Il manifesto dell'antilibro

Il manifesto dell'antilibro

Intervista a Francesco Pirella ideatore e firmatario del Manifesto dell’Antilibro (Acquasanta, 1995)

Sono trascorsi 15 anni (Acquasanta, GE, 5 novembre 1995) dalla presentazione del Manifesto dell’Antilibro sottoscritto da Gillo Dorfles, Mario Persico, Francesco Pirella e Edoardo Sanguineti, quando furono stampati, in tempo reale, presso un’antica cartiera dell’Acquasanta in provincia di Genova, i primi libretti on-demand. Eppure ancora oggi si parla dell’editoria digitale come di una novità.

Quello dell’Acquasanta fu un evento speciale: una DocuTech della Xerox stampava in tempo reale “Libretto”, poesie inedite di Edoardo Sanguineti con disegni di Mario Persico (successivamente edite da Feltrinelli nella raccolta Corollario). Fu la prima realizzazione di un libro on-demand. è vero oggi se ne parla ancora come di una novità: sono luoghi comuni, giornalisti che a volte scoprono quello che c’è già. L’aspetto interessante di questa nuova realtà è che alle spalle c’è Jason Epstein, una delle figure più carismatiche dell’editoria americana che tenta di dar vita su scala globale a un’editoria cartacea della quale “Libretto” è involontario progenitore.

1995, Acquasanta. Edoardo Sanguineti legge il Manifesto dell’Antilibro dalla tribuna libera del Conofono. ©copyright Archivio Armus-Genova

1996, Salone del Libro di Torino. Il conofono eretto a simbolo dell’editoria digitale. ©copyright Archivio Armus-Genova

1997, Museo della Scienza e della Tecnica a Milano. Il Conofono, alto 9 metri, esposto in permanenza fino alla sua demolizione voluta dal neo-direttore Fiorenzo Galli. Tra i giornali che hanno denunciato il fatto: Andrea Sparaciari in Diario di Enrico Deaglio e Andrea Plebe in Il Secolo XIX. (foto di Silvestro Raimondo). ©copyright Archivio Armus-Genova

Il poeta Edoardo Sanguineti sul conofono, Acquasanta (GE) 1995

Il poeta Edoardo Sanguineti sul conofono, Acquasanta (GE) 1995

L’essenza di quel progetto d’avanguardia stava nel pensare di produrre l’edizione sotto i nostri occhi, su richiesta, semplicemente. In quell’occasione un “Flash book” neologismo  pensato per “Libretto”) fu “caricato” nel Web rendendo possibile editarlo in ambiente domestico senza intermediari.

È ormai una realtà quella delle linee in grado di far uscire il libro già confezionato, brossurato, su richiesta, “pescato” da un magazzino elettronico. Per non parlare dell’e-book

Devo sottolineare che nel ’95 il Manifesto pensava a un libro post-cartaceo, come dicevo, senza intermediari editoriali: liberarsi dell’involucro e degli editori o presunti tali e far viaggiare puro contenuto. Un progetto, quindi, di ecologia culturale e di libertà neo-tribale.
Il fatto che oggi si possa realizzare il libro di carta in tempo reale non deve sorprenderci, s’innesta nella cultura del fast food. Meglio un aggiornatissimo “Kindle” di Amazon che permette di acquisire il libro in formato digitale che già compete, in quanto a funzione, con l’oggetto stampato. Da Gutenberg in poi è stata una crescita naturale quella del libro di carta, che però oggi è arrivato al capolinea: privato della sua fisionomia; dopo oltre cinque secoli è diventato una biblioteca planetaria, in continua metamorfosi, in grado di assumere, se richiesto, le sembianze di pagina replicante e molto altro, all’istante.

Dove è privilegiato il contenuto al contenitore… Ma allora questo porta al libro virtuale che si legge sul Web. Sarebbe questo il libro ideale?

