Considerazioni sui graffiti che popolano i muri delle città: vandalismo o comunicazione degli esclusi? Come leggere il fenomeno della comunicazione attraverso le scritte sui muri.

Italo Calvino, nel suo articolo “La città scritta: epigrafi e graffiti” in recensione al saggio di Armando PetrucciLa scrittura fra ideologia e rappresentazione” (in Grafica e Immagine, Storia dell’Arte Italiana – Einaudi Editore), prendeva in considerazione l’abitudine, buona o cattiva che sia, di scrivere sui muri.
La quale non è una novità dei nostri tempi, come sappiamo visitando i siti archeologici di Roma, Pompei e non solo.
Come dice Calvino “Non ci viene in mente che in questa muta scenografia di pietra [i monumenti, gli archi di trionfo ecc – ndr] manca l’elemento che era il più caratterizzante, anche visualmente, della cultura latina: la scrittura.”
Il muro come un palinsesto cittadino

Graffiti nella storia

La scrittura sui muri delle città era presente ovunque. Costume che scomparve nel Medioevo. Anche perché fuori dai conventi proliferava l’analfabetismo e i monaci non erano molto inclini a scrivere sui muri della città.
Petrucci conclude la sua opera arrivando all’oggi in quella che definisce “invasione scrittoria «dal basso», caratterizzata da una volontà «antiestetica» dei giovani e degli esclusi” che nasce col Sessantotto.

Veri palinsesti

Perché le scritte cambiano. Veri e propri palinsesti, le scritte sui muri delle città rappresentano comunque, piaccia o no, una forma speciale di comunicazione. Sempre aggiornata. Dopo che un signore armato di pittura e pennello aveva ripristinato le facciate dai colori pastello di diversi palazzi del Centro, apparve questa scritta: “Ma almeno ti fai pagare?

Muri puliti popolo muto

Muri puliti popolo muto: una dichiarazione d’intenti

Muri Puliti

I graffiti come palinsesti delle città

La comunicazione degli esclusi

Come recita il titolo di questo articolo, i muri senza scritte fanno il popolo muto. Quindi, questa è la comunicazione del popolo, dei poveri, degli esclusi. Scritte che sono considerate giustamente vandalismi, ma che rappresentano pur sempre una forma di comunicazione, l’unica per chi non ha altri mezzi (o ‘media’ come si dice oggi anche a sproposito) a disposizione. Con questo non vogliamo giustificare quelli che possono essere vere e propri atti di vandalismo, che lo sono realmente quando vanno a deturpare monumenti o comunque pareti in marmo o in bugnato (a meno che non si usino tinte lavabili).

Ne abbiamo ‘raccolti’ un gran numero negli anni nel centro storico di Genova, che più di altri ben si presta a questo tipo di comunicazione, ma evitando le melliflue e banali scritte degli innamorati (con la sola simpatica eccezione in figura) o quelle becere dei tifosi, anche se alcune, specialmente nella dicotomia calcistica genovese, sono spiritose (almeno, quelle della parte storica).

Muri Puliti popolo muto

Questa scherzosa (?) epigrafe è una simpatica eccezione tra le scritte melliflue degli innamorati

La lezione di Faber

Iniziamo dall’immagine riportata in alto: un ‘classico’ che nessuno fino a ieri ha osato cancellare (*). Perché non poteva mancare  la scritta in via del Campo accanto al negozio-museo dedicato a Fabrizio De André: “Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame (Fabrizio de André  dall’Album “Storia di un impiegato” – “La mia ora di libertà”).
Del resto la Corte di Cassazione in una sentenza che ha fatto epoca annullò la condanna dopo tre gradi di giudizio per un clochard che aveva sottratto un pacchetto di würstel al supermercato, “per imprescindibile necessità”. La scritta è riportata nell’immagine di apertura.

(*)  Questa scritta è stata “cancellata” il 23 marzo scorso (deturpando maggiormente il muro che la ospitava), perché forse dava fastidio a qualcuno che preferisce la “linea dura”. Non si deve pensare male, perché altrimenti ci si azzecca: che sia il “nuovo corso” del governo?

Qui sotto il muro “pulito”.

foto Laura Monferdini

Via del Campo, Genova – foto Laura Monferdini

Domina la fantasia

E poi, come vediamo dalle immagini e da altri messaggi (i soli riportati per ragioni di spazio, ma l’intera raccolta è a disposizione di chi fosse interessato), a volte la protesta ha un senso culturale come questa di “vogliamo i libri (gratis)” accanto all’ingresso di quella che era una libreria, chiusa e trasformata in vendita di alimenti etnici. Come la contestazione a un negozio bio che ha rimpiazzato una tradizionale drogheria; “e lo champagne? Lo ruberemo”. Del resto in uno dei vicoli più reconditi (e malfamati) c’è anche un “non lavorare, ruba”.

Muri Puliti popolo muto

Una protesta contro la chiusura di una libreria

Presso la Stazione Marittima, dove sbarcano i crocieristi, che poi gironzolano per la città, ai quotidiani che scrivono che si è aperta la stagione dei turisti, i writers rispondono “Perché la chiamano stagione dei turisti se non gli possiamo sparare?

E quest’altro potrebbe essere considerato come il Manifesto degli Writers (tutto scritto accuratamente e con eleganza su una saracinesca):
Sciver la strada come aver cara un’idea
crea lo star insieme e chi lo tiene a bada
per l’oltre questa coltre di paure
per i visi che nascondono avventura
d’aver passo e socialità diffusa
perché riposa la cultura.
Fragile come un silenzio,
meglio il sole, che un tempo spento.”

