La partecipazione a EDITA la Fiera riservata a editori, autori, editor, traduttori, blogger e curatori editoriali, è stata una splendida esperienza, che dimostra quanto la piccola editoria (quella seria) non abbia nulla da invidiare ai grandi in fatto di scelta degli autori. E anche i molti che si arrangiano con il self-publishing. Da questa esperienza, un’autrice e un giornalista, entrambi attivi nel mondo stampa e grafica, fanno alcune considerazioni critiche su un tema assai discusso e in fibrillazione, quello dell’editoria.

Si parla di crisi del libro e della lettura. Vero. Si parla di crisi della stampa editoriale. Quasi vero. Si parla del pericolo degli e-book nei confronti dei libri stampati su carta, la vecchia buona e ‘profumata’ carta. Vero. Ma dove sta l’origine del problema?

È quanto vorremmo che emergesse da una discussione aperta che coinvolga sì l’editoria in genere, grande o piccola che sia, e gli autori di libri, ma anche il mondo imprenditoriale della carta e della stampa (consapevole che quest’ultimo interlocutore sarà difficile da coinvolgere).

Giornate intense e utili

Le due giornate intere trascorse a una delle non poche fiere della piccola editoria, EDITA che si è tenuta a Milano nei giorni 8 e 9 ottobre, hanno permesso a un curioso giornalista del settore, di raccogliere opinioni, sentire progetti e dubbi, ascoltare agenti letterari ed editori (dei quali peraltro non sempre è chiaro cosa intendano offrire e come aiutare gli autori, ma questo è un altro discorso). E con lui una autrice, editor e curatrice editoriale.  (Rimandiamo qui a una simpatica descrizione dell’evento da parte di una autrice presente del gruppo Autori Erranti).

La prima impressione che si riceve da questo genere di eventi è che ci siano piú scrittori che lettori, ma questo è noto (del resto siamo una terra di “santi, poeti e navigatori”), Non solo, ma i lettori piú attenti e interessati sono, spesso ma non sempre, gli autori stessi (che leggono volentieri anche opere di altri autori: sembra strano, ma è cosí).

Tra i visitatori di questi eventi, troviamo una certa varietà: chi viene sapendo già cosa cercare (pochi), chi per trovare famigliari e amici, chi si aggira tra i tavoli di esposizione con una certa superficialità. Quest’ultima osservazione mette in evidenza l’importanza della copertina di un libro. Non deve essere solo bella, ma deve attirare l’attenzione. E infatti è quello che vediamo nelle grandi librerie i cui scaffali prediligono piú mettere in evidenza i nomi noti e le copertine dei grandi editori.

Abbiamo invece potuto osservare che la piccola editoria è vivace, spesso pubblica opere di sicuro interesse, a volte troppo specifiche per cui non si possono fare le grandissime tirature. Ma questo porta a un’altra considerazione: i libri che occupano i primi posti nelle classifiche, occupano anche i primi posti tra i libri letti dalla prima all’ultima pagina?

Altra considerazione: un Dan Brown, merita piú di un autore sconosciuto che, al contrario del suddetto autore, ha scritto e pubblicato un testo – romanzo o saggio che sia – che merita veramente di essere letto? E non solo parole che attirano ma lasciano nulla a chi le ha lette? Se ne deduce che molti leggono ‘per sentito dire’ e non per scelta ragionata. A scapito di autori meritevoli e ingiustamente privati di uguali possibilità rispetto ai “grandi”.

Da stampatore a editore

La stampa digitale, con il book-on-demand, ha le sue colpe, oltre ai suoi meriti indubbi. I meriti li conosciamo tutti. Ma sulle colpe pochi si soffermano. La stampa digitale – che non richiede l’archiviazione delle lastre offset per le ristampe (che se poi una ristampa ha solo la correzione di qualche refuso sfuggito alla prima edizione, sono da rifare) – permette di stampare il libro che esce dalla macchina con le segnature pronte e in sequenza: questo ha indotto molti tipografi a diventare editori. Ma senza l’esperienza dell’editore. Senza, soprattutto, la capacità o la volontà dell’editore serio e navigato, di promuovere veramente il libro. In pratica, l’autore che cade nelle mani di questi pseudo-editori ottiene solo, a fronte di un non indifferente ‘concorso alle spese’, l’ISBN, alcune copie, il suo titolo nel catalogo del cosiddetto editore e, se va bene su Amazon. Ma allora, una volta che l’autore ha mangiato la foglia si rivolge direttamente ad Amazon, che gli pubblica il libro, senza richiedere il fatidico ‘concorso alle spese’, senza peraltro impegnarlo con un contratto chiuso a doppia mandata, e riconoscendogli persino delle buone royalties.

Ma c’è poi il self-publishing che nasce proprio a causa