Sicuramente, oggi, il libro letto su un monitor qualunque funziona poco e il libro di carta è ancora vincente. Il consueto contenitore digitale non riesce a competere – quale fenomeno di massa – con la pagina stampata ma si sta affermando nella vita e nella cultura. Sempre più frequentemente si leggono libri o giornali dall’inchiostro elettronico con supporti leggeri e flessibili. Il problema del libro elettronico è la suggestione liberata da queste pagine: due generazioni su tre hanno sedimentato una memoria secolare del libro gutenberghiano, tuttavia il neo-libro o antilibro è in forte recupero. è pur vero che il digitale appare ancora un sistema ambiguo con forte vocazione emulativa verso il libro dei tipografi piuttosto che essere consapevolmente molto, molto di più. Nessuno comunque ne conosce ancora la reale portata.

Questione di forma o sostanza?

Oggi l’industria del libro cerca di conservare e divulgare convenientemente il ricordo antropologico, ma sarebbe onesto e proficuo se il mercato della carta stampata accettasse e capisse il cosiddetto “nuovo”; il processo di aggiornamento è doloroso, ma inevitabile.
La tecnologia non cambia la sostanza del libro. Ed è proprio sulla sostanza che dobbiamo soffermarci. Checché ne pensino Umberto Eco e altri teneri nostalgici, il libro di carta perderà rispetto al libro elettronico, per motivi di gestione economica, ecologica, raziocinante: produrre quanto serve e quando serve. Per le nostre necessità di leggere e guardare, un e-book reader basterà e avanzerà.
In realtà è quello cui si tende, anche se ancora non è realizzato in pieno e neppure la libreria vuota con il libro stampato al momento, sotto gli occhi del lettore.
Ha senso? è solo una produzione molto rapida. Il vantaggio sarebbe soprattutto per gli editori che non devono più investire in una lotteria editoriale; questo fino a quando la loro implicazione per divulgare gli ultimi brandelli analogici della conoscenza avrà senso.

Ma queste affermazioni potrebbero essere soggette a critiche da parte di chi produce col tradizionale e anche col digitale cartaceo.

Davanti a un mercato di ‘vuoto furore libresco’ come quello di oggi, si compia la vendetta degli amanuensi: la carta stampata sconvolse la loro economia e, come capitò a loro per “merito” dei caratteri mobili, ora tocca a questa; il mercato sopravvive arroccato sulla forza meccanica ormai obsoleta; dall’altra parte c’è la tecnologia elettronica ridotta a ‘macchina replicante’ il libro della Tradizione. Da una parte abbiamo le vecchie stamperie che stanno ansimando; dall’altra la nuova tecnologia obbligata a emulare; sarà quindi difficile per la neo-editoria digitale raggiungere vertici economici dell’editoria tradizionale. Comunque questo presente è un ibrido dalla vita breve perché l’entità originale sta nell’altro libro, quello che si legge e basta.

Possiamo dire almeno che la nuova tecnologia ha reso un servizio alla piccola editoria e all’autore. Come lo vediamo?

I Giulio Einaudi, i Valentino Bompiani, raffinati visionari e mecenati, hanno dato vita alle case editrici note; oggi ci sono i cosiddetti manager o aspiranti tali e non di rado indossano tali vestitini anche se piccoli, ed è tutta un’altra cosa. Dobbiamo uscire da questa gabbia invisibile e portarci verso una nuova pratica; oggi nasce la figura dell’autore-editore di se stesso; in questo improvvisato mercato vediamo tentativi che spesso si perdono nel nulla, ma ci sono. Ci sono anche figure organizzate nel lavoro di neo-editoria. Nascono altre soluzioni, nuove competenze e non servono tanto le risorse economiche nella materia quanto una tensione immaginativa e cultura dell’autoproduzione. La parola edita ormai non viaggia più a piedi ma con la luce, potremmo liberarci finalmente dagli intermediari e “protettori” e da tante truffe culturali: il Web è libertà perché è autoproduzione, nel bene e nel male. Siamo liberi di scrivere, proporci, distribuire le nostre idee, stando attenti, però, a non farci fagocitare da figurelle intermedie che usano anche sul Web il termine editore come trofeo consolatorio.

