Le avventure per uscire da Amburgo, le Umleitung e le difficoltà per entrare in Danimarca.

La mattina seguente, 12 agosto e decima giornata di viaggio, chiesi ai nostri amici fiorentini se volevano accompagnarci ancora fino ad Amburgo. Accolsero volentieri la proposta e alle 8,30 ci avviammo con la loro 1100 verso la Autobahn. Alle 10 si entrava nella città anseatica sull’estuario dell’Elba dove ci facemmo lasciare in un punto in cui avevamo visto il cartello con l’indicazione per Kiel.
Kiel, nello Schleswig-Holstein, la regione confinante con la Danimarca e se non andavo errato, una volta quel territorio apparteneva proprio al regno di Amleto.
Il cartello per Kiel fu la nostra rovina. Non sapevo che avevano messo quel cartello non so se per fare dispetto proprio a noi, il fatto è che mentre Kiel si trova a nord, quel cartello si trovava nella parte piú meridionale di Amburgo. La quale, non è un paesino della campagna lussemburghese.
Cominciammo a camminare, non sapendo ancora ciò che ci aspettava seguendo le indicazioni, che stranamente erano piuttosto frequenti e che presto oltre a Kiel indicavano anche Husum, la strada nazionale numero 4. Insomma dopo aver camminato piú di mezz’ora ci trovammo non all’uscita, ma all’ingresso della città. Poi, come è abitudine in Germania, cominciarono i cartelli gialli con la scritta Umleitung. È ben vero che l’indicazione serve per gli automobilisti, ma noi non avevamo idea di quale fosse la strada dritta. Questa parola tedesca che si trova spesso in realtà significa “deviazione” anche se letteralmente il suo significato piú vicino è “vi facciamo fare un giro” che per noi significava “vi stiamo prendendo in giro”. Tra un giro e un altro per evitare non sapremo mai che cosa, proseguimmo per strade, viali, corsi, vicoli, piazze, viadotti, strade alberate e fiancheggiate da enormi case popolari, giardini.
Il tutto per alcune ore e sempre con quei cartelli ossessionanti: Kiel 4, Husum 5, Umleitung. Il problema è che non potevamo sapere se questa circumnavigazione sarebbe durata qualche centinaio di metri o qualche decina di km. A un certo punto si aggiunse il cartello “Flughaven” e poi “Stadium”, ma di stadi ce ne dovevano essere almeno una dozzina visto che quello indicava da ogni parte. Si usciva da una zona della città per entrare in un’altra, ma sempre in periferia. Verso mezzogiorno una macchina si fermò per darci un passaggio ma andava verso Husum e a noi interessava andare a Kiel: sventura massima, se almeno ci avesse detto “bene vi porto al bivio”. Macché, ci lasciava lì come se il bivio fosse poco piú avanti. Solo nel pomeriggio, alle 15,30 arrivammo alla fine della Umleitung e in vista del maledetto bivio tra la 5 e la 4: avessimo accettato il passaggio ci potevamo arrivare un paio d’ore prima. Era un lungo viale alberato molto adatto per chiedere passaggi. Scoprimmo cosí, per colmo della sventura, che quella era la zona del quartiere di St. Pauli, un famoso quartiere di Amburgo dove, guarda caso si trovava l’ostello e dove, manco a
farlo a posta erano diretti i nostri fiorentini. Avremmo potuto arrivarci cinque ore prima!
Non avevamo neppure mangiato per camminare. Accettammo il primo passaggio che ci fu offerto. Era una persona che andava proprio sulla strada 5, quella per Husum, non la nostra, ma scoprimmo cosí che il bivio maledetto si trovava 30 km piú avanti! Durante quella mezz’ora di strada, pur stando scomodi in un camioncino, ci addormentammo e per fortuna aprii un occhio proprio mentre l’autista, che non ci aveva chiesto niente, stava deviando verso un paese che non aveva ostello e non era sulla nostra strada. Mi ci volle un bel po’ a convincerlo che doveva farci scendere lì per proseguire sulla strada maestra, mentre quello, non so perché, non ne voleva sapere.
Finalmente si scese e ci mettemmo ad attendere qualcuno che ci facesse fare gli ultimi 21 km che ci separavano da Itzehoe, un paese con ostello. Ci raccolse un camioncino VW guidato da un ragazzo molto giovane che veniva da Berlino. Ci prese su con un altro autostoppista che andava a Heide e si fece dare 1 marco e trenta da ciascuno di noi “für di Cigaretten”!

Comunque questo strano tipo ci portò velocissimo verso il nord e quando gli chiedemmo dove andava ci mostrò una carta: andava al confine con la Danimarca e poteva quindi lasciarci a Niebüll (Naibel in frisone) dove era un ostello. Finalmente un po’ di fortuna.
Ci sedemmo comodi, mangiammo del cioccolato, unico cibo per quel giorno e osservammo il paesaggio che continuava nella pianura di questa penisola ormai geograficamente parte dello Jutland.
Anche qui assistemmo a un bel tramonto, ma poi incappammo in un temporale violentissimo, ritornando infine al bel tempo che ci permise di goderci un ottimo crepuscolo nordico. Ogni km che passava
per noi era il record di nord.
Vero le sette di sera giungemmo a Niebüll, un piccolo paese di campagna, poco fuori dalla strada principale e a pochi km dal confine, Tønder, il primo paese che si incontra in territorio danese. Qui ci lasciò davanti a un simpatico e accogliente ostello, con il tetto di paglia, come del resto le altre case della regione. Però all’ostello non preparavano pasti, per cui dovemmo
andare fuori a cercare qualcosa da mettere sotto i denti e alle nove eravamo già di ritorno per andare a dormire.
L’ostello era quasi vuoto, tanto da trovare una camerata tutta per noi che eravamo, con l’altro autostoppista, unici maschi. C’erano solo delle ragazze. Ma degli italiani (o dei francesi?) dovevano essere già stati in quell’ostello perché il papà ci fece subito una predica dicendo di non far chiasso, di non bene vino come fanno, disse, tutti gli italiani e i francesi, e di lasciar stare le ragazze. Io gli risposi seccato che eravamo abbastanza stanchi per aver solo voglia di dormire e di essere lasciati in pace; e non tralasciai di aggiungere che avevo incontrato tedeschi molto meno educati e piú chiassosi degli italiani, che almeno sono sempre cortesi con gli ospiti.
Con questo lo lasciammo di stucco e ce ne andammo a dormire in attesa di veder sorgere il sole danese, di sentire il profumo della campagna nordica, che già quella sera ci aveva rinfrancato dalla giornata tremenda a respirare l’aria della periferia di Amburgo.