Parliamo di editoria, editoria libraria in particolare, perché oggi si stampano moltissimi libri a basse tirature. Ma risulta che gli editori hanno problemi con i loro fornitori di stampa digitale, perché spesso la stampa risulta poco incisiva e a volte il nero tende al grigio.

Alcuni editori che stampano libri, in particolare un editore che stampa libri tecnici, ci scrivono lamentando che la stampa digitale dei loro forniotori a volte è di cattiva qualità. O perché il nero tende al grigio o perché sbava. La richiesta di consigli su come e cosa scegliere la trasferiamo ad Alessandro Mambretti, presidente del TAGA Italia, come persona più adatta a rispondere dal punto di vista tecnico e, soprattutto, indipendente. Ce lo spiega in questa intervista esclusiva.

MPA Che consigli possiamo dare agli editori, ma non solo?

Alessandro Mambretti ‒ Vero, e devo dire che non è una tematica nuova e che più volte si è ripresentata nella comparazione tra le diverse tecnologie tradizionali. Bisogna fare alcuni ragionamenti importanti e la prima cosa che, come TAGA, diciamo sempre è: si fanno le prove. Vale per ogni tipo di stampato per capire quale risultato si vuole e può ottenere. In questo caso la questione è legata al nero per una buona lettura.

MPA ‒ E anche a cosa l’editore vuole spendere.

A M ‒ Stavo proprio arrivando lì. L’intensità del nero in lettura è strettamente legata al supporto su cui si va a stampare e la tecnologia di stampa. C’è ancora il concetto che la stampa digitale sia più economica in assoluto quando non lo è affatto. Può essere più costosa in termini unitari ma se consideriamo le dinamiche legate, come tu giustamente sottolineavi nella nostra chiacchierata iniziale, alle tirature, io posso permettermi di fare in modo economico tirature basse e quindi garantirmi il fatto di avere una produzione più adeguata a quello che sarà il mio livello di vendita per poi successivamente incrementarlo mano a mano che ho delle richieste o mano a mano che il mio prodotto deve mantenere una certa vita sul mercato. Che è un po’ il problema dell’editoria, cioè la presenza nelle librerie o la presenza on-line e supportare i cataloghi.
Questo però non vuol dire che questo spettro economico deve compromettere il livello qualitativo. Come diciamo in TAGA Italia, la qualità è guidata da parametri che sono sempre quelli, sono sempre validi, misurabili, quantificabili. Poi è un accordo tra le parti decidere il “visto sì stampi”. Il fatto, ad esempio, che una stampa fatta con una macchina da stampa digitale possa essere grigia può essere imputata dal fatto che quel tipo di supporto ha un “ink limit” basso, cioè, è in grado di sopportare un livello di inchiostrazione fino a un certo punto per via della trasparenza e del potere risolvente. Su un altro supporto, su una carta che magari ha una mano più alta, posso ottenere un nero più intenso perché riduco il fattore trasparenza e posso mettere più inchiostro.

MPA ‒ Il fattore carta sembra quindi importante e magari, a volte, trascurato.
A M ‒ Tipicamente quando si lavora su carte che hanno una mano bassa, che sono le carte che si utilizzano nella manualistica piuttosto che nei libri di tipo economico, diciamo l’edizione economica, c’è una scelta di compromesso. Bisogna trovare un compromesso tra il giusto livello di inchiostrazione e il livello di trasparenza che c’è sul supporto perché comunque un inchiostro a base acqua penetra il supporto, quindi bisogna trovare il giusto equilibrio. Questo è quasi inevitabile, per cui bisogna ragionare sul prodotto che si vuole ottenere.
Carte molto fini ovviamente mi permettono di avere un buon risultato in stampa; tuttavia, se vado a paragonarlo con un nero che posso ottenere in offset dove il mio inchiostro è grasso, mentre qui stiamo parlando di inchiostri liquidi a base d’acqua, avrò un nero più intenso. Sulle carte dove abbiamo una mano importante questo confronto sostanzialmente non ci sta.

