Secondo una ricerca internazionale dei ricercatori del progetto PlastChem più che la plastica in sé il pericolo viene dagli additivi.

L’articolo “Bioplastic: green innovation or another plastic problem?” evidenzia come nella produzione e uso di plastica (400milioni di tonnellate all’anno) sono le sostanze chimiche additive a nascondere seri rischi per la salute e l’abiente. Ogni prodotto in plastica, anche nel packaging flessibile per alimenti, contiene coloranti, lubrificanti, plastificanti, ritardanti di fiamma, e solventi aggiunti per migliorarne le funzionalità. Dei possibili effetti collaterali sappiamo ancora pochissimo.

Sedicimila sostanze aggiunte

A questo problema è dedicato unostudio da parte di un gruppo di ricercatori del progetto PlastChem che ha pubblicato il primo database completo di tutte le sostanze chimiche associate alle plastiche: e queste sono più di 16.000, delle quali oltre 4.000 presentano rischi per la salute e l’ambiente. Di queste solo il 6% è soggetto a restrizioni a livello internazionale.

Per essere ritenute pericolose, dichiarano i ricercatori, queste sostanze devono mostrare indici elevati di tossicità, resistenza alla degradazione, una notevole capacità di migrare da un ambiente all’altro e di accumularsi nel corpo umano o in altri organismi.
Nel packaging alimentare sono noti gli effetti degli ftalati, agenti plastificanti utilizzati in centinaia di prodotti, tra cui i contenitori per alimenti e bevande e involucri di plastica. L’esposizione agli ftalati interferisce con il funzionamento dei sistemi ormonali (endocrini) del nostro corpo ed è collegata a un aumento del rischio di asma nel periodo di sviluppo infantile.

Un’altra famiglia di sostanze chimiche a rischio sono i bisfenoli, incluso il bisfenolo A, di cui si è parlato più volte ai congvegni GIPEA, per la loro presenza negli scontrini dei supermercati. Si trova in oggetti di plastica dura come biberon, bottiglie d’acqua riutilizzabili, contenitori per alimenti e stoviglie. Lo scorso esecutivo europeo ha proposto di bandirlo dai materiali a contatto alimentare.

«Dobbiamo eliminare tutte le sostanze chimiche pericolose partendo proprio dal food packaging perché è il settore in cui i consumatori sono più esposti» ha dichiarato Martin Wagner, leader del progetto PlastChem, tossicologo della Norwegian University of Science and Technology.

Poca trasparenza

A causa del segreto commerciale i produttori non sono tenuti a divulgare le esatte formulazioni dei loro prodotti. Questo complica il lavoro degli scienziati che chiedono più trasparenza e tracciabilità.

Tuttavia una parte dell’industria sembra voler collaborare per migliorare le cose. L’International Council of Chemical Associations sta sviluppando una banca dati sugli additivi e un quadro di valutazione del rischio per dare più strumenti alle autorità di regolamentazione di tutto il mondo.

Bioplastiche potenzialmente tossiche

Nel 2019 i ricercatori scoprirono che il 62% dei trentaquattro tipi di plastica analizzati conteneva sostanze chimiche che superano la soglia generale di tossicità. Oltre alle plastiche di origine fossile come il PVC e il poliuretano, fu rilevata un’elevata tossicità di base anche nella vaschetta di yogurt e di verdure in PLA, uno dei biopolimeri più commercializzati nel settore del packaging usa e getta. L’equipe analizzò numerosi prodotti in bioplastica e in materiali di origine vegetale con un risultato piuttosto scioccante in quanto le bioplastiche contenevano un numero simile di sostanze chimiche potenzialmente tossiche.

«In diversi tipi di bioplastiche abbiamo trovato migliaia di caratteristiche chimiche che non possiamo identificare ma sappiamo essere tossiche, specialmente nei materiali a base di amido e cellulosa».

Le bioplastiche sono spesso reclemizzate come la panacea ai guai ambientali della plastica fossile e, pur rappresentando oggi solo l’un per cento di tutta la produzione di polimeri, è un mercato in forte espansione. Secondo la European Bioplastic Association (EBA), la capacità produttiva globale è destinata ad aumentare significativamente da circa due milioni di tonnellate delle 2023 alle oltre 7 tonnellate entro il 2028.

Tuttavia, le sostanze chimiche utilizzate per produrre le bioplastiche potrebbero essere tossicologicamente molto simili a quelle utilizzate per produrre le plastiche convenzionali. Uno studio pubblicato nel 2023, dimostra che la PLA provoca la stessa inibizione alla crescita e deformità di quelle esposte al polistirolo e al polipropilene. *

Green washing

Vengono chiamate regrettable substitutions (sostituzioni deplorevoli) quelle soluzioni green propinate dall’industria che affrontano solo parzialmente le problematiche ambientali di un prodotto e si discute più dell’aspetto clima alterante dei prodotti, piuttosto che del consumo di suolo e delle risorse, o di tossicità.

Naturalmente l’industria della plastica è critica nei confronti di queste ricerche. Francesco Degli Innocenti, presidente del Comitato tecnico dell’associazione italiana Assobioplastiche, commenta che «il motto dell’accademia è diventato “o pubblichi o perisci”e la risonanza mediatica dei lavori accademici è ormai importantissima, così titoli dai toni allarmistici assumono una certa rilevanza suscitando allarmismi senza alcun tipo di cautela

Degli Innocenti sostiene che non è possibile identificare gli agenti chimici responsabili degli impatti negativi, ma si ottiene un responso utile a stimolare ulteriori indagini sulla formula ed eventualmente vietare le sostanze che compongono i prodotti.

Rischi ignorati

Quanto al rischio associato all’esposizione esistono pochissime normative in materia di reporting e trasparenza che non danno la possibilità di conoscere le concentrazioni delle sostanze e in quali prodotti vengono utilizzate e ciò rende tutto il processo di valutazione lungo, difficile e aperto a scenari differenti, servendo un assist all’industria. Bisogna quindi ammetter che la tossicità delle plastiche di qualsiasi l’origine è un tema ignorato anche dalle imprese protagoniste della transizione ecologica.

* «Non siamo sicuri al cento per cento che la miscela tossica provenga solamente dal biopolimero, perché anche la carta e l’inchiostro potrebbero aver avuto un ruolo, ma l’obiettivo della ricerca era dimostrare che sostituire semplicemente la plastica monouso con altri materiali senza renderli sicuri da un punto di vista tossicologico non è sostenibile» hanno commentato i ricercatori.