In mancanza di futuro l’unica via è la rivolta: parola di imprenditore. Ma c’è da crederci?

Questa settimana Vittorio E. Malvezzi prende spunto dalla “rivolta” annunciata dai giovani imprenditori di Confindustria e riportata con il giusto risalto dal loro quotidiano Il Sole 24 Ore.
Partendo da questo Malvezzi pensa che “sia un tentativo interessante e varrebbe la pena metterlo in atto“. Ma poi, più concretamente, piedi ben piantati in terra come un analista che ha passato la vita a fare l’imprenditore in fabbrica e non a tavolino, viene ai fatti. E a quelli vi lasciamo invitandovi a leggere il suo commento in Soldi Online.
Da parte nostra ci limitiamo a un breve commento.
Il fatto stesso che Confindustria, sia pur nella sua componente giovanile e quindi, giustamente, più aggressiva, parli di necessità di una rivolta, suona positivo. Suona positivo perché in questa Italia dove da secoli i ‘benpensanti’ si sono sempre allineati con chi comanda, potrebbe già essere una buona notizia.
Perché se l’invito alla rivolta viene da un comico, allora è solo una farsa e come tale bisogna mostrarla a un popolo che crede a ciò che dice la televisione (siamo inorriditi di fronte a una Corea del Nord dove il popolo è ammaestrato attraverso gli altoparlanti del potere nelle fabbriche e nelle strade, ma la allineata TV nostrana, mutatis mutandis, non è poi molto diversa).
A parte che il comico in questione ci mette del suo per facilitare il compito sminuirne le sacrosante invettive, una rivolta ci vorrà se davvero vorremmo cambiare rotta. Perché finché ci si limita a lamentarsi di strada se ne fa poca.
Ma viene da chiedersi: quale tipo di rivolta? Non crediamo che un gruppo di imprenditori sia disposto a prendere i forconi e assaltare la Bastiglia: per fare questo, ci insegna la Storia, bisogna avere fame. E in Italia di gente che ha fame ce n’è tanta, ma non sono tutti giovani imprenditori di Confindustria. Al massimo loro possono ‘delegare’ che è un po’ come tirare il sasso e nascondere la mano.
Allora il timore è che la rivolta sia sul tipo di quella minacciata da alcuni parlamentari, di cui preferiamo omettere i nomi, che tanto sono noti, di non pagare le tasse. Ma non sarebbe neppure questa una novità, che a pensarci bene molta dell’evasione viene proprio da quei paraggi (e verrebbe voglia di scriverlo in maiuscolo…)
Una rivolta vera ed efficace forse sarebbe quella di mettere alle strette chi da troppi anni parla di riforme (ma di quali riforme ha bisogno il Paese? non certo il presidenzialismo) e di soluzioni, senza aver finora dato un minimo di concretezza agli annunci. Certamente Confindustria, se volesse, ne avrebbe la forza e i mezzi. Ma non con lo sciopero delle tasse.
Mi scuso se con questo editoriale ho irritato molti imprenditori stampatori e cartotecnici (i cui commenti saranno benvenuti). Ma “quanno ce vo’, ce vo’ “, diceva niente meno che un Papa.