È il Piano Mattei in cui manca di ambizione a spese del clima, dell’Africa e dell’Italia

Condividiamo quando scrive Emanuele Bompan, tra i piú accreditati giornalisti in tema ambientale sulla sua rivista Materia Rinnovabile – Renewable Matter in considerazione dell’analisi che la Commissione esteri del Parlamento ha condotto fino al 1° agosto.

Il PianoMattei, ovvero il piano strategico del governo per i rapporti Italia-Africa, è stato giudicato “estremamente lacunoso” dai parlamentari che lo hanno ricevuto per esaminarlo prima del voto di lunedì 5 agosto.
Il documento – come spiega Materia Rinnovabile – si basa su sei direttrici di intervento, dall’energia all’acqua all’agricoltura, due fasi di sviluppo incrementali, alcuni progetti pilota già avviati in 9 paesi africani e 5,5 miliardi di euro di risorse a disposizione.

Ma, al momento affermano i parlamentari, sembra fare acqua da tutte le parti e non essere all’altezza dell’ambizione della presidente del Consiglio.

Il Piano che abbiamo ricevuto è estremamente lacunoso, non rispecchia la realtà degli interventi in corso e concentra eccessivamente il processo decisionale a Palazzo Chigi, dove non c’è personale sufficiente per gestire un piano Italia-Africa importante come questo”, è il commento di Lia Quartapelle, al quale la maggioranza non risponde.
Anche perché, purtroppo, mancano di competenze specifiche.
Quello che non si comprende è il fatto che la governance del Piano sia stata sottratta alla Farnesina, che avrebbe i funzionari competenti, che mancano in sede del Consiglio dei Ministri; cui mancano anche le risorse per un piano fondamentale per la sicurezza del Paese e per il rilancio dei rapporti con molti Stati africani.
Preoccupa anche la totale assenza di nuove risorse economiche: dei 5,5 miliardi stanziati dal governo Draghi ne arriveranno 3 dal Fondo Italiano Clima, mentre gli altri 2,5 saranno prelevati dal budget per la cooperazione di stanza alla Farnesina e al MEF per passare direttamente sotto la presidenza del Consiglio dei Ministri.

Infine – conclude Bompan – la struttura stessa del piano a tratti sembra una ricerca fatta da una matricola universitaria e la qualità dei progetti, insieme all’assenza di richieste di riforme istituzionali per i paesi beneficiari, le varie dimenticanze (non si trova traccia ad esempio della partnership con Riad, non si parla del sostengo nel Sahel) e il livello di approssimazione fanno pensare che non ci sia la dovuta attenzione politica delle istituzioni coinvolte.”