Inaugura il 28 novembre 2012 alle ore 18 presso la Fondazione Il Bisonte, via San Niccolò, 24r a Firenze la mostra dei due xilografi piemontesi, a vent’anni dall’esordio con i seminari tenuti al Bisonte.
A inizio anni ‘90, Gianfranco Schialvino e Gianni Verna esponevano per la prima volta insieme le loro opere xilografiche al Bisonte di Firenze dove tenevano seminari presso l’omonima Scuola Internazionale d’Arte Grafica.
Erano già noti al pubblico nazionale e internazionale attraverso un curriculum colmo di inviti a partecipare alle manifestazioni più prestigiose del settore.
Oggi, dopo l bella mostra allestita l’anno scorso presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, tornano con grandi xilografie, nei locali della Fondazione Il Bisonte.
Un’occasione ghiotta per tutti gli estimatori di un’arte tesa a recuperare “l’antica sobrietà dell’intaglio“, e anche un’occasione per gli allievi de Il Bisonte e per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti per toccare con mano quanta ricchezza si possa ricavare da un mezzo apparentemente povero.
I due interpreti dell’incisione su legno sono anche fondatori, dal 1987, di NUOVA XILOGRAFIA per promuovere e rivalutare la più antica forma di stampa.
La mostra rimarrà aperta fino all’ 11 gennaio 2013 con il seguente orario: dal lunedì al giovedì 9-13 e 15-19, il venerdì 15-19tel. 055 – 2342585 email: gallery@ilbisonte.it www.ilbisonte.it
Dicono di loro
«Insistere sulla figurazione può portare gli artisti in colloquio a maturare strade parallele, ma comunque diverse, nell’ambito dell’immagine riproduttiva. Anche il mondo contiguo di Schialvino e Verna vive dello stesso rapporto di scambio/scarto su esercizi comuni.
Le xilografie di Schialvino nascono dal rapporto tra la descrizione di ciò che ci circonda e il segno: ecco allora che le rappresentazioni paesaggistiche prescelte saranno viste – secondo un uso proprio della xilografia – attraverso il segno corposo, e un pronunciato contrasto tra bianchi e neri, intendendo con questo sottolineare, se non la minore importanza del tema, piuttosto l’aspetto di costruzione formale e segnica di ciò che si descrive.
A mio avviso la descrizione delle situazioni sembra costituire a questo punto più un pretesto che un fine: la composizione diventa in realtà un gioco controllato di segni, certi crinali di montagna sembrano realizzazioni astratte, persino avendo un occhio sull’informale, come informali appaiono a un certo punto, di fatto, i contrasti tra i “gorghi” dei neri e le campiture bianche sulla pagina, o le tramature dei bianchi che emergono da fogli come Vigne rocce, 1994.
La marcata forza grafica di Schialvino si scioglie in una più articolata visione delle potenzialità tecniche della xilografia in Verna. Le sfumature che quest’ultimo ha saputo ricreare sui suoi fogli ampliano il catalogo delle possibilità di un mezzo in assoluto povero come la xilografia; lo stratagemma di imprimere sulla carta il libero ed affascinante gioco delle nervature del legno tagliato verticalmente tramite una diversa forma di inchiostratura sembra infatti imprimere una dimensione apparentemente più lirica alle sue descrizioni, dedicate ai medesimi soggetti (pur concedendo loro altre varianti iconografiche) su cui si cimentava contemporaneamente Schialvino.
Il tema vincente rimarrà sempre quello del paesaggio (qui presentato talvolta con titolazioni inusuali ed impertinenti: Vieni in vigna? 1993; Chissà se mi vendi la vigna? 1993, in forma di interrogazione), anche travestito sotto una suggestione letteraria. Ma qui, tramite lo strattagemma linguistico cui si accennava, le descrizioni assumono all’improvviso una direzione fantastica, la trama dei segni si allarga ed arricchisce, i dettagli perdono la loro connotazione di oggettività; altrove, sembrano ricondotti ad una rigorosa organizzazione (Chissà se mi vendi la vigna?). La convergenza tra ricerca di particolari soluzioni tecniche, esercizio di capacità descrittiva e esplicita suggestione letteraria trova il suo momento più pregnante in Piove su pini/scagliosi e irti, 1994, scaturita dalla lettura dell’ “Alcyone” di D’Annunzio.»
Riccardo Passoni, da “4 incisori di Torino” – Biblioteca Sormani, Milano, 1995
«Verna e Schialvino camminano insieme, da anni, vicini e paralleli.
Si guardano e amicalmente marcano le distanze.
Verna è finto ispido, Schialvino un insieme di scatole cinesi. Adoperano gli stessi mezzi e si trovano agli opposti. Verna è un ossessivo, teorico della minuzia e della precisione al punto di rendere “altro” l’immagine che offre. Schialvino vaga nel fantastico, lavora per particolari, nasconde, invia all’immersione, lasciando alla fantasia di chi guarda la possibilità della scoperta.
Questa volta, Verna e Schialvino si misurano con l’arte antica del “bestiario”, quella che propone o crea animali da regno fantastico. Verna sceglie fra animali umili, sotterranei, come il riccio, o quelli di piedistallo, di vetta: legami entrambi fra cielo e inferi. Ma in entrambi i casi qualcosa nella sua eccessiva precisione fa deflagrare l’immagine spostandola verso una dimensione niente affatto realistica: gli aculei o le corna dei suoi animali si trasformano, in un gioco di chiaroscuro, in deserti lunari, in foreste di bambù.
Schialvino sogna grandi pesci, delfini, tonni, balene, onde di mare e onde di carne, ma sulla carta pio, lascia accessi marcati di traiettorie, percorsi immaginari, indicazioni di un “altrove” che solo la fantasia personale può andarsi a cercare. Indica continuamente un mondo che ognuno deve immaginarsi per dare continuità al suo segno.
Atteggiamenti diversi che mirano entrambi a quel “favoloso” che avvolge il mistero e dove il nero su bianco, paradossalmente è usato per la luce.
Nico Orengo, da “Verna & Schialvino – Bestiario” – Galleria Il Quadrato, Chieri 2003
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