Oggi MetaAlice – la rubrica dedicata al mondo editoriale – è in compagnia di Ezio Baroni, erede della stamperia Linea Grafica di Cura Carpignano in provincia di Pavia, per documentare l’attività di un piccolo e puro stampatore, dove piccolo non è sinonimo di scarsa qualità, ma di dimensioni operative e portata delle macchine e puro perché si dedica unicamente alla stampa.

Buongiorno Ezio, quando nasce Linea Grafica?
«Nasce da mio padre, Egidio Baroni, che durante il servizio militare era già tipografo; però, quando ha studiato presso l’Istituto tecnico Pavoniano “Artigianelli” di Milano, ha acquisito la passione per la stampa. Così ha deciso di lasciare il lavoro come dipendente e, in società con alcuni amici, ha aperto una tipografia a Vistarino e poi a Copiano. Dopo alcuni anni si sono separati e ha continuato da solo, di nuovo a Vistarino, dove ha lavorato fino al 1995, anno in cui ha acquistato il capannone di Cura Carpignano, in cui si trova la sede attuale

Com’è nata e si è sviluppata l’esperienza di papà Egidio?
«Mio padre ha iniziato a stampare dal 1969, intorno ai vent’anni, facendo esperienza sulle macchine tipografiche, usando le matrici a caratteri mobili. L’offset era ancora poco usata e la computer grafica non si era ancora affacciata. Infatti, verso la fine del XX secolo, grazie alla digitalizzazione della tipografia apportata dai computer, i software di desktop publishing hanno incrementato la velocità di produzioneI suoi strumenti di lavoro erano i cliché in zinco e i caratteri in piombo e in legno. Solo in seguito ha acquistato macchine più grandi come l’offset

Egidio Baroni ai tempi della tipografia

Egidio Baroni ai tempi della tipografia

In che cosa consisteva l’attività di Linea grafica a quei tempi?
«Mio padre ha sempre stampato su carta per il settore commerciale: carta intestata, buste, blocchi, fascicoli in carta chimica. Ha lavorato per alcune banche, per Olivetti e Riso Scotti. Tanti clienti provenivano da Milano. E poi manifesti, volantini, depliant e brochure

Quindi commerciale e pubblicitario e il libro?
«Intorno agli anni ’98, ’99 ha iniziato a stampa libri su un’Aurelia 70×100 bicolore, la storica offset di fabbricazione italiana; l’interno veniva stampato in monocromia e le copertine su macchine piccole (35×50). Poi, nel 2008 ha acquistato una 4 colori Man Roland 600 nel formato 70×100, anche per volantini, brochure e cataloghi in quadricromia, per cui anche il libro si stampava in toto con la Man Roland

La sua attività si è arricchita ed è evoluta, ma quando sei entrato anche tu a far parte del mondo della stampa?
«Ho iniziato nel 2007/2008 insieme a mio padre, partendo dalla stampa e non dal computer; il passaggio di consegne è stato graduale e dopo 3/4 anni i clienti si sono abituati a rivolgersi a me, che non ero più solo un esecutore, e io a interfacciarmi con loro, mentre mio padre ha preferito ritornare al lavoro manuale sulle macchine. Ha voluto subito farmi un test, una sorta di battesimo per capire se fossi idoneo a svolgere questo tipo di professione

E in che cosa consisteva il test?

«A quei tempi si aggiustava il colore a occhio e quindi bisognava conoscere, almeno, le nozioni base sui colori di quadricromia e la sintesi sottrattiva. Sembrerà buffo, però, mi domandò che cosa avrei fatto se mi avesse chiesto di portargli un giallo più caldo

Ci si può arrivare col buonsenso.

«Certo, però uno dei ragazzi che avevano collaborato con lui in tipografia a questa richiesta, si presentò dopo un po’ di tempo con la vaschetta riscaldata sul termosifone, mentre io gli risposi che avrei aggiunto un po’ di rosso o arancione.  Con la tecnologia attuale, il colore si profila a computer e non si fa più nulla a occhio, però quel ragazzo non aveva neanche l’idea del colore

Questo aneddoto merita una risata e evidenzia come anche un errore madornale possa tornare utile. Il fatto che tu sia qui a parlarne dimostra che eri più che idoneo al lavoro!

