9 Ottobre 1963. La tragedia del Vajont. Si tende troppo a sottovalutare le gravissime colpe, che chiamano incuria, dei poteri forti.

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Marco Paolini

Il giorno seguente alla terribile notizia ero all’Istituto di Geofisica a preparare la mia tesi di laurea in Geologia. La notizia giunse solo nel pomeriggio, perché i giornali del mattino non fecero a tempo a ricevere e mandare in stampa un evento che era accaduto poco prima delle ore 23 quando ormai le redazioni erano chiuse e il piombo delle Linotype erano già freddi.
Chiaramente in Istituto quel pomeriggio si parlò solo della frana che da Monte Toc (in veneto ‘pezzo’ e in friulano ‘marcio’) si riversò nel bacino del Vajont distruggendo i paesi di Erto e Casso, già allertati, ma soprattutto la città di Longarone per la quale nessun allarme era stato dato.

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Un articolo dell’epoca di Tina Merlin

9 ottobre, è appena trascorso il 53° anniversario. E solo Marco Paolini lo ha ricordato con una replica di uno dei suoi meravigliosi monologhi, mandato in onda nel 40° anniversario nella valle della famigerata diga. All’epoca per i giornali, per la televisione, per l’opinione pubblica quella del Vajont fu una catastrofe naturale. Come un terremoto, un’alluvione. Colpa di nessuno. Invece no: non fu una catastrofe naturale, ma colposa per leggerezza, insipienza, malafede. E una politica come sempre dalla parte del più forte (e più ricco).
Solo molti anni dopo, l’esame dei documenti del processo, per anni inaccessibili, ha rilevato una delle tante magagne italiane: una Società privata (la SADE) che comanda su politici e governo; che denuncia l’unica giornalista che aveva avuto il coraggio di scrivere, anni prima, la verità che tutti nascondevano: Tina Merlin de L’Unità ‘per aver diffuso notizie false e atte a turbare l’ordine pubblico‘ (per la cronaca al processo svoltosi a Milano la giornalista viene assolta in sei ore con formula piena). Le notizia che diffondeva erano vere.
Da notare anche, che “Dopo la tragedia, la tv francese si ricordò di Tina Merlin e volle intervistarla. Numerosi tentativi furono portati avanti perché il filmato non andasse in onda e fosse censurato, perché per le autorità italiane avrebbe gettato discredito sul governo” – Corriere della Sera.
Una diga programmata fin dagli anni ’30 che doveva creare un bacino di 68 milioni di metri cubi di invaso, con una variante d’opera viene alzata di 60 metri e l’invaso portato a 150 milioni di metri cubi. Le acque del lago artificiale andavano così a intaccare la stabilità della montagna (la diga più alta del mondo). vajontgrafica
Le perizie geologiche (del 1937 e ripetute negli anni ’50) erano state superficiali e tendevano a sminuire i rischi, perché così volevano i proprietari della SADE. L’ingegnere del Genio Civile di Belluno, informato delle preoccupazioni della popolazione e dalla giornalista, interviene per bloccare i lavori, ma dal Ministero dei Lavori Pubblici (il ministro è Togni) viene immediatamente sollevato dall’incarico, spostato ad altra sede e sostituito con uno più malleabile. Dopo insistenze si chiede la perizia di un luminare : il professor Leopold Müller dell’Università di Salisburgo, il quale con accurati carotaggi attesta che il versante del monte Toc è una paleofrana (una frana antica) che potrebbe, sollecitata dall’acqua, riprendere il suo rovinoso corso a valle. Rileva che la frana è profonda centinaia di metri ed è costituita da 200 milioni di metri cubi di terreno altamente instabile. Ma il barone dell’Università di Padova, il geologo Dal Piaz, titolare (sia pure emerito) della cattedra di Geologia, sostiene che non c’è nessuna frana instabile se non un ‘piccolo movimento superficiale’ (e pensare che all’epoca noi studenti di geologia usavamo i suoi testi).
La centrale elettrica del Vajont doveva entrare in funzione nel 1963. Già nel giugno 1960, in occasione della prima prova d’invaso, il versante comincia a franare. E ancora, in occasione di una pioggia torrenziale il 4 novembre del 1960, la frana si fa minacciosa. Ciò nonostante si va avanti.

