Il 5 dicembre scorso, Metaprintart aveva raccontato «Marisa Belloni: dalla scuola alla tipografia». La storia «vera» di una maestra di Nizza Monferrato (Asti) che alla morte del padre, cavalier Arnaldo Belloni, aveva lasciato i banchi di scuola per i banconi dell’azienda paterna, così da proseguire un’attività già lunga settant’anni: una scelta certamente dettata più dal cuore che dalla ragione.
di Giorgio Coraglia
Una storia rara, ma non unica, così da avere il piacere di potervene raccontare ancora un paio.
Carla Arata, la linotipista figlia d’arte. Come tutte le belle storie, inizia con «…A-i era na vòlta…» (C’era una volta), che è anche il titolo di un libretto di favole in piemontese «per i bambini e per i grandi» scritto da Alessandro Arata, linotipista torinese che, rimasto vedovo alla nascita della terza figlia, lascia nel secondo dopoguerra il posto sicuro a La Stampa di Torino e rischia le poche lire di liquidazione per metter su «bottega» nel capoluogo piemontese.
Erano gli anni del boom economico, che in larga parte era dovuto proprio a tante scommesse del genere. Le macchine erano costosissime, ci si indebitava per anni e per altrettanti bisognava lavorar duro, senza guardar l’orologio o dar retta alla fatica. In quelle linotipie – che servivano le tante piccole tipografie di Torino – crescevano, pur se tenuti a stecchetto, i linotipisti del domani. Le piccole aziende artigiane erano allora il complemento concreto delle scuole professionali e formavano «sul campo» le nuove leve che diventavano prede ambite per i giornali e le grandi case editrici.
Così fu anche per Carla, la figlia di mezzo di Sandro Arata. Negli anni verdi – siamo alla fine degli Anni Cinquanta del secolo scorso -, quando tante omologhe (le figlie dei piccoli artigiani) si preparavano a debuttare nella buona società, Carla faceva già danzare le sue dita sui novanta tasti di una imponente e minacciosa linotype, sempre rigorosamente riservata ai maschietti. E, riga dopo riga, fu così per la bellezza di quarantun anni.
Le linotype arrivarono a tre, mosse da padre, figlia e un operaio fino ai tempi dell’avvento della fotocomposizione, quando le tipografie iniziarono ad abbandonare la composizione a caldo, ormai non più competitiva. Perso l’ultimo operaio, anche il vecchio Arata lasciò la «sua» linotipia e si ritirò a scrivere storie e proverbi in piemontese in uno sperduto bricco astigiano.
Carla prese allora le redini della linotipia e portò avanti produzione e gestione fino all’alba del terzo millennio: nel dicembre 2001 si arrese alle nuove tecnologie e spense definitivamente il crogiolo dell’ultima linotype mod. 5.
Cessò così lo sferragliare di quella meravigliosa macchina compositrice che con il suo eccentrico ruotare aveva per decenni, quotidianamente, scandito il suo tempo. Anche se era ancora perfetta nel suo funzionamento, nessuno più la volle. Arrivarono con le mazze a distruggerla. Allora la linotipista Carla pianse.
Elena Moro, l’avvocato alla tastiera
Ci trasferiamo ora a Milano, per raccontare un’altra storia. Il compositore a mano Giovanni Moro, figlio di un rotativista del Sole 24 Ore, aveva impiantato, appena diciannovenne, una piccola tipografia nel capoluogo lombardo, la Kronos. Si era poi sposato con Mimma che aveva voluto insieme anche nella sua officina tipografica. Casse di caratteri, una «stella» Heidelberg, un reparto di cartotecnica. Arrivò una linotype modello 5 ricostruita nelle officine di Edoardo Grioni, cognato di Giovanni. Poi la cicogna posò la figlia Elena, che si voleva seguisse una strada più ambiziosa. Difatti venticinque anni dopo la troviamo laureata in giurisprudenza alla «Cattolica» di Milano.
