Il Museo della Stampa e Stampa d’Arte “Andrea Schiavi” di Lodi ha completato l’ordinamento delle sue pietre litografiche fino a oggi non esposte al pubblico.

Come sappiamo la stampa offset nasce dalla litografia su pietra inventata da Alois Senefelder per stampare le locandine degli eventi teatrali di suo padre. Secondo la leggenda, in cui certamente si nasconde molta verità, l’intuizione gli venne osservando le donne che lavavano i panni nei torrenti. Notò infatti che le pietre (un calcare molto duro che si trova solo in una certa zona della Baviera) su cui segnavano a carboncino il numero dei panni lavati per tenerne il conto, rifiutavano l’acqua dove era il segno dell’inchiostro.
Da qui nacque la litografia.
Oggi il termine litografia indica genericamente anche la stampa offset con lastre in alluminio, ma in realtà dovrebbe indicare solo la “stampa da pietra” come indica il termine. Tecnica tuttora usata per la stampa d’arte.

Una delle pietre litografiche catalogate ed esposte al Museo della Stampa di Lodi

Una delle pietre litografiche catalogate ed esposte al Museo della Stampa di Lodi

Come ci ricorda Aldo Caserini, autore di un articolo sul quotidiano di Lodi, Il Cittadino, “fra i secoli XIX e XX è stata però quella che ha fortemente attratto artisti e fruitori di stampe d’arte. Sulla pietra l’artista disegna con una speciale matita o dipinge con un pennello, stendendo un inchiostro grasso colorato. È per questo motivo che si è diffusa con grande rapidità, procurando anche qualche dispiacere ai collezionisti meno accorti di fogli d’arte e qualche guaio ai suoi venditori.”

Dagli stabilimenti Vallardi

Riportiamo quindi il seguito dell’articolo di Caserini.
“Fra i tanti che hanno utilizzato la litografia nel XIX secolo si possono ricordare Daumier, Delacroix, Manet, Renoir e, più tardi, Redon, Toulouse-Lautrec, Munch, Kollwitz. La litografia è stata usata, alternandola alla pratica incisoria, da Ferroni, De Chirico, Carrà, Picasso, Rouault, Mirò, Marini, Greco, Cascella, Guttuso, Paladino, Maffi, Tadini, Chia, Benito Vailetti, eccetera.
Non è comunque una incisione. Almeno non nel senso letterale del termine. Anche se si avvale di risorse grafiche non dissimili, sostanzialmente, da quelle dell’acquatinta. In ogni caso assicura rese ed effetti espressivi di matita, lapis, acquerello.
La tecnica è stata utilizzata anche da artisti lodigiani. Ma non è di questo che intendiamo parlare, bensì del fatto che fra le centinaia di macchine e attrezzature che si trovano al Museo della Stampa “Andrea Schiavi” di Lodi e che “raccontano” la storia della stampa, delle sue tecniche e dei significativi cambiamenti nell’ambito delle produzioni e riproduzioni, esiste un autentico “tesoretto” nascosto, costituito da ben 72 pietre litografiche di grosse dimensioni, che pochissimi hanno visto, e che aspettano, dopo la sistemazione studiata da Osvaldo Folli, direttore del Museo di via della Costa, di essere ammirate (e studiate) nella varietà dei soggetti direttamente disegnati su pietra.
Tra questi, scene di epiche battaglie come quelle dei bersaglieri a Porta Pia o dei carabinieri a Pastrengo disegnate dal De Albertis e numerose altre di soggetto storico e letterario: il trionfo di Cesare, il Giuramento degli Orazi, “I promessi Sposi” disegnati dal bussetano Alberto Pasini e stampate da V. Malinverno. Ma sono molti altri i pezzi della collezione, che sono stati ora fotografati e catalogati dai volontari del museo lodigiano e che attendono la giusta valorizzazione. Una dozzina di preziose e pesanti “matrici” della raccolta sono state ora esposte nella sala arte.
Le pietre litografiche del Museo fanno parte di quelle prodotte negli stabilimenti di Antonio Vallardi a Milano dalla fine del XIX secolo fino agli anni ’60 del secolo scorso. Costituiscono uno dei tanti cimeli raccolti e conservati da Andrea Schiavi, attraverso un lungo e impegnativo lavoro di ricerca, recupero e valorizzazione e, insieme alle centinaia di macchine, danno oggi ampiezza e concretezza a un progetto che a molti, solo ieri, sembrava cosa irrealizzabile e avveniristica.