Longarone, il giorno dopo

Longarone, il giorno dopo

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Non per piangere, ma per non dimenticare le colpe

Tina Merlin insiste: intervista i montanari, parla con i geologi seri e scrive articoli di denuncia, che il suo giornale stenta a pubblicare. In Italia è pericoloso mettersi contro certi poteri e persino il quotidiano del Partito Comunista tentenna. Eppure si dimostra che la frana si sta muovendo; una grossa fetta della montagna si sta spostando. Due giovani geologi, chiamati per una controperizia confermano le tesi di Müller, ma i loro superiori impongono di modificare il testo. Intanto le prove d’invaso proseguono e il livello dell’acqua sale e prima che il lago artificiale sia completamente riempito, la frana è ormai avviata e non si può fermare. Ma nessuno ferma i lavori. “Bisogna far passare per deficienti la gente di qui” dice Marco Paolini.
Si richiedono esperimenti su modelli idraulici, ma si usa ghiaia anziché calcestruzzo che avrebbe lo stesso impatto della frana, minimizzano quindi il rischio. Era ciò che la SADE voleva. Tuttavia l’ingegnere idraulico, per coprirsi le spalle dichiara che se l’onda d’urto dovesse superare i 25 metri avrebbe conseguenze disastrose e raccomanda di non superare quota (del lago) 700 m slm (questi dati vengono tenuti nascosti e se, ma solo dopo la tragedia, un assistente del professore non li avesse ‘rubati’ dal cassetto e passati ai giornali, oggi non si conoscerebbe la verità).
Nel frattempo a fino 1962 il governo emana la legge che nazionalizza l’energia. La SADE si toglie la patata bollente che passa all’ENEL intascando dai contribuenti un bel gruzzolo, e passa la palla con un documento che recita “l’impianto è funzionante”. Ma la terza prova d’invaso non era stata fatta e l’impianto non era stato collaudato. Nel mese di aprile 1963 si fa la terza prova d’invaso.
A settembre si avvertono scosse sismiche al monte Toc e in tutta la valle; l’acqua ha superato i 700 m raccomandati ed è a quota 712 m. Nessun geologo viene più consultato. Nelle case dei paesi di Erto a Casso si manifestano lesioni; lesioni anche nella caserma dei Carabinieri che avvertono la Prefettura, dalla quale giungono telegrammi che affermano che “secondo la teoria non sta accadendo nulla di pericoloso”. I Carabinieri insistono che nonostante la teoria, la pratica è diversa, ma non sono ascoltati. Solo il 27 settembre quando ormai è certo che la frana sta per rovinare nel lago si comincia a scaricare l’acqua che scende al ritmo di 7 m al giorno. Ma anche la montagna continua a scendere. Si informano gli abitanti di Erto e Asso che è consigliabile sloggiare. A Longarone non perviene alcun allarme e la sera del 9 ottobre, la città è piena di gente, al bar a guardare una partita di calcio in Eurovisione, o al cinema. “Non c’è pericolo”. E Longarone sarà travolta dalla massa d’acqua quando la frana di 360 milioni di m³ di roccia – “un mondo intero di boschi, stagni, animali, campi coltivati, case” – infine si precipita nel lago e l’acqua solleva un’onda di 250 metri che supera la diga e scende nella valle alla velocità di 80 km/h. Quando, a causa dei corti circuiti sulle linee dell’alta tensione, a Longarone manca la corrente e si avverte il boato, pensano sia un temporale. Da quel momento, chi si è reso conto di quanto stava succedendo aveva ormai solo un minuto e 20 secondi di tempo per fuggire. Chi? Come? Dove?
La pressione dell’acqua caduta su Longarone è stata paragonata all’effetto di due delle bombe atomiche di Hiroshima.
Ma i giornali all’epoca sminuirono e nascosero i fatti. ‘Sciacalli’, scriveva Indro Montanelli, contro chi si permetteva di denunciare politici e faccendieri. E a Tina Merlin “Signora ci sono i morti, vorrà mica speculare sui morti?”  (Tina Merlin scrisse un libro su questa tragedia: “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont“.   Questa era (ed è ) l’Italia dei poteri forti.
9 ottobre 1963, ore 22,39.  Non dimentichiamo. *

* Questi alcuni libri per non dimenticare:
Il racconto del Vajont” di Marco Paolini, Gabriele Vacis (Garzanti Libri, 2013)
Vajont. Storia di una diga” di Francesco Niccolini, Duccio Boscoli (Becco Giallo, 2013).
Vajont. Ottobre 1963” di Bruno Pittarello (Cierre Edizioni, 2013)
Vajont. Il giorno dopo” di Fulvio Comin (Biblioteca dell’Immagine, 2013)