Frattanto papà Giovanni aveva messo a riposo la prima linotype sostituendola con una veloce «Practica» delle Officine Menta. Alla tastiera si «esibiva» Giovanni che sfidava in velocità la moglie Mimma, che componeva a mano con i caratteri di cassa, e sovente l’esperta compositrice aveva la meglio sull’improvvisato linotipista.
Era la vigilia del Natale 1990 quando mancò improvvisamente Giovanni Moro. Si sentì persa la moglie Mimma e per la tipografia sembrava scritta la parola fine. Elena, specializzata in Diritto del lavoro, era diventata un’apprezzatissima funzionaria di una grande azienda e si occupava di vertenze sindacali.
Con la mamma prese la decisione di partecipare alla ripresa dell’attività tipografica immaginando una divisione dei compiti: Elena si sarebbe interessata della composizione a macchina e alla gestione dell’amministrazione, la mamma della composizione e un aiuto avrebbe collaborato all’impaginazione e alla stampa.
Passò le notti a studiare la meccanica e il funzionamento della linotype. Poi lasciò la toga e gli agi per indossare il grembiule blu-operaio e andare a sostituire in tipografia la perduta figura paterna. Aiutata e istruita da due meravigliose persone – quali Carlo Radaelli, meccanico delle Officine Menta, e da Adriano Soffiato, nipote di Edoardo Grioni – si mise alla tastiera della mitica linotype per allineare le matrici che andavano a comporre la sua prima riga: “Papà, ti voglio bene”.
Così l’attività prosegue, senza aver perso le memorie e le cose: la vecchia modello 5 è in cantina conservata come una preziosa reliquia, così come la mitica Lancia “Fulvia” paterna (che ora si fregia dello stemma delle auto storiche) che è parcheggiata nel garage di famiglia in bella mostra. La bici di papà Giovanni è in soffitta.
Oggi Elena Moro, la linotipista del terzo millennio, mi dice: “La linotype ha una voce e un cuore e io… sono ancora viva con lei!”.
Mamma Mimma sorride davanti a una cassa di caratteri.
La favola potrebbe finire qui, se non fosse vera. Come la Tipografia Kronos, in via Belinzaghi 17, a Milano: la tipografia in rosa.
Sia il cavalier Arnaldo Belloni, sia Sandro Arata amavano concedersi una meritata pausa giornaliera al bar per far due chiacchiere con gli amici sorseggiando un caffè. Ora immagino che, accompagnandosi con Giovanni Moro al Caffè Paradiso dei Tipografi, buttando lo sguardo sul monitor trigono che porta le notizie del nostro pianeta via satellite, si dicano beati per aver lasciato il loro mondo nelle mani di queste donne straordinarie.
Mi sono commosso. Ho avuto il piacere di lavorare a fianco di Carla, quando andavo a dare una mano o portare originali ai mitici Ferraro e Rubatto alla Velox. La ruota del tempo gira, ma ogni tanto ritrova sulla sua strada pit-stop indimenticabili.
Un carissimo saluto a te e che sia un buon 2012.
Queste belle memorie mi rimandano molti anni indietro quando ero egualmente davanti a una linotype.
Carla ha lasciato un lavoro che ama ancora e ne ha parlato anche a me di quei tempi e della distruzione della macchina in sua presenza. Il suo entusiamo non è venuto meno per un lavoro gratuito che compie assieme ad altre 39 volontarie alla mensa del povero della Parrocchia S.Alfonso.
Il suo entusiasmo, la sua gioia di vivere ed il suo calore umano dovuta ad una vera religiosità cristiana contamina tutta la nostra comunità. L’ho conosciuta anni fa mentre sono stato a casa sua per portare la benedizione del Signore e subito mi accorsi che faceva alla nostra causa e lei con entusiasmo venne subito a lavorare con noi servendo i poveri.
Siamo grati al Signore e non ce la faremo scappare.
Un saluto ed un augurio per questo lontano ricordo. Diacono Benito Cutellè.
è la vita passata dello scrivere altra cosa dal computer al piombo –
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momenti di creatività
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e i momenti della stampa con l’odore dell’inchiostro
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sia mai lo trascorso poichè è la continuazione dell’arte