Il cambiamento climatico costerà fino a 178 trilioni di dollari. Tecnologia e finanza sono le leve da sfruttare per la Transizione Ecologica. Secondo uno studio di Deloitte, il costo del cambiamento climatico potrebbe arrivare a 178 trilioni di dollari nei prossimi cinquant’anni; un’azione risoluta per affrontare il fenomeno, invece, potrebbe generare fino a 43 trilioni di dollari di benefici aggiuntivi; nuove tecnologie e riorientamento dei flussi di capitale gli elementi fondamentali per avviare una Transizione Ecologica efficace. Ma siamo certi che le misure dettate dalla politica (e dalle lobby) siano corrette?

Avverto subito che la frase conclusiva del periodo riportato sopra è mia e non di Deloitte. Ma nel riportare i dati di Stefano Pareglio, Independent Senior Advisor di Deloitte, non possiamo rinunciare alle nostre osservazioni.

«Un cambiamento negli stili di vita, di consumo e di produzione – afferma Stefano Pareglio – unito a un riorientamento dei flussi di capitale e a un ricorso massiccio alle nuove tecnologie, sono elementi fondamentali per mantenere l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5°C a fine secolo, traguardo ancora raggiungibile se agiamo con determinazione fin da ora. Finanza e tecnologia rappresentano, infatti, leve decisive per sostenere un cambiamento duraturo e diffuso, che rappresenterebbe anche una straordinaria occasione di crescita economica e di sviluppo per nuove industrie e aree del pianeta

Innanzi tutto rileviamo che è da oltre un decennio che si continua a ripetere, come se fosse la prima volta, di un traguardo “raggiungibile se agiamo subito”. Ma quel ‘sùbito’ ci sembra ormai passato.

Del resto come afferma Deloitte, “L’inazione contro il cambiamento climatico potrebbe costare all’economia globale 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni. Nel 2070 la perdita media annua del Pil si assesterebbe sul -7,6%, rispetto a uno scenario non affetto dal cambiamento climatico. Al contrario, accelerando rapidamente il processo di decarbonizzazione, l’economia globale potrebbe guadagnare 43 trilioni di dollari nei prossimi cinque decenni.

Dati riportati dal report Global Turning Point Report 2022 di Deloitte.

«Siamo tutti chiamati ad agire, a tutti i livelli: governi, istituzioni, imprese, società civile e singoli cittadini – commenta Franco Amelio, Deloitte Sustainability Leader –. Il Global Turning Point Report 2022 di Deloitte sottolinea come l’inazione nei confronti del cambiamento climatico possa portare a perdite economiche oggi ancora evitabili e come invece, al contrario, un rapido processo di decarbonizzazione porterebbe a un guadagno globale di circa 43 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni. Guardando in particolare al mondo delle imprese, quelli che all’inizio possono apparire come costi, per esempio in nuove tecnologie, si tradurranno infatti in benefici economici nel medio periodo, con impatti positivi che andranno ben oltre il perimetro dell’organizzazione stessa

Secondo il report, sono quattro gli elementi chiave su cui agire per favorire la decarbonizzazione a livello globale:

1. la collaborazione tra settore pubblico e privato, per la costruzione di politiche efficaci volte a guidare il cambiamento;
2. investimenti da parte delle imprese e dei governi, per promuovere cambiamenti strutturali nell’economia globale tali da privilegiare le industrie a basse emissioni e accelerare la transizione verde;
3. l’impegno, in ogni area geografica, a gestire i rispettivi “turning points”, ossia il momento in cui i benefici della transizione verso la neutralità carbonica superano i corrispondenti costi, guidando così una crescita regionale positiva;
4. sulla base del relativo turning point, i sistemi economici e sociali locali devono promuovere un futuro più sostenibile, ovvero un’economia decarbonizzata in grado di crescere a tassi maggiori rispetto a una equivalente economia carbon-intensive.

Messaggi chiave

I messaggi chiave del Global Turning Point Report di Deloitte sono allineati con le evidenze del VI Assessment Report – WG II dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che sottolinea come un ritardo nell’azione di mitigazione delle emissioni climalteranti metta a rischio il futuro dell’uomo e del pianeta. Il costante aumento della temperatura media terrestre e il livello attuale e prospettico delle emissioni antropiche impongono così urgenti azioni di adattamento, le quali però, superata la soglia di 2°C, oltre a divenire assai più costose, perderebbero anche drasticamente efficacia.

Ma chi decide cosa e come fare? Le decisioni sono in mano a persone che si occupano di politica, nel senso che sono stati messi in politica non per competenze specifiche in tecnologie e climatologia, ma interessi di partiti, non solo in Italia, naturalmente. E gli interessi dei partiti sono strettamente legati alle lobby di alcuni settori industriali a grande impatto sull’economia globale.

Ora, ci chiediamo, possono queste persone essere in grado di decidere cosa sia corretto fare e quali provvedimenti prendere? Si affidano a consulenti veramente competenti e al di sopra delle parti? Qualche dubbio è legittimo, fino a prova contraria. E per ora di prove contrarie non ne abbiamo viste. Per ora si parla, e per parlare si fanno grandi incontri internazionali in cui dominano i viaggi aerei e le cene di gala, tutte attività non certo ‘decabonizzanti’.

Il rischio è a casa nostra

Ciliegina sulla torta, è il fatto che il Mediterraneo è considerato un vero e proprio “hotspot” del cambiamento climatico: si è riscaldato e continuerà a riscaldarsi più della media mondiale – come afferma ancora Deloitte.
oggi la temperatura media è di +1,5°C rispetto al livello preindustriale, contro una media globale di +1.1°C. Guardando all’Italia, con uno scenario di riscaldamento globale di circa 3°C si verrebbero [diciamo pure ‘se verranno’ – ndr] a verificare enormi danni in termini economici, ambientali e per la salute umana. Nei prossimi 50 anni – secondo il Report di Deloitte Italy’s Turning Point – Accelerating New Growth On The Path To Net Zero 2021 – tale scenario potrebbe costare circa 115 miliardi al 2070, l’equivalente di una caduta del 3,2% del PIL al 2070.
La risorsa “acqua” è, e sarà sempre secondo Deloitte, la più critica nell’area mediterranea, come purtroppo già testimonia la siccità che ha caratterizzato i primi mesi del 2022 nel nostro Paese.

Quindi? C’è una soluzione seria in vista, o continuiamo a fare studi, report, riunioni che alla fina lasciano il tempo (letteralmente) che trovano?