CAPITOLO II — Il Viaggio in autostop — L’entrata in Belgio e l’arrivo a Bruxelles

La mattina del 4 agosto mi svegliai poco prima delle nove: un record, e quasi una vergogna, per un ostello dove alle 7 in genere si è già in piedi. Ma la mamma albergatrice era molto benevola, e la dependance in cui ero alloggiato, si trovava fuori dal nucleo principale dell’ostello. In piú, la stanchezza e la notte quasi insonne, mi permisero questo strappo alla regola.
Fatta colazione, salutai i miei nuovi amici e mi incamminai verso la E10.
Dopo aver perso l’orientamento già una volta a causa del sole che ha il brutto vizio di alzarsi a oriente quando la sera prima si era coricato a occidente, trovai la giusta direzione e mi preparai piú moralmente che altro a compiere i cinque km che mi separavano dalla strada principale.
E invece, ancora in paese, un gesto fatto quasi sopra pensiero fece fermare un signore su una bella Opel (all’epoca era una macchina per signori) che mi caricò e cordialmente mi portò alla famosa E10: è rilevante che, parlando della bellezza del paesaggio e in particolare del colore vario dei fiori, mi chiese se ero belga (devono parlare il francese proprio male questi belgi), ma si convinse con il proseguire della conversazione che comunque belga non potevo essere. Mi chiese allora se studiavo in Belgio e finalmente accettò la mia nazionalità. Giunto sulla strada nazionale non dovetti attendere molto che si fermò una bella macchina sportiva, olandese, che mi portò oltre il confine, verso Bastogne.
Fu per me una meraviglia vedere che passava il confine semplicemente salutando i doganieri con la mano e senza neppure rallentare. Gli chiesi come fosse possibile e lui, meravigliato,mi disse che eravamo nel Benelux, dove i confini non ci sono. Per loro. Un po’ come per noi andare a San Marino (dove peraltro non ero ancora stato). Mi lasciò appunto a Bastogne poco dopo le 11. Bastogne è la prima città belga che si incontra entrando da sud-ovest (i lussemburghesi la

Mardasson il sacrario in ricordo della battaglia del 1944

Mardasson il sacrario in ricordo della battaglia del 1944

chiamano Baaschtnech)  ed è famosa per l’Offensiva delle Ardenne quando nel dicembre 1944 i tedeschi la circondarono accerchiando una divisione americana. Liberata dalla terza armata americana, la Wehrmacht fu costretta a ritirarsi, ma lasciando dietro di sé una città completamente distrutta. Un imponente monumento ricorda questa fase della seconda guerra.
Visitai il centro, ormai ricostruito e mi diressi verso l’uscita in direzione Bruxelles dove contavo di arrivare prima di sera, ma prima di mettermi sulla strada decisi che era il caso di mangiare qualcosa; andai a comprare del pane un po’ di formaggio e un litro di acqua minerale, la cosa piú utile durante questi viaggi. Mi recai quindi in un gran prato che avevo adocchiato in precedenza, presso un cantiere edile. Mangiai con appetito ma rischiai di morire di sete perché non riuscivo ad aprire la bottiglia: la gomma del tappo era durissima, e non riuscivo ad aprirla. Dopo numerosi e vani tentativi mi decisi a chieder aiuto a un gruppo di operai che stavano mangiando durante l’intervallo di mezzogiorno nel cantiere. Mi avvicinai e chiesi se per caso avessero uno strumento utile ad aprire la terribile bottiglia: “Oui, avec mes petits mains” mi disse un omaccione che sembrava un armadio e senza sforzo apparente l’aprì. Lo ringraziai con un po’ di soggezione e tornai al mio pasto.
Verso l’una mi diressi alla strada per riprendere il mio compito quotidiano: attesi piú di mezz’ora temendo di ripetere la sorte del giorno precedente.
Le prime mete erano Champlon o Dinant. Provai ad allontanarmi di piú dalla città, anche perché alcuni gendarmi già mi guardavano da tempo con l’aria di aver scommesso sulla mia sfortuna. Ma essendo nemico del gioco d’azzardo volli interrompere le loro perverse scommesse e mi portai fuori dalla loro vista.
Ed ecco che appena allontanatomi da quegli sguardi indiscreti una famiglia belga si fermò circa cinquanta metri piú avanti e cominciò a fare lunghi preparativi per farmi posto: chiesi Champlon o Dinant e mi risposero di sí, per dove non so, e si partì.
Con loro feci un viaggio piacevole parlando del piú e del meno: dapprima mi chiesero se abitavo a Bruxelles (il mio francese doveva essere proprio particolare, forse avevo un accento fiammingo), poi se avevo studiato là, ma non tardai a convincerli che ero italiano e conoscevo ben poco francese per essere scambiato per tale. Si fermarono per osservare un macchinario
in un campo che contemporaneamente tagliava il grano e lo trebbiava mettendo i chicchi in un sacco, tutto automaticamente e ne fecero meraviglie. Anche per me era la prima volta, tanto piú che ricordavo in tempi in cui nella campagna di Silvano d’Orba, nel Monferrato, alla cascina che era stata acquistata dal nonno, in luglio andavo a vedere la trebbiatura. Solo che ai tempi il grano lo tagliavano a mano sui campi e lo trasportavano sull’aia dove poi arrivava la trebbiatrice che faceva le operazioni successive. Ed era una festa. Noi bambini raccoglievamo le spighe rimaste in terra: in pratica ci mandavano a spigolare.