MPA – Riguardo al nero, in questo momento e fino ad adesso stiamo parlando di getto di inchiostro che potrebbe essere a colorante, cioè il dye, oppure a pigmento.
A M ‒ Sì e quello è l’altro aspetto. Con il pigmento abbiamo tendenzialmente un nero un po’ più pieno proprio per la sua caratteristica, che però è più costoso. Poi anche lì il termine costo entra in una sfera di volume di stampa, di impatto sulle linee di produzione e quindi di finitura è collegato a tutti questi aspetti. Ricordiamoci sempre che la stampa digitale permette di produrre veramente pochi numeri.

MPA ‒ Allora, contrariamente a quello che supponeva questo editore che ci ha scritto, non è che il toner è decisamente sempre superiore all’inkjet, sempre e comunque.

A M ‒ No, assolutamente no. Anzi, esistono macchine toner che hanno un nero più scarico per formulazione e toner che hanno un nero più pieno proprio per formulazione, perché c’è un fattore legato alla temperatura di fusione e ad altri parametri.
E poi c’è un altro aspetto che tante volte non viene considerato in termini qualitativi; e cioè che l’inchiostro è spruzzato e questo genera dello spray naturale che tende a spandere e questo è quasi inevitabile. Si può ridurre ma è quasi inevitabile.
E anche lì ci sono alcuni fattori che riguardano un po’ la progettazione e quindi la scelta anche del carattere da stampa che si vuole andare a utilizzare e la scelta del supporto. Nell’inkjet è estremamente importante perché esistono supporti che sono in grado di dare una maggiore nettezza al carattere di stampa, data proprio dal fatto che magari sono carte che hanno un pretrattamento o viene previsto un pretrattamento, un impregnante e quindi ci sono alcune logiche qualitative che ti permettono di raggiungere un certo risultato. È sempre una questione di bilanciamento.

MPA ‒ Anche perché alcuni magari cercano di usare la carta riciclata e quindi assorbe in maniera diversa poi essendo appunto liquido l’inchiostro c’è un assorbimento diverso per ogni carta.

A M ‒ Infatti, si deve considerare che ogni carta ha quello che viene chiamato un “ink limit”: quindi ogni supporto ha la capacità di assorbire fino a un tot d’inchiostro. Questo vuol dire che su alcune edizioni probabilmente quella carta andrà senza colpo ferire, su altri tipi di edizioni no. Faccio un esempio pratico: più volte succede con i libri scientifici, dove sono presenti formule matematiche diagrammi disegni, che chi progetta non presta attenzione al fatto che formule matematiche diagrammi possono avere un problema nel disegno delle linee che possono essere magari molto fini e quindi necessiterebbero di un ispessimento proprio per evitare problemi di ‘lettura’. Dal punto di vista della progettazione solo chi lo fa professionalmente sa quali sono le accortezze da usare nella produzione di libri scientifici. Poi, però, per ottenere quel risultato ‒ ed è il discorso che facevo prima ‒ non tutte le macchine da stampa digitali possono avere la stessa performance legata ai termini di goccia quindi la grandezza della goccia con cui stampano, velocità, risoluzioni che possono applicare. Quindi non è detto che la macchina presso uno stampatore sia in grado di fare bene quel lavoro, o male, in funzione del tipo di prodotto che deve stampare.

MPA ‒ Quanto può influenzare la bravura di uno stampatore?

A M ‒ La bravura dello stampatore si misura nella sua capacità di gestire correttamente il flusso di lavoro secondo quelle che sono le indicazioni date dalla casa madre. Mi spiego: la casa madre ti dice che la macchina fa questo; secondo i supporti che tu vuoi utilizzare tu devi dare le preimpostazioni di macchina che ti dicono: velocità, numero di gocce che puoi stampare, qual è l’inchiostrazione e tutta una serie di regole. Chiamiamolo bravo stampatore, cioè il professionista, colui che definisce un set di supporti su cui ottiene con certezza determinate performance qualitative che diventano “io ti faccio vedere in anticipo come verranno questi testi con questi corpi con questi tipi di glifi” e quindi tu sai qual è il risultato, che non è detto che sarà il miglior risultato sul mercato, ma tu sai che avrai la qualità per la quale vi accordate.

