della Turchia e la citazione “perdere la trebisonda”, potrebbe essere approfondita con un link alla pagina Wikipedia (o analoga pagina).”

Eccoti accontentato.

A seguito del suddetto Trattato, Genova ebbe in concessione territori e porti in Crimea e in tutto il Mar Nero, oltre che sulle coste del Bosforo e nella stessa Bisanzio con il quartiere genovese di Galata.

Fatte le debite proporzioni, la stessa domanda la pose Eugenio Scalfari a Umberto Eco (L’Espresso agosto 2007). La risposta di Eco fu semplice, rimandando alla Treccani: “Perdere la trebisonda è un’espressione della lingua italiana con cui si intende perdere il controllo, essere confusi e disorientati.  All’origine vi sarebbe il fatto che la città di Trebisonda (in turco Trabzon), affacciata sul Mar Nero, nell’antichità fu una sorta di faro per tutti i naviganti che viaggiavano sulla rotta tra Europa e Medio Oriente.”

Umberto Eco aggiunge che per i mercanti perdere la rotta di Trebisonda significava perdere il denaro investito nel viaggio. Ma cita un’altra spiegazione, che ritiene più attendibile. Trebisonda costituiva un punto di riferimento visivo per le navi, perdendo il quale si perdeva l’orientamento, o la bussola, o la tramontana. 

Su quest’ultima, che è comunque la più accreditata, ho qualche dubbio. È vero che la sua posizione sulla costa sudorientale del Mar Nero era talmente importante per i naviganti che, in caso di nebbia o burrasca, il non vederne il faro poteva pregiudicare la navigazione. Ma il porto di Trebisonda si trova praticamente al termine del viaggio, almeno per chi giunge da occidente.

Nell’antichità – afferma ancora Eco – prima gli elleni e i romani, poi i genovesi, commerciavano con i colchidi (in seguito chiamati Lazica). A quel tempo Trebisonda era un porto molto importante per fare una pausa e trovare la strada per i Colchidi. Perdere Trebisonda avrebbe significato perdere la Colchide.” 

Dunque il significato andrebbe inteso in senso metaforico: non giungere al porto (obiettivo) finale.

Riguardo a questa ipotesi, c’è una interessante spiegazione ‘tecnica’ data da un comandante camoglino: l’entrata in porto a Trebisonda era (ed è) piuttosto difficile a causa delle secche. Solo con una buona conoscenza dei ‘corridoio’ navigabile da parte del comandante delle navi permetteva l’ingresso sicuro. Altrimenti si perdeva la Trebisonda.

Se poi il significato non è solo quello di ‘perdere la bussola’ ma anche quello metaforico di perdere il controllo, inquietarsi, si potrebbe risalire a un altro significato, tutto genovese. E poiché non sappiamo se il detto era già in uso ai tempi dei romani, possiamo ritenerlo plausibile.

Genova perdette i suoi possedimenti in Crimea e sul Mar Nero nel 1461 quando sotto l’attacco Ottomano caddero le varie colonie e, ultima, Caffa (l’Impero Romano d’Oriente era già caduto nel 1453). Fino ad allora Trebisonda era un importante porto genovese, emporio mercantile di prim’ordine poiché era lo sbocco naturale dell’Armenia a nord sul Mar Nero. Perdere Trebisonda era dunque ben piú che perdere l’orientamento o la rotta. La perdita delle colonie di Crimea e Turchia determinò infatti una grave crisi economica per la città e Genova dovette rivolgere la sua attenzione verso occidente. Ma questa è un’altra storia.

L'espansione di Genova nel Mar Mediterraneo

L’espansione di Genova nel Mar Mediterraneo (fonte Wikipedia)

Nell’immagine in alto una fortezza genovese in Crimea