Indice di calo di cultura? Di presunzione? Di ignoranza? O, forse, di tutto questo insieme. È ciò che viene spontaneo pensare nel leggere e ascoltare la ‘neolingua’ nel mondo del lavoro e della comunicazione sociale e dei media * . Ma perché?
Nel romanzo 1984, George Orwell [Eric Arthur Blair] introduceva la Neolingua, che per favorire la propaganda del governo, doveva sostituire le vecchie lingue imponendo i propri termini. A imitazione delle lingua internazionale Esperanto – creata da Ludovico Lazzaro Zamenhof nel 1887 – il dispotico governo del Grande Fratello imponeva una lingua semplice: meno parole e soprattutto eliminare tutte le parole con significato negativo perché i sudditi dovevano vivere per divertirsi, senza pensare e quindi senza contestare. In sintesi: pensare è pericoloso.
Se esaminiamo il crescente uso, soprattutto nel mondo degli affari, improprio e spesso inutile, di termini inglesi ci chiediamo se questo possa giovare alla migliore comprensione e alla corretta comunicazione.
Analogamente, l’abbondanza di termini preceduti dall’immancabile ‘diversamente’, usati per affermare lavori, condizioni umane e sociali e persino etniche. Quasi a vergognarsi di definire le persone per ciò che sono. C’è poi il proliferare degli ‘operatori’ quasi a vergognarsi di pronunciare giornalista e chiamarlo ‘operatore della comunicazione’.
“Una società che si vergogna dei suoi nomi e li cambia è una società disgregata e morta” afferma un noto saggista, medico, letterato e storico. Da tempo la nostra società sta manifestando questi sintomi, che vediamo peggiorare ogni giorno.
Noi giornalisti (ah no, operatori della comunicazione) riceviamo quotidianamente comunicati stampa (ah no, press release) infarciti di inutili termini inglesi. Qualche esempio? L’anteprima è una preview, altrimenti perde valore (?). Il percorso deve essere una Roadmap mentre gli stampatori e la stessa filiera della stampa (ah no, del printing) sono una community. Incomprensibile, poi, la scelta di step per dire passo. È più elegante? Ci fa sentire più all’avanguardia?
Naturalmente l’industria diventa Industry meglio se in maiuscolo, ma solo quando è 4.0. Così come c’è l’inflazione del maiuscolo: un direttore deve essere Direttore, altrimenti sarebbe troppo piccolo? Il presidente in altre lingue si scrive con il maiuscolo solo per il Presidente della Repubblica. Non parliamo del maiuscolo nei giorni e nei mesi, un vezzo inutilmente preso dall’inglese.
Cosa spinge gli uffici stampa a questo uso smodato e inutile di anglicismi? Pigrizia, o ignoranza della lingua italiana, facendo un torto al sommo Dante a 700 anni dalla sua morte? Purtroppo non ci rendiamo conto del pericolo di manipolazione da questa tendenza all’impoverimento linguistico e culturale, come ben evidenziato, pur se non completamente condivisibile, in questo video da Il vaso di Pandora (del 20 marzo 2021) **.
Ci spiace dirlo, ma secondo gli psicologi questi “soffrono di narcisismo patologico” che consiste nell’esagerare o enfatizzare ciò che intendono dire, forse per nascondere un complesso d’inferiorità.
Stiamo forse esagerando anche noi e allora vorremmo confrontarci, sentirci dire che siamo in errore. Ben venga chi possa smentirci.
Quanto a noi concludiamo queste riflessioni con quanto disse Confucio al suo re: “Tornare a chiamare le cose con il proprio nome, ci salverebbe dal degrado”. Ne abbiamo bisogno perché la Cultura è realmente in una fase di degrado.
* Media – da pronunciare média e non midia, in quanto termine latino e non inglese; (plurale di mĕdium = mezzo sost. neutro di mĕdius = intermediario)
** Neolingua: le parole e le frasi con cui vi fregano – Gabriele Sannino
bellissimo articolo!
