Parafrasando quella frase idiota sempre più in voga per giustificare gli errori del passato, vediamo di applicarla alla plastica: è diabolica o ha fatto cose buone? È veramente all’origine di tutti i mali? E una proposta per un differenziato intelligente.

A gennaio entrerà in vigore (forse, perché siamo abituati ai ripensamenti) la famigerata plastic tax. Una tassa voluta e applicata  con l’obiettivo di ridurne il consumo e, di conseguenza, di ridurre l’inquinamento da plastica.
Una ragione molto superficiale, che non tiene assolutamente conto della realtà. Non intendiamo con queste parole contestare le sacrosante e doverose ragioni degli ambientalisti, di cui ci sentiamo di far parte. Ma riteniamo che un minimo di ragionamento potrebbe essere utile per comprendere meglio come stanno le cose. E magari, migliorarle.

Questa immagine, tratta da La Settimana Enigmistica e che nelle intenzioni dell’autore vorrebbe essere una barzelletta, è indicativa del comune sentire.
La plastica inquina. Vero, ma…

Ma partiamo dalla plastic tax: questa peserà sì sull’industria del packaging, ma danneggerà anche il consumatore perché il costo della tassa si riverserà per forza sul prodotto finale imballato e distribuito tramite la GDO. Che non farà sconti, come già si è visto con i sacchetti per la verdura sui cui il governo aveva imposto il costo di 1 centesimo (oggi passato in silenzio a 2 centesimi) pagato dal consumatore finale (e a favore di una sola industria produttrice).
In più, toglierà fondi  alle industrie produttrici di film per il packaging, per la ricerca e sviluppo di nuovi film sintetici degradabili e compostabili.

A questo proposito è notizia di queste ore che un grande gruppo GDO francese ha deciso di abolire questi sacchetti perché “anche se sono in gran parte costituiti da materiali vegetali e di conseguenza, almeno in teoria, dovrebbero essere compostabili,  ma solo a livello industriale” quindi in pratica ritenuti non compostabili.

Plastica o microplastica ?

E veniamo all’inquinamento.  Vero, si trova troppa plastica in mare, sulle spiagge e non solo. Ma quella è plastica che proviene in gran parte dall’inciviltà e dalla maleducazione dei cittadini, non direttamente dall’industria che la produce.

L’industria che maggiormente è responsabile dell’inquinamento da plastica, e per la precisione da microplastica, è quella che produce e utilizza fibre di plastica per i tessuti e l’abbigliamento.  In questo caso è vero che l’inquinamento è preoccupante e dannoso, considerate le tonnellate di microplastica che si trovano imprigionate nei ghiacciai e, di conseguenza, nelle falde freatiche. E quindi nell’acqua che beviamo, anche l’acqua minerale, per intenderci. In tutto il mondo
A nostro modesto parere, quindi, è qui che i governi dovrebbero intervenire: educazione, controllo e miglioramento dello smaltimento, controllo della produzione e diffusione delle microplastiche (per la maggior parte smaltite con le acque di scarico dalle lavatrici domestiche). Naturalmente con la collaborazione dell’industria produttrice di plastica e manifatturiera, che la plastica utilizza.
Di questi tempi, e in questi giorni, si fa un gran parlare di packaging sostenibile: ma il nostro timore è che siano parole al vento, teorie con poca pratica.

Smaltimento

Riguardo lo smaltimento, l’industria potrebbe collaborare fattivamente, ad esempio con un sistema razionale di cassonetti che si aprono solo ‘leggendo’ un codice nascosto nel film in modo da obbligare il cittadino a smaltirla nei cassonetti giusti (c’è un progetto in proposito studiato da un gruppo di studenti cui rimandiamo). Naturalmente incentivando i virtuosi con sconti ai supermercati. Ma questo è un discorso troppo futuristico perché possa essere preso in considerazione.
Oggi assistiamo a tavole rotonde sull’economia circolare. Ma perché questi non restino discorsi fatti solo a se stessi,  è importante che tutti agiscano anche sul campo – istituzioni, scuole, associazioni industriali, produttori, GDO e consumatori – e che nessuno si nasconda dietro al paravento dei convegni.

PS : ci rendiamo conto che questo articolo potrà infastidire qualcuno, suscitare proteste e ‘distinguo’. Siano quindi pronti ad aprire quindi un dibattito e a intervistare industrie produttrici, associazioni e la stessa CONAI, che abbiano argomenti sostanziosi di cui parlare.