Chi si rivolgeva a voi per pubblicare libri?
«Un editore di Pavia: Bonomi Editore, che pubblica libri destinati ai neo genitori, per i primi rudimenti sull’allattamento, i nove mesi della gravidanza, il massaggio al bambino, lo svezzamento, che è stato il più venduto, perché si presentava in forma di dialogo, una sorta di discorso tra madre e figlia, e i libri destinati ai padri. Ma per conto nostro abbiamo stampato anche testi psicologici, libri tecnici e riviste scientifiche universitarie, libri fotografici e pubblicazioni di poesie e romanzi per il puro piacere dell’autore di vedere la propria opera realizzata su carta e, quindi, senza codice ISBN, perché non siamo mai stati editori

Quali difficoltà hai incontrato durante il tuo lavoro nel rapporto con i clienti e con i grafici?
«Alcuni progetti eseguiti da grafici erano difficili da realizzare perché non conoscevano le problematiche di stampa, come ad esempio l’utilizzo di un corpo troppo piccolo in quadricromia, dove andare a registro era molto difficile. Questa è una caratteristica di chi non conosce il processo produttivo dalla A alla Z, e realizza progetti che, a computer appaiono perfetti, ma che in stampa non lo sono e mettono in difficoltà anche se si è i piú abili stampatori.  Il contatto con i clienti, invece, è stato graduale e ho imparato a gestirlo da mio padre che era abituato a metterli al primo posto, sacrificando tempo extra-lavoro ed energie per soddisfare le richieste. Alla vecchia maniera

Quali macchine usi oggi?
«Nel 2010, da offset e tipografica, sono passato alla stampa digitale da tavolo. In seguito ho acquistato una macchina per la stampa a caldo in bobina CICRESPI per etichette, nastrini per negozi. Abbiamo cominciato a stampare su altri supporti: nastri di tessuto, PVC adesivo in bobina per etichette e poi il primo plotter solo carta e più avanti il secondo per gli striscioni, adesivi plastici, espositori avvolgibili (roll-up). Il parco clienti si è ampliato e con esso il ventaglio dei prodotti.»

Che cosa è cambiato?
«Si è passati da meno clienti con più lavori pro capite, a più clienti che richiedevano pochi lavori. Dalle società, a progetti semplici per tanti negozi e piccole attività.  Il cambiamento è avvenuto nel 2010 in cui la stampa digitale si è resa necessaria per soddisfare le richieste di chi necessitava di piccole tirature, come i menu a colori, le cartoline e i volantini

Qual è la differenza qualitativa tra offset e digitale?
«Si riscontra soprattutto sui fondi o sul registro da un foglio all’altro, che è una pecca della digitale rispetto all’offset. Negli anni, però, si è molto evoluta, tanto che oggi si parla di digital offset che ha anche una gamma cromatica più ampia. Dal 2010 ho cambiato cinque o sei macchine digitali a foglio in formato 33×48 con possibilità di stampare il banner fino a 120 cm in lunghezza. Il formato 33×70 è il più utilizzato per i pieghevoli a 3 ante e il 32×100 per i 4 ante.»

Il parco macchine, quindi, si è ampliato ancora?
«Sì, sono arrivate una piegatrice, fustellatrice digitale, ma utilizzo anche le tipografiche per fustellare, le Heidelberg più vecchie per cordonare, forare e numerare. I libri vengono rilegati esternamente, fornendo le segnature in sedicesimo o trentaduesimo, mentre in digitale la rilegatura si fa internamente fresando e incollando con una colla che ha un’ottima tenuta

Per quanto riguarda il lavoro, quale filosofia di vita ti ha lasciato tuo padre?
«Per mio padre la tipografia è stata come una prima figlia, era la sua creatura e ha sempre avuto un grande amore per il suo lavoro, che mi ha trasmesso. La dedizione e la gratificazione nel soddisfare il cliente, l’impegno, quindi in due parole: impegno e dedizione. Lui lavorava fino a notte fonda per riuscire a completare il lavoro e preparare quello da stampare il giorno dopo. Mia madre, infatti, lo accusava di mettere i clienti al primo posto. Ma io col tempo l’ho capito: la tipografia era la sua creazione, la sua vita

