L’Autrice di questo simpatico articolo, giornalista, è responsabile dell’ufficio stampa di Assocarta. Pubblichiamo le sue considerazioni sulla comunicazione digitale a confronto con quella su carta, che nel bene e nel male ci coinvolge tutti. E ci obbliga a meditare.

Dopo la lettura dell’interessante articolo di Aisha Harris “I went through my old emails. It was glorious”, pubblicato sulla International Edition de The New York Times (13 gennaio 2020), è d’obbligo non solo una riflessione, sulla propria storia digitale, ma anche una verifica della casella di posta.

A che serve una mail personale?

Personalmente ho creato la mia prima casella mail nel 1998. Negli anni, ho sempre dato per scontato la mia mail, ma a pensarci bene questo indirizzo – tratto da un personaggio di “Oceano Mare” di Baricco – fu davvero creato per scherzo.

Solo ora rifletto sul fatto che questa mail mi identifica presso le istituzioni, il fisco, la pubblica amministrazione… ma ora non posso più cambiarlo, impossibile traferire tutta questa corrispondenza su un nuovo indirizzo personale, magari più consono all’utilizzo, tipo nome e/o cognome più le ultime due cifre della data di nascita.

Decido di verificare la casella di posta durante il fine settimana, ma sono in un luogo piuttosto solitario, affacciato sul Lago Maggiore, dove non ho connessione, mentre il mio cellulare naviga con fatica. Nel tempo, ho sicuramente cancellato dalla casella quel che non mi interessava, ma si tratta di un’attività a cui non mi dedico da anni. Vorrei tanto rileggere alcune missive digitali scambiate nel passato con amici, vorrei controllare email ricevute da persone care che non ci sono più, ma non riesco a connettermi. Dove è stato il mio passato digitale sino ad ora? In qualche cloud o simili, magari a disposizione di qualche banca dati?

lettura digitale

Si è sempre più legati al digitale, indipendentemente dal contesto che ci circonda

Pagare o cancellare?

Ad Aisha Harris, come spiega nel suo articolo, il controllo della casella mail è andato diversamente. La giornalista racconta di un giorno d’agosto quando, nello scrivere sul suo laptop, scopre di aver quasi esaurito la memoria della casella mail. Un banner giallo-mostarda compare sul suo schermo annunciando il basso livello di memoria rimasta, e la necessità di utilizzare la carta di credito per l’acquisto di memoria supplementare. Il fatto di dover pagare per qualcosa per cui non aveva mai speso un soldo quasi la offende (cfr. … “and the concept of paying for something I never had to pay for before was downright offensive”) … e così cerca, invano, di cancellare le email che non servono più.

Un tuffo nella sua storia digitale, che la conduce alla riscoperta della corrispondenza con gli affetti più cari. Con i vecchi amici. Al tempo della scuola. Una missiva di un ex-fidanzato. Una mail del suo professore di teatro relativa alla traduzione della piéce di Wilde “The importance of being Earnest” (se solo il povero Ernesto avesse avuto un indirizzo email non avrebbe dovuto dimostrare la sua identità!).

Ore passate cercando di cancellare la corrispondenza con persone e istituzioni, che porta da oltre 18.000 missive digitali a circa 17.600, mentre il livello di memoria si mantiene pressoché uguale.

Il banner color mostarda rimane, infatti, fisso sullo schermo e da questo segnale parte l’impegno, per il futuro, di eliminare periodicamente le email che non servono più. Un viaggio “forzato” e al contempo piacevole nel passato digitale, custodito in una casella mail, che emoziona la giornalista, ma anche il lettore: la nostra memoria storica vale la pena di essere preservata, in questo caso con carta di credito!

Ricordi conservati nella carta

Quella di Haisha Harris è una bella riflessione sull’importanza della scrittura digitale che fa parte di noi, ci identifica e ci costruisce facendo parte della nostra storia, così come la scrittura su carta e le montagne di carte e libri che si accumulano accanto a noi, e ci accompagnano nella vita quotidiana. Tutto quello che leggiamo e scriviamo su carta occupa uno spazio fisico che non possiamo ignorare.

Siamo fatti di carta ma anche di digitale. O meglio – dai digital native in poi – siamo fatti di digitale, ma pur anche di carta. Non si tratta di distinguere tra appassionati e detrattori della lettura e scrittura su carta, perché la nostra memoria è fatta da entrambi i supporti.

In assenza di connessione chiudo il computer e cerco un libro da leggere. Mi cade l’occhio su alcuni romanzi di Iréne Nemirovskij: scelgo “Suite francese”. L’ho letto diversi anni fa, nell’anno della sua prima pubblicazione (Adelphi 2005), voglio rileggere i miei vecchi commenti nelle prime pagine. Chissà cosa mia frullava nella testa allora. Lo sfoglio e trovo un biglietto del cinema del 2015 quando ne uscì la versione cinematografica, più in là di qualche pagina, un bigliettino scritto in una bella calligrafia. Quanti ricordi può nascondere la carta! È la mano di mia sorella Paola con un piccolo appunto su un personaggio locale che tenne una interessante testimonianza sulla seconda guerra mondiale. Ne digito il nome sul computer per saperne di più, ma realizzo immediatamente che non posso connettermi.

Mi abbandono quindi alla lettura del libro mettendo la curiosità in stand-by sino al rientro a casa. Le pagine liberano un piacevole odore di carta e anche il biglietto di mia sorella, rimasto intrappolato per anni nella suite francese. Mi metto l’animo in pace (non posso far altro) e inizio a leggere immergendomi nella connessione più profonda che porta i miei pensieri da una pagina all’altra, in attesa di rimettermi in viaggio e trovare, alla prima stazione di servizio, una connessione digitale.

L’immagine in alto: credits Fotolia per concessione Assografici