Muri Puliti

Autore anonimo, vero poeta murale

Protesta e ammonizione

…Non bisogna mai sporcare i muri con le grandi frasi; poi la gente legge” scrisse (ma non sui muri) Vittorio G. Rossi. Un bell’ammonimento e la frase cancellata di Faber, lo dimostra.
E non dimentichiamo che alla base il graffito deve dare un risultato perché come recita questo “se il graffito non ha cambiato nulla, (solo) allora è illegale” o in questo ‘promemoria’ “…inazione è cospirazione...”

Muri Puliti popolo muto

Genova, medaglia d’oro della Resistenza non dimentica e quindi “Cresci ribelle, cresci antifascista” o anche “belli e ribelli” dove quel ribelle ha un significato che va oltre la protesta e ammonizione contro un sistema che può portare a deviazioni pericolose.
Numerose, ovviamente, le scritte anarchiche, che ben si immedesimano nell’ambiente dei carruggi, e che invitano a mettere la città a ferro e fuoco.
Ma tra queste c’è anche il dubbio: “insorgeremo (forse)” e poi ci sono ripensamenti o piuttosto le sovrapposizioni: lo Stato… o è stato… ? come relativo commento.

graffiti insorgeremo(forse)

Muri Puliti

Chavez graffitocontro ISISCi sono poi le testimonianze degli immigrati, spesso per ragioni economiche, ma più per fuggire a guerre e regimi dittatoriali “la revolución sigue” o “aquí no se rinde nadie”. E anche di solidarietà con chi combatte contro l’ISIS.

A volte i writer diventano artisti e alla protesta associano la decorazione di pareti i cui risultati non sembra siano da paragonare a vandalismi.
Muri Puliti

Un palazzo storico "decorato" graffito

Un palazzo storico “decorato”

Una volta “adempiuto al mio compito d’informazione” relativo al saggio di Petrucci in tutta la sua ricchezza e finezza, Italo Calvino conclude esternando le proprie opinioni sulla comunicazione dei graffiti (impropriamente detti tali).
Lasciamo l’interessante disquisizione ai (pochi) volonterosi lettori che la trovano nel libro di Italo Calvino (disponibile anche in e-book) per venire alle nostre idee e conclusioni.
E lo facciamo riportando i due commenti ricevuti quando fu pubblicato l’originale di questo articolo, a inizio del lockdown: fu un modo per passeggiare virtualmente in una città deserta.

Caro Direttore,
come al solito, trovi sempre lo spunto per ‘muovere le acque’. Un articolo indubbiamente interessante questo, sui graffiti, un articolo che invita a riflettere, ma anche a confrontarsi.
Non si può non concordare con te sul fatto che “i muri senza scritte fanno il popolo muto”, ma è comunque necessario e opportuno fare dei distinguo. Se è infatti vero che molto spesso i graffiti rappresentano uno strumento per veicolare le ‘comunicazioni’ e i disagi di chi non ha altro modo e altre possibilità di esprimersi, è altrettanto vero che nel nostro Bel Paese, a volte, si smarrisce il senso della misura e qualcuno va fuori dalle righe: accade con i graffiti, così come in altre manifestazioni della vita.
E ha ragione anche Petrucci quando sostiene che il Sessantotto ha contribuito – e in modo anche pesante, a mio parere – a quella “invasione scrittoria ”, fatta sì da “giovani” ma, a mio avviso, tutt’altro che “esclusi”, essendosi arrogati loro stessi il diritto di escludersi! “Esclusi” sono altri, quelli che, nella necessità di esprimere disagi e formulare proteste, o trasmettere messaggi come quello speciale di Fabrizio de André, che tu hai giustamente riportato, si servono dei graffiti, non potendolo fare in altro modo.
Apprezzabili poi sono, per certi versi, quelle ‘decorazioni’ che arricchiscono angoli di strada non più rispondenti, a volte, ai canoni della decenza.
Ecco, vedi, il bello dei tuoi articoli è che colgono sempre nel segno, suscitando riflessioni che invitano alla discussione e al dialogo; un modo intelligente di interagire tra le persone che troppo spesso, oggi, fanno fatica a rapportarsi fra di loro e sempre più si astraggono dal mondo reale per vivere in quello virtuale….
Mario Di Berardino
(Mario, nome ben noto nel mondo grafico e cartotecnico, ci ha lasciati nel dicembre del 2022).

Complimenti per l’articolo. Per me che sono di Genova e, da parte di padre, originario dei vicoli (quartieri del Molo e della Marina), la visione delle foto che accompagnano il servizio risveglia, per così dire, ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza. 
A proposito del legame tra scritte, murales, graffiti, movimenti politici e fasi storiche, legate alla contestazione, credo che, oltre al ’68, un periodo che ha influito su queste attuali forme di espressioni sia quello del Messico degli anni Venti e Trenta, con i murales di Diego Rivera. Murales che, tra l’altro, in alcuni casi erano accompagnati da scritte politiche. 
Questo legame sociale e politico, tra Murales messicani e graffiti contemporanei, è più lontano nel tempo, rispetto a quello del ’68 ma, forse, più profondo e diretto di quello che si potrebbe essere portati a pensare. Anche perché, in ragione di questa matrice latina, è ipotizzabile che ci sia un nesso rispetto alla nascita dell’uso di fare graffiti, negli anni Settanta e Ottanta, verificatosi nelle grandi metropoli statunitensi, in cui notevole era la presenza di immigrati “latinos” (Jean Michel Basquiat, per esempio, aveva origini haitiane e portoricane). 
Massimo Prati, Ginevra