“Mentre la casa brucia i suoi abitanti discutono su come sta bruciando (Francesco Caracciolo – 2008)”.
Possiamo riassumere così le discussioni che riempiono i talk show e i social. Che in pratica non risolvono nulla.
Per affrontare il ‘dopo Covid’ dovremo invece affidarci al pensiero obliquo e alla metanoia, se vorremo salvarci e cambiare veramente.
“Andrà tutto bene”. O forse no. Quello che è certo è che nulla andrà e soprattutto potrà andare come prima. E dobbiamo farcene una ragione.
Anche la nostra filiera carta, stampa, packaging, che in periodo di lockdown ha potuto lavorare con i limiti e le difficoltà che conosciamo, non deve sentirsi privilegiata e credere di poter ritrovare se stessa e il mondo degli affari del pre-virus. E, soprattutto, piantiamola di lamentarci, ma ragioniamo.
Preoccupazione e fiducia
Dalle nostre interviste, che abbiamo pubblicato nei mesi di marzo e aprile sono emersi due aspetti: preoccupazione, molta; ma anche fiducia nelle proprie risorse e nelle misure adottate per continuare a produrre. Una fiducia che ha aiutato a tenere duro. Ma non tutti hanno avuto questo approccio positivo all’emergenza.
Ora bisogna pensare al ‘dopo’. Se ne è parlato anche nell’incontro di Comunico Italiano sul dopo Covid. Senza fare affidamento ad aiuti e aiutini: quelli ci vogliono e ci saranno. Ma per prima cosa occorre cambiare mentalità e questo lo deve fare ciascuno di noi.
Si tende a delegare tutto allo Stato, ed è un errore. Abbiano sentito troppi ‘tipografi’ lamentarsi di questo e di quello, del governo che non fa abbastanza; dei soldi che non arrivano. Sbagliato.
Per governare la nave durante una tempesta, si sta sul ponte di comando, non sulla branda in cabina. C’è chi fa il ‘lavoro sporco’ e chi vuol trarne vantaggio criticando. In una tale emergenza chi si assume le responsabilità può fare errori; è comprensibile. Ma tutti devono collaborare se si vuole una ripresa. Senza egoismi.
Pensiero obliquo
Ma a livello individuale la risposta deve venire dall’interno. Non c’è ‘Piano Marshall’ che serva a cambiare mentalità. Errata la pretesa che ci deve pensare qualcun altro.
“C’è una stanchezza che viene da lontano e a cui ha contribuito anche un’élite al potere che non ha incitato alla vitalità dei soggetti: quasi un invito a non correre troppo. Col risultato che il povero si sacrifica e il ceto medio si lamenta o ha paura” ha recentemente affermato il Professore Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis.
Forse mai come ora, la vera impresa di un business leader è quella di saper adattare di continuo le capacità dell’azienda alle fluttuazioni di un futuro che nessuno riesce più a immaginare. Saper navigare con successo tra incertezze insolubili. Ma come?
A volte la strada migliore è quella che sembra portarci dalla parte opposta: utilizzare il pensiero obliquo.
Una premessa è tuttavia necessaria: cos’è il pensiero obliquo? È quello che fa dire all’economista John Kay che le aziende con i maggiori profitti non siano quelle più orientate al profitto. Cosa significa e perché?
Impoverimento sociale
Affidare le proprie decisioni al pensiero obliquo, può non essere alla portata di tutti. Come in tutti i momenti di forte cambiamento, nel momento in cui si passa da un vecchio paradigma alla creazione di uno nuovo, nella cosiddetta crisi, c’è un periodo di impoverimento sociale, e persino estetico. E qui siamo arrivati oggi.
Quello che potrebbe essere ancora più drammatico è credere di poter ritornare al quo ante. Quello che invece è interessante, stimolante e necessario fare è trovare un nuovo modello: di pensiero, di business, ma persino, estetico.
Dobbiamo veramente concentrarci sul momento del cambiamento senza guardarci indietro a ripescare stili già consumati, senza chiederci dove stiamo andando. Per costruire un nuovo vero paradigma dobbiamo cambiare punto di vista e uscire dal consenso universale che, di per sé, è già un gran pregiudizio.
Dice Armani “... Questa crisi è una meravigliosa opportunità per rallentare tutto, per riallineare tutto, per disegnare un orizzonte più autentico e vero”. E ancora, aggiunge lo stilista “Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma ci offre la possibilità, unica davvero, di aggiustare quello che non va, di togliere il superfluo, di ritrovare una dimensione più umana… Questa è forse la più importante lezione di questa crisi”.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma Armani ha soldi“.
Certo, e allora ritorna la solita questione: “Azienda ricca e proprietario povero, o azienda povera a proprietario ricco?“ *
Togliere il superfluo. Ecco la chiave di volta. Che il mondo della produzione e del business non possa crescere all’infinito se ne parla (inascoltati) da anni. Abbiamo citato nell’occhiello le parole di Francesco Caracciolo dal suo saggio “Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra” (2008).
In sostanza, dice, “riesce difficile mostrare che un elemento estraneo introdotto nel contesto di una società possa crescere a tal punto da annientare il suo organismo vegeto e vitale, nel pieno della sua produzione… sembra che quasi nessuno si accorga dell’esistenza del tarlo e dell’elemento estraneo”. Forse lo avevamo dimenticato, ma l’Uomo è fragile.
In termini attuali: abbiamo creduto alla certezza di un continuo aumento della produzione, del benessere e del consumo. Ma non è così.
È bastato un virus per sgonfiare queste certezze.
