Non è una novità, e lo sanno bene le associazioni della filiera carta e stampa, ma fa sempre effetto – in negativo – leggere i dati diffusi dall’ISTAT sul livello di lettura degli italiani.

Secondo il rapporto ISTAT 2016 su ‘Produzione e lettura di libri in Italia’ i comunque tanti editori italiani attivi (1500) producono poco: l’86% non supera i 50 titoli/anno, ma molti appena 10 o meno. I ‘grandi’ rappresentano il 13,6% degli editori operatori attivi (circa un quarto di questo nella sola Milano) e pubblicano il 76% dei titoli presenti sul mercato, pari all’85% delle copie stampate. Non è un bel segnale. Non lo è anche se, dicono i dati, nel 2016 i titoli pubblicati sono aumentati del 3,7% rispetto al 2015 (ma nel 2017?) ma con un netto calo per quanto riguarda le copie stampate: la tiratura è scesa del 7,1%.

Ma dobbiame tenere conto che queste cifre comprendono i libri scolastici, che nulla hanno a che fare con la ‘voglia di leggere’ degli italiani. Questi, i lettori, sono calati quasi del 2% in un anno. Circa un terzo degli italiani dichiara di aver letto almeno un libro durante l’anno (esclusi quindi gli studenti che ‘leggono per forza’ o almeno si spera). La popolazione femminile è un poco più propensa alla lettura – 47% donne contro il 33,5% di uomini –, ma l’aver letto un solo libro in un anno non fa cultura, a modesto parere di lettore con più di 40 libri/anno.

Pare che, al contrario, vi sia ancora la tendenza a leggere i quotidiani (quali e come l’indagine non lo dice). Naturalmente il livello di istruzione influenza la ‘tendenza a leggere’: il 73,6% dei laureati dichiara di leggere, contro il 48,9% di chi ha un diploma. C’è anche un divario tra nord e sud dove, dice l’indagine ISTAT, neppure una persona su tre ha aperto un libro nell’ultimo anno. Inoltre, l’abitudine alla lettura è legata anche alla tradizione familiare: legge libri il 67% dei ragazzi tra i 6 e i 18 anni con entrambi i genitori lettori, contro meno del 31% tra i figli di genitori che non leggono libri, quindi circa la metà. E una famiglia su dieci non possiede libri in casa !

e-book vs carta

Secondo gli editori, i principali fattori che determinano questa scarsa propensione alla lettura da parte degli italiani, sono il basso livello culturale della popolazione e la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura. Ma questa è una constatazione e non una ricerca sulle cause più profonde e reali. È su questo che chi è interessato a far sì che si legga di più dovrebbe indagare con attenzione e serietà. Sempre che si voglia, nel tempo cercare di invertire la tendenza, cosa su cui abbiamo seri e motivati dubbi.
Che poi la lettura possa incrementare il mercato di carta e stampa non è del tutto corretto visto che i dati rilevano anche una continua crescita del mercato digitale: più di un libro su tre (circa 22 mila titoli) è ormai disponibile anche in formato e-book, quota che sale al 53,3% per i libri scolastici.

Un nostro noto interlocutore, un cosiddetto ‘lettore forte’, ci informa che “si sta tutti (scuola in primis) pensando che il leggere sia un’attività ormai superata e inutile. Per diretta esperienza – aggiunge – so di grandi difficoltà a leggere da parte di scolari e di un caso di un ragazzo definito iperattivo e quindi autorizzato a fare il cavolo che vuole, che in 5ª elementare ammette candidamente di non sapere leggere.”

E i sacchetti di plastica?

Ma allora cui prodest? E qui, sempre per restare in tema con i latini, ci viene a mente il famoso ‘panem et circenses‘ come dire “noi vi facciamo divertire (leggi guardare la TV piuttosto che leggere e tenersi informati sul mondo che corre) e voi lasciateci fare il cavolo che vogliamo.
Come l’ultima chicca dei sacchetti di plastica biodegradabili (si fa per dire) che servono ad arricchire una azienda che li produce in monopolio. Ma tali questioni lasciamole ai colleghi più bravi di noi, tipo Sergio Rizzo e Luca Telese che non mancano di fare le pulci a chi di dovere.
Su questo tema ci sarebbe molto da scrivere passando quindi dalla stampa di libri su carta a quella del packaging. Ad esempio, perché non permettere l’uso di sacchetti di carta? E perché la verdura preconfezionata (come altri prodotti alimentari e surgelati) continuano a essere impacchettati in plastica non biodegradabile e non compostabile? Ne consegue che la nuova legge non porterà alcun vantaggio in termini di ambiente, tanto più che i sacchetti di plastica dei supermercati servono alle famiglie per raccogliore la plastica per la raccolta differenziata. Ai posteri l’ardua sentenza.

L’immagine accanto al titolo è un’idea e realizzazione di Camillo Cuneo. Per gentile concessione.