«Ovidio descrive, Virgilio dipinge, Dante […], a parlar con proprietà, non solo dipinge da maestro in due colpi, e vi fa una figura con un tratto di pennello; non solo dipinge senza descrivere […], ma intaglia e scolpisce dinanzi agli occhi del lettore le proprie idee, concetti, immagini, sentimenti».    (Zibaldone 2523)
Anche Gianni Verna, xilografo immaginifico, artefice di questa mirabile sequenza di figure, intaglia e scolpisce.

di Gianfranco Schialvino

Lo fa – Gianni Verna – nel legno di noce, lavorando metri e metri di tavole con sgorbia e scalpello, con competenza, esperienza e maestria. E, rara dote in un universo tecnologico che ha trasformato gli atelier degli artisti in ambienti asettici, con acribico “mestiere”, seminando di trucioli la sua bottega.

La strada per l’Inferno, si sa, è lastricata di mostri. (Lorenzo Montemagno Ciseri, “Cerbero e gli altri”, 2021). Da Caronte che traghetta i dannati alle implacabili Erinni, dal Minotauro terribile e rabbioso alle Furie scatenate e le Arpie senza pietà, accanto al Minosse caudato, Cerbero tricefalo, i Centauri sapienti e l’alato Gerione, fino a Caco e i Giganti, Nembrot, Fialte e Anteo, per arrivare a Lucifero in persona, diavolo scornato, che intento a masticar dannati neppur si cura di venir usato come montacarichi dagli illustri visitatori del suo regno.

Pape Satàn, Pape Satàn Aleppe!
Verna Dante
Verna Dante
Verna Dante

Verna Dante

Le xilografie originali, sono quattro legni di 32 cm per due metri ciascuno

Verna si è ingolfato con ardore, impegno e passione adolescenziale, in una sistematica rassegna di ognuno dei mostri e delle entità infernali in cui s’è incappato nel corso di un personale viaggio dantesco attraverso la dimensione della dissimilitudine dalla logica del creato, spulciando l’alato àmbito mitologico, lanciando sberleffi a quello storico, parodiando l’aspetto letterario, beffandosi di quello morale da cui i personaggi danteschi han tratto linfa. Ma soprattutto dissacrando le valenze simboliche attribuite dall’Alighieri alle sue creature, plasmate a strumenti della volontà divina, trasformandole in marionette estetizzate che trasbordano dalla scena paludata del teatro di Dioniso per aggregarsi al carro di Tespi in una tragicomica parodia.

Il Medioevo è legato alla memoria di “secolo buio”: flogosi suppurativa di superstizioni, magia e creature immonde ritenute responsabili di carestie, pestilenze e morte: esseri e organismi che la Divina Commedia accresce di un significato profondo che insieme al loro aspetto ha travalicato i secoli, popolando ancor oggi i sogni e gli incubi di chi non l’ha letta mai, eppure la conosce, tramandata in una parallela tradizione orale frutto di convinzioni e di atteggiamenti irrazionali.
Settecento anni di attrattiva e potenza evocativa sulla cultura di tutto il mondo. Un testo di fama immediata e rapida diffusione manoscritta, nei numerosissimi codici trecenteschi e quattrocenteschi, e in stampa, in una produzione che, ancora nel XX secolo, risultava seconda solo a quella della Bibbia.

Gianni Verna, peintre graveur, ha illustrato il brivido di quando davanti a qualcosa di spaventoso ci copriamo gli occhi con le mani, divaricando le dita quel tanto che basta per sbirciare, e il fascino dell’ombra, del lato oscuro, anche su di lui ha avuto la meglio. Nelle sue tavole tutto si “mostrifica”, tutto si distorce alla luce delle fiamme sulfuree: i diavoli, i dannati, i guardiani dei cerchi infernali, che incide nella forma e nel sostrato. L’Inferno orizzontale ripiegato a leporello, stampato in un nero vellutato, ossidato, opaco fino a toccare la profondità assoluta, rappresenta lo scenario più congeniale per ospitare i demoni, i mostri e ogni sorta di creature bizzarre. Qui, nel regno dell’oltretomba possono finalmente uscire allo scoperto e tartassare le anime dei morti e spaventare i vivi, che vi fanno visita.

Il saluto “Ave” sullo zerbino all’ingresso dell’Ade, portone del numero 666, tuttavia, invita già nella prima tavola a non prender troppo per vero le apparenze, perché anche la barca di Caronte è fatta di carta (pregiata, per carità, una pagina del “Sole 24 ore”!) e Cerbero gioca con la coda di un topolino, le streghe cavalcano le scope e Goya disegna col gesso i pipistrelli sulla lavagna della notte. Di rimando gli affreschi della Sistina di Michelangelo offrono a Verna lo spunto per i giganti, e Bouguereau le Erinni, e Vermeer gli suggerisce il fascino della ragazza dall’orecchino di perla. Ancora il Partenone gli regala la ieraticità delle Metope, mentre a scompaginare l’austerità del mito un gatto nero che si stiracchia a pelo ritto, un par di rospetti e una frotta di cornacchie curiose fanno capolino tra nobili colonne e ruderi merlati di circostanza.

E poniamo l’attenzione su tre gruppi di figure dalla forte interpretazione e il gran fascino dell’esecuzione. Cerbero, figlio di Tifeo e di Echidna, simbolo dell’avidità, il guardiano di chi in vita peccò d’ingordigia e ora è condannato in eterno. Mostro a tre teste ha la barba unta e le mani dotate di artigli per tormentare i dannati spellandoli e facendoli a pezzi; pare di sentirne i latrati di cane rabbioso.
Poi le Erinni, Furie dai capelli di serpente e il corpo di donna, figlie d’Acheronte e della Notte, ancelle di Proserpina, “regina dell’etterno pianto”, che gridano graffiandosi il petto: Megera, Tesifone e Aletto: lo sguardo è per ciascuna diverso, suadente, ammaliatore, carico d’odio.
Lucifero infine, l’angelo prediletto da Dio, narrato nell’Apocalisse (Apoc. 12, 7-13.) che volle essere uguale al Creatore, peccando di orgoglio: “E così fu certo che ’l primo superbo, / che fu la somma d’ogni creatura, / per non aspettar lume, cadde acerbo”: è un angelo caduto, “Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora?” (Isaia 14, 12), il capo dell’esercito demoniaco, il principe del male, il non-essere, il nemico per definizione e destino. Nell’iconografia cristiana è leone, serpente e caprone, in una forma crescente di paura. Verna lo fa caprone, con l’occhio vitreo e assente, intento a ruminare i traditori eccellenti: Bruto, Cassio e Giuda, indifferente al divin Poeta pensa al Sabba che ha da venire, già le streghe puntìnano l’orizzonte, e allora ci sarà da ridere!