Potremmo definire un libro ideale, il modo ideale per presentare un contenuto culturale. Esiste?

Immagino che abbiamo diverse realtà. Facciamo riferimento a quella piccola editoria del piombo romantico: Alberto ed Enrico Tallone, Giovanni Mardesteing, ma anche Liboà e Alberto Casiraghy delle Edizioni Pulcinoelefante; importanti perché i loro progetti editoriali interagiscono con l’architettura del libro, ma solo come prodotto di comparazione e di studio da non imitare. Ahimè, oggi si continua a scimmiottare il libro dei tipografi e a fatica ci si svezza dal feticcio gutenberghiano; le librerie sono ormai il kinder garden del kitsch editoriale, se poi aggiungiamo che sono pochi gli scrittori e moltissimi quelli che lo fanno, è ragionevole scegliere il Web; il confronto tra proponenti è leale (per ora).
Possiamo anche essere benevoli e guardare con simpatia chi, invece, sperimenta e pratica l’altra editoria dove il libro, privo del suo contenitore, viaggia come puro contenuto lasciando, se vogliamo, alle pagine di carta il ruolo di documento archiviabile, o cestinabile.

Dunque, ciò che conta è il pensiero che si trasmette?

Sì. Senza scorie, niente più inutili zavorre cartacee, e convincersi che l’uomo ha una nuova straripante opportunità etica-estetica che privilegia il contenuto più che il contenitore: non ha scelta, la deve cogliere.
Pensiamo ad esempio alla realizzazione del One Laptop Per Child (OLPC), ideato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT). Un computer che si autoalimenta con una dinamo a manovella e che può quindi essere mandato in Paesi dove non esiste l’elettricità, capace in tal modo di consentire anche all’Uomo-libro del paese più inaccessibile della Terra, anche tra i Sakai, tagliatori di teste, di entrare nel Web. Questo è l’Antilibro. Emoziona immaginare il grande libro della natura duplicato all’infinito senza la vecchia carta osservando con nuova meraviglia il “maggiordomale” pixel, potente ma piatto, che tenta di diventare atomo, ma è solo un rivoluzionario trasformista 3D.

Allora, se vogliamo, ci riporta a Omero all’uomo della memoria

È vero, l’uomo-libro e Omero fanno parte della tradizione orale, però il primo è diventato blogger il secondo lettura. Dobbiamo scegliere tra la nostra biblioteca di carta, oggi generata dalla chimica e la conoscenza libera ed estesa senza limiti fisici e di metodo.

O l’Uomo-memoria di Borges…

Mah. Il lavoro intellettuale della memoria che segnò l’opera di Borges non ha funzionato – evidentemente – sulla cronaca del presente. Ha negato la drammatica realtà dei desaparecidos: lui che frequentava i palazzi, come tanti intellettuali, sembrerebbe essere stato distratto dall’osservazione della verità. Il ruolo dell’Arte, invece, è fare da parafulmine alla società rimandandoti proprio le sue memorie, le sue emozioni semmai un attimo prima del “presente” e non dopo o, peggio, mai.

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Intervista di Marco Picasso a Francesco Pirella 15 09 2009, ©copyright Armus-Genova.

Sulla eco del Manifesto esiste una rassegna stampa formidabile sui maggiori quotidiani italiani e stranieri. Per quanto riguarda l’incredibile distruzione del conofono rimandiamo in particolare agli articoli apparsi su Il Secolo XIX di Genova e su Diario.it cui rimandiamo. Leggere qui

Testo consigliato sul tema: Francesco Pirella, “Manuale dell’antilibro”, Marietti 1999.  mariettieditore@mariettieditore.it