Che cosa ti piace del tuo lavoro?
«Ho iniziato come stampatore ma, in seguito, mi sono cimentato anche nella computer grafica per lavori semplici come loghi, impaginazione pubblicitaria di manifesti e volantini, pur non essendo un grafico. Mi gratifica il riscontro positivo del cliente sul lavoro di grafica e stampa e l’intesa perfetta tra progetto e stampa finale, la corrispondenza dei colori in stampa dovendo svolgere tutto a mano con l’occhio e l’esperienza, o l’aiuto del densitometro, lavori che oggi sono prerogativa di macchine evolute

E in merito alla sostenibilità, qual è il tuo contributo?
«Le lastre, ad esempio, le faccio realizzare esternamente proprio per una questione ecologica di smaltimento dello sviluppo per le pellicole e il fissaggio. Poiché non lo utilizzavo tutto, una parte si doveva buttare. Così ho eliminato la camera oscura e lo sviluppo lastre che faccio eseguire da un service. Poi, se vogliamo parlare di sviluppo in macchina, per la ‘mia’ esperienza, ho notato che non rende perché l’immagine sulla lastra ha una minor durata e al massimo si arrivava a una ristampa. Anche in questo caso bisogna scegliere il male minore ed evitare gli sprechi e, forse, cambiare fornitore

Che cosa pensi degli stampatori-editori?
«In generale, attualizzando le macchine e rimanendo nel proprio campo, non si sbaglia e risulta alla fine corretto e proficuo, ma se si mischiano le attività si rischia di non riuscire a fare bene lo stampatore e se non si hanno le competenze necessarie per essere editore – penso che ognuno abbia dei limiti – occuparsi bene di tutto è difficile. Bisogna acquisire le competenze necessarie per poter essere editore, comprendendo che il limite è quello di dover seguire la parte editoriale e non riuscire a dedicarsi nel migliore dei modi alla stampa, adeguata a degli standard qualitativi. In parole semplici: se uno stampatore decide di fare l’editore, deve poi far stampare qualcun altro e dedicarsi all’editoria

Il mondo della stampa dove sta andando?
«Sempre più verso il digitale, anche se l’offset rimarrà. Tanti prodotti andranno a scomparire e si useranno sempre di più gli schermi. Il libro cartaceo resterà sempre, ma per i titoli minori ci sarà una tendenza a stampare tirature ridotte. Prima la tiratura media si attestava dalle 2000 copie in su, adesso è sulle 200 copie, massimo 1000. I testi si possono aggiornare senza grandi costi aggiuntivi, mentre nell’offset bisogna rifare le lastre e poi c’è l’avviamento. Nel digitale si mette a posto il file e si stampa senza spreco di sfogliacci di avviamento per la taratura del colore. E poi si andrà sempre più verso una stampa ecologica. Io stesso sono passato da un plotter ecosolvent, che usa una parte di solvente, a uno con stampa latex con inchiostro (a base lattice) con tutte le certificazioni ecologiche, che necessita di una più alta temperatura di fissaggio sul materiale. È un latex di ultima generazione indicato anche per carta da parati per le camere dei bambini.»

Ezio Baroni

Ezio Baroni accanto alla storica piano-cilindrica Heidelberg, ancora oggi utilizzata 

E sul packaging come ti poni?
«Il packaging di tanti prodotti non verrà mai stampato in digitale. Sono troppo grandi le tirature, per non parlare poi della plastificazione e della stampa in rilievo a caldo. Anche la rotocalco da qualche anno stampa su plastica per confezioni, sul tessile, carta da parati, confezioni alimentari.
La mia fustellatrice digitale in piano, la utilizzo anche per la prototipazione di packaging che poi vado a stampare in offset. Mi serve per sagomare, soprattutto le etichette, e per il taglio dei pannelli di piccole/medie dimensioni fino al formato 60×80. Per stampare questi prototipi utilizzo una stampante in piano con la quale stampo anche gadget come penne, chiavette USB, portachiavi, targhe. Stampa a getto d’inchiostro e poi la luce UV lo fissa sul materiale polimerizzandolo, su carta, vetro, plexiglass, forex

Ti ringrazio Ezio, ci fai ben sperare sulla professionalità e l’impegno delle giovani leve e ti auguro di sviluppare e far evolvere al meglio la tua attività, con un occhio al passato e agli insegnamenti di papà Egidio, ma con lo sguardo rivolto al futuro di questa professione che sta compiendo passi da gigante.