Dice ancora Caracciolo: “In genere si è soddisfatti del modo di essere e di progredire dell’odierna società. Tra gente così soddisfatta, il solo tentativo di indicare il peggioramento esistente e le sue conseguenze, è sconcertante e temerario”.
È così. Eppure dobbiamo farcene une ragione.
“Stiamo pagando il conto di essere stati distratti per non aver preteso una vera guida ; sono 30 anni che il Paese non è governato” (Umberto Galimberti).
E aggiunge De Rita: “Abbiamo una classe politica che fa le cose in base alle reazioni dei social. Ministri più protesi a fare un tweet azzeccato che a capire a fondo un dossier di dieci pagine: è l’accusa che ci fanno in Europa”.
Metanoia
Dobbiamo quindi chiederci se fino a oggi siamo andati nella giusta direzione. Fino a oggi si è ritenuto sufficiente per essere un bravo imprenditore, avere competenze tecniche e di mercato, saper scegliere buoni collaboratori, aver fatto gli investimenti giusti e prevedere i mercati. Nel futuro immediato, tutto questo non serve piú o non basta.
La vera impresa di un business leader non è piú prevedere, ma adattare di continuo le capacità dell’azienda alle fluttuazioni di un futuro anche imprevedibile come quello che ci attende. E saper navigare tra incertezze apparentemente insolubili. E prepararsi per tempo ai momenti difficili, che non mancano mai.
“Quella che stiamo vivendo dovrebbe essere una lezione per tutti – dice in un’intervista Jean-Claude Trichet – per capire che dovremo cambiare i nostri comportamenti”.
È necessario un cambiamento radicale: una metanoia. Un mutamento totale della mente e, quindi, del nostro atteggiamento. Anche etico. La cosa piú difficile. Sarà possibile? Ne saremo capaci?
E quindi ?
È difficile trarre delle conclusioni. Rimangono aperti tanti spazi. Una volta per cambiare radicalmente le cose ci voleva una rivoluzione. Oggi la rivoluzione è questo virus, un qualcosa che non sappiamo neppure cosa sia. Ma è quello che ci ha cambiato la vita.
Se non ci siamo ancora accorti che ci ha cambiato la vita, siamo sulla strada sbagliata. Diamo tempo al tempo, e ce ne accorgeremo.
Ci accorgeremo che forse è inutile correre; che le stesse cose le possiamo fare con calma.
Ci accorgeremo che abbiamo sfruttato esageratamente la Natura e questa si è ribellata.
Dovremo imparare a rispettare l’ambiente nel quale viviamo; aver la consapevolezza non egoistica che è irreversibilmente dannoso inquinare l’aria e l’acqua. Anche solo la maleducazione di abbandonare carta e plastica senza contribuire alla raccolta differenziata.
E, non meno importante, lasciare da parte rabbia e odio, se vogliamo costruire, invece di continuare a distruggere.
Questa non sarà una ‘fine della guerra’ (come dicono in molti). Ma comunque “Ciò che accomuna i due periodi [la fine della guerra e la fine della pandemia – ndr] è la visione che la politica [nel 1945-47 – ndr] seppe mettere a disposizione del Paese. In questo momento l’indecisione e la scarsa solidarietà stanno mettendo a repentaglio le opportunità della ripresa. (Giacomo Bandini nel suo articolo “Non Servono Soldi, Serve Visione” in Competere.eu).
* Per chi fosse interessato ho ancora disponibili alcune copie del libretto “Perché la stampa è in crisi?” pubblicato negli anni 2000, ai tempi di Graphicus, in cui questo concetto è esaurientemente trattato
NOTA : questo editoriale è stato redatto con la collaborazione di Micaela Picasso, coacher e docente all’Istituto Europeo di Design e Accademia del Lusso
Interessante e pieno di spunti di riflessione.
Complimenti Marco!
Ottime riflessioni.
Da Michele Querini, riceviamo questo commento.
Caro Marco, sono d’accordo con te, con le tue parole…
…Ci accorgeremo che forse è inutile correre; che le stesse cose le possiamo fare con calma…
Me ne sto accorgendo sempre di più visto che da quasi 2 pieni di gasolio alla settimana sono passato a mezzo serbatoio in un mese e mezzo… e penso, visto che abbiamo la fortuna di essere rimasti sempre aperti, di aver lavorato tanto e quanto gli stessi mesi dell’anno precedente, la sensazione dell’inutile correre era ed è reale
Mi chiedo quanto questa percezione sia condivisa, quanto resisterà all’impulso di “recuperare il fatturato perso” di coloro che non la condividono.
Ti propongo un pensiero da cui sono stato attratto in questo periodo, due traduzioni della stanza 70 del Lao zi:
“Le mie parole sono facili da capire”
“Le mie parole sono molto facili da capire
e molto facili da mettere in pratica.
Ma nel mondo nessuno è capace di capirle
e nessuno è capace di metterle in pratica.
Le mie parole hanno antenati,
le mie azioni hanno maestri.
Ma la gente non capisce questo,
perciò non mi capisce.
Coloro che mi capiscono sono rari,
Coloro che mi capiscono sono preziosi.
Il saggio indossa abiti rozzi,
ma porta in seno una gemma preziosa.”
“Le mie parole sono facili da capire
e facili da mettere in pratica,
ma nessuno le capisce e nessuno le mette in pratica.
Le mie parole hanno un’origine,
le mie azioni hanno un principio,
ma la gente lo ignora e perciò non mi capisce.
Pochi sono coloro che mi capiscono,
pochi comprendono questo tesoro.
Il saggio indossa rozzi panni di lana,
ma sotto di essi nasconde un gioiello di giada.”