Dinant sul fiume Mosa

Dinant sul fiume Mosa

Mi mostrarono poi il castello dove il re Baldovino passava le sue vacanze e infine mi lasciarono a un bivio indicandomi la strada per Dinant. Là poco dopo una specie di “campagnola” di un muratore mi caricò e mi portò con notevoli scuotimenti e traballii fino davanti all’ostello, che a quell’ora era ancora chiuso. Non volendo attendere seduto sul marciapiede come già facevano alcuni ragazzi che mi avevano preceduto, lasciai loro in custodia la mia sacca e andai verso la città.
La cosa piú notevole che si osserva entrando in città sono due alti roccioni quasi fossero divisi artificialmente a formare una sorta di porta della città. È invece il fiume che ha scavato questo passaggio: a destra le montagne del gruppo delle Ardenne, a sinistra scorre l’alto corso della Mosa.
Percorsi il sentiero sul fiume osservando le imbarcazioni, alcune a pedali, e le case e ville sulla riva opposta, notando la fantasia dei proprietari che sembravano fare a gara per ornare il loro giardino con piccole costruzioni in legno compensato, variopinte banderuole, figure del mondo dei cartoni animati, piccoli plastici…
Tornato all’ostello che stava per aprire, feci le consuete pratiche per l’accoglienza col “papà albergatore” e uscii nuovamente per visitare il centro. Era una città essenzialmente turistica, famosa per aver dato i natali a Antoine Joseph Sax, inventore del sassofono, che da lui prende il nome. Bella la cattedrale, la Collegiata di Notre-Dame, con il suo caratteristico campanile a bulbo, e le eleganti vie del centro che mi lasciarono una buona impressione, che risultò la migliore del Belgio vallone.
All’ostello fummo obbligati, per salire in camerata, a levarci le scarpe per mantenere ordine e pulizia, il che non è certo male.
La mattina seguente, venerdì 5 agosto, come ormai era solito, il cielo era sereno e faceva caldo: era piacevole sulla strada vedere come il sole inargentava la Mosa rendendo ridente e simpatica la città, come del resto la popolazione che trovai effettivamente cordiale.
Camminai fino all’uscita dalla città oltrepassando un passaggio a livello dove subito una piccola utilitaria mi prese su e mi portò fino a Namur, dove la Mosa riceve le acque della Sambre.
Namur Cattedrale di Saint-AubainVolli visitare il centro di quella famosa città, capitale dalla Vallonia, e quindi prima di mettermi sulla strada per Bruxelles, percorsi alcune strade che mi parevano centrali: trovai infatti il mercato, la cattedrale barocca di Sant’Albano progettata da un architetto del Canton Ticino e famosa per la sua cupola che diede parecchi problemi ai costruttori.
Bevuta una birra (in Belgio sono più tolleranti che in Lussemburgo, ma forse perché producono molta birra e devono venderla), tornai sulla strada in direzione della capitale dove questa volta dovetti attendere piú di mezz’ora senza alcun successo.
Decisi allora di allontanarmi dato che in pratica mi trovavo ancora troppo dentro la città. Oltrepassato un ponte sulla ferrovia, credendo di uscire da Namur, mi ritrovai invece ancora in piena città. Era la seconda volta che mi capitava una cosa del genere, come a Lussemburgo.
Camminai a lungo sotto un sole molto meridionale finché giunsi finalmente fuori città, ma già cominciava un altro paese che dovetti attraversare. Mangiai quel poco che avevo con me per non perdere tempo e proseguii.
Finalmente fui fuori dove però già si trovavano altri autostoppisti in attesa, per cui dovetti superarli tutti, secondo le regole della buona educazione:chi giunge ultimo si porta davanti alla fila. Avevo una gran sete ma non trovavo acqua da bere. Dopo una buona mezz’ora di segnali inutili non guardavo neanche piú le macchine che passavano, tanto da non accorgermi che una macchina si era fermata una ventina di metri piú avanti e gentilmente mi stava aspettando. Lo capii dai segni che mi fece un camionista dopo aver suonato il clacson per svegliarmi.
Questo passaggio mi portò direttamente a Bruxelles dove giunsi alle 14,30.
I due coniugi che mi avevano accompagnato mi lasciarono su un lungo boulevard dicendomi che in fondo a questo c’era la “gare du nord” vicino alla quale doveva trovarsi l’ostello.
Camminai lungo il boulevard finché arrivai a un angolo retto: da che parte dovevo voltare?
Chiesi a un edicolante dov’era la stazione nord. Mi rispose semplicemente di andare sempre avanti. Proseguii un’altra mezz’ora. Era una strada immensa come non ero abituato a vedere in Italia e tanto meno a Genova; sopra c’era una strada sopraelevata per il traffico veloce. Il vialone che percorrevo aveva due corsie per i tram, due per le auto, e corsie per le biciclette e per i pedoni per una larghezza che sarà stata di una buona trentina di metri.