MPA ‒ Ma allora, contrariamente a quello che è diciamo, la leggenda metropolitana che il digitale fa tutto da sé, c’è sempre il famoso ‘primo foglio macchina? come si faceva in tipografia.

A M ‒ Esattamente, quello esiste sempre. Una delle cose che a me piace sempre dire quando spiego la stampa digitale è che questa concede molti meno errori di quello che può essere un sistema tradizionale per quando io faccio una stampa in offset, in tipografia, in flexo, faccio una serie di prove prima di dare il visto si stampi; la stampa digitale con la scusa che tu stampi già il prodotto finale e ha questa immediatezza che è bellissima, però ci si dimentica spesso e volentieri che non è detto che vada bene al primo colpo, non è detto che le impostazioni siano quelle corrette. Ci deve essere un primo foglio, una condivisione di dire: ok io e te abbiamo deciso che questo va bene o adottiamo un parametro che può essere ISO o quello che è per dire che va bene.

MPA ‒ Diciamo che col digitale il margine di errore è ridotto.

A M ‒ Quando insegno a scuola ai ragazzi spiego sempre molto bene questa cosa e gli dico “ragazzi ricordatevi che stampare in digitale è una delle operazioni più semplici che c’è sul mercato perché tu schiacci e la macchina stampa, ma se tu non hai previsto tutto prima lei stamperà tutti gli errori che non hai previsto e stamperà quelle performance qualitative che tu non hai previsto e quindi questo è il risultato finale. Certo che facciamo in fretta a spiegarla, se devo fare 100 pezzi di un libro non è che posso fare 100 copie, dovrò prevedere prima tutta una serie di ragioni ed è qui che lo stampatore guida anche l’editore, guida il cliente dicendo “guarda che questo tipo di prodotto che mi hai mandato rischiamo che non venga adeguatamente e devi prevedere un carattere magari più ampio, devi prevedere un ispessimento, guarda che questa potrebbe essere un’area critica”. Quindi c’è un’area di pre-flight di prestampa che è importante prendere in considerazione. La prestampa è come con la stampa tradizionale, vale sempre e cambia solo il mezzo.

MPA ‒ Non c’è il rischio che si sia un po’ dimenticato questo?

A M ‒ È una cosa che ci si dimentica tantissimo e questo, mi dispiace dirlo, ma se lo sono dimenticati proprio chi fa il commitment del lavoro non tanto lo stampatore. Questo ci tengo a dirlo cioè c’è ancora un po’ l’illusione che sono in grado di poter realizzare dei file fatti bene, ma non detto che siano adeguati per la stampa.

MPA ‒ Perché?

A M ‒ Perché lo stampatore conosce la sua macchina e sa quali sono le indicazioni di prestampa corrette da dare e questo è un punto un punto importante.

MPA ‒ Però, è anche perché oggi molti si sono improvvisati stampatori; hanno comprato una macchina magari non industriale, mettono fuori l’insegna ‘stampa digitale’ e poi i clienti si lamentano.

A M ‒ È quello il problema perché mentre una volta il tipografo che aveva la macchina doveva saper stampare, oggi purtroppo c’è chi stampa, ma che non conosce le regole di composizione, le regole di conoscenza dei supporti, come l’inchiostro si comporta con i supporti. Sono regole che valgono sempre e che richiedono maggior concentrazione perché si restringe il campo.

MPA ‒ Per finire, c’è differenza tra la stampa del testo nero e la copertina?

A M ‒ Certo, Per dire ecco quindi dovrebbero avere due macchine o magari due macchine no, ma sicuramente due impostazioni di macchina differenti, che infatti molti stampatori conoscono e utilizzano. Devo dire che quindi c’è ancora da fare molto lavoro sugli stampatori ma soprattutto occorre trasmettere il concetto che esistono preimpostazioni che definiscono la matrice digitale cioè il file, e questo è molto importante.

Ringraziamo Alessandro Mambretti, presidente TAGA Italia, per questa esauriente ed esaustiva disamina sulla qualità con la stampa digitale.