Grazie. Puoi diffondere
Così d’accordo sull’argomento, anzi ci andrei più pesante, perché è chiaro che gli italiani non conoscono molti termini italiani e li prendono dall’inglese per questo. Una volta l’insegnante di turno invitava ad usare quel libraccio che era il vocabolario, adesso nemmeno molti insegnanti conoscono i termini italiani.
Io non abito in Italia da “soli” 12 anni, e mi è capitato di essere corretto dalle persone perché dico parole che 10 anni fa erano di uso comune… eppure mi capita spesso di parlare in inglese a lavoro (oltre alla lingua della nazione che mi ospita, al contrario di altri connazionali che parlano solo in inglese).
Il telelavoro è diventato smartworking. NOTA: in inglese smartworking NON È il lavoro da casa o il lavoro da remoto da un posto fisso, ma il lavoro in viaggio, anche da treni, parchi, alberchi, bar e aeroporti dove il furbo (smart) sfruttava il computer portatile e le connessioni wi-fi gratuite. SfruttaVA ho scritto, perché da quando c’è la pandemia lo smartworking (lavorare tra la gente in viaggio, ovunque tranne che a casa o in un ufficio fisso) ha subito un’interruzione improvvisa, salvo il fatto che il termine è stato usato impropriamente… da chi??? Dagli italiani.
Lavoro in una multinazionale statunitense, mai sentito smart working, ma: Work from home, remote working (lavoro da casa, lavoro remoto)
Draghi, che ben conosce l’inglese e non deve dimostrarlo, si è lamentato di questa situazione linguistica. Gli altri politici devono sbandierare dei termini incomprensibili per sembrare più intelligenti della media, cioè quelli che li votano credendoli sapienti, e subito dopo li imitano
Così d’accordo sull’argomento, anzi ci andrei più pesante, perché è chiaro che gli italiani non conoscono molti termini italiani e li prendono dall’inglese per questo. Una volta l’insegnante di turno invitava ad usare quel libraccio che era il vocabolario, adesso nemmeno molti insegnanti conoscono i termini italiani.
Io non abito in Italia da “soli” 12 anni, e mi è capitato di essere corretto dalle persone perché dico parole che 10 anni fa erano di uso comune… eppure mi capita spesso di parlare in inglese a lavoro (oltre alla lingua della nazione che mi ospita, al contrario di altri connazionali che parlano solo in inglese).
Sono comunque in disaccordo col paragone con l’esperanto, che era altro.
Il telelavoro è diventato smartworking. NOTA: in inglese smartworking NON È il lavoro da casa o il lavoro da remoto da un posto fisso, ma il lavoro in viaggio, anche da treni, parchi, alberchi, bar e aeroporti dove il furbo (smart) sfruttava il computer portatile e le connessioni wi-fi gratuite. SfruttaVA ho scritto, perché da quando c’è la pandemia lo smartworking (lavorare tra la gente in viaggio, ovunque tranne che a casa o in un ufficio fisso) ha subito un’interruzione improvvisa, salvo il fatto che il termine è stato usato impropriamente… da chi??? Dagli italiani.
Lavoro in una multinazionale statunitense, mai sentito smart working, ma: Work from home, remote working (lavoro da casa, lavoro remoto)
Draghi, che ben conosce l’inglese e non deve dimostrarlo, si è lamentato di questa situazione linguistica. Gli altri politici devono sbandierare dei termini incomprensibili per sembrare più intelligenti della media, cioè quelli che li votano credendoli sapienti, e subito dopo li imitano
Caro Marco,
leggo con piacere l’articolo “Ma che lingua parliamo ?” sull’uso di termini pseudo inglesi (sempre più improprie e prevaricanti) nel nostro quotidiano. Finalmente qualcuno che parla chiaro e mette i puntini al posto giusto. Sono perfettamente d’accordo con te. Correttamente hai ricordato i 700 anni della codifica della nostra bella lingua, che poco conosciamo, da parte del divino Poeta. Grazie Marco per il bellissimo articolo.
Con affetto e stima
Silvio Antiga