Il Palazzo Reale di Bruxelles

Il Palazzo Reale di Bruxelles in realtà non ha l’aspetto di una stazione forroviaria

In fondo al viale vedevo una grande costruzione che pensavo essere la stazione che stavo cercando. Ignaro e ingenuo, perché quello non era che il Palazzo Reale! Lo seppi quando, abbastanza vicino, chiesi se era la “gare du nord” a qualcuno che ridendo mi disse “Mais c’est le Palais Real!” e aggiunse che la stazione era da tutt’altra parte. Avrei dovuto tornare indietro, possibilmente col tram. Era una buona idea, ma almeno avevo visto il Palazzo Reale dopo che avevo già visto la residenza estiva di Re Baldovino.
Mi lasciai facilmente convincere e andai a prendere il tram della linea 10 chiedendo “pour la gare du nord”. Dopo dieci minuti pensai che dovevo essere ormai vicino, ma non era stata annunciata quella fermata dal bigliettaio per cui invece di chiedere, restai seduto e proseguii, pensando che forse erano stati i due coniugi che mi avevano portato a Bruxelles, a sbagliare.
Il tram stava attraversando una buona parte della città in salita e in discesa finché mi venne qualche sospetto di non aver fatto caso alla fermata e chiesi al conducente se mancava ancora molto. Quello mi guardò meravigliato come se gli avessi chiesto se conosceva Lumumba, senza rispondermi. Mi rivolsi allora al bigliettaio il quale sempre con la faccia di chi ha davanti un marziano, mi disse che l’avevamo passata da parecchio tempo. Scesi con l’intenzione di prendere il tram nella direzione opposta. Alla fermata c’era un tranviere, la persona piú indicata per dirmi cosa dovevo fare: mi disse di prendere la linea 51 sulla strada perpendicolare a questa, dato che mi trovavo a un incrocio. Giunto là chiesi nuovamente, ormai convinto che anche i belgi si divertono come i lussemburghesi a farti vagare per la città. E infatti mi dissero di prendere il 58 che andava dalla parte opposta. Quando fui da quella parte chiesi ancora e mi dissero di prendere il 10, proprio il tram con il quale ero venuto fin lì, che stava giusto arrivando in quel momento. Salii e per scaramanzia chiesi al bigliettaio per la Gare du Nord, il quale mi rispose che era meglio prendere il 58. Seguii il suo consiglio, scesi, attesi e finalmente mi imbarcai su questo 58 che, incredibilmente, alle 16,30 mi depositò davanti alla Gare du Nord. Due ore a girovagare per la città, ma era anche questo un modo per fare il turista.
Chiesi per la rue Dupont dove si trovava l’ostello della gioventù e mi dissero che era proprio vicino. Proprio a due passi non era, ma in un quarto d’ora fui all’ostello. C’era molta gente ad attendere l’ora di apertura, ma non volevo far tardi nel timore che fosse pieno: chi prima arriva, piú facilmente trova posto.
Non dovetti attendere molto l’apertura, ma intanto feci la conoscenza con diversi ragazzi italiani. Uno di Piacenza con cui feci subito amicizia; una ragazza di Milano che girava in autostop (cosa assai rara per le ragazze italiane e quei tempi) e due napoletani che giravano in Vespa e che parlavano solo in dialetto, convinti che tutti li capissero.

Leggi qui il capitolo precedente.

Ti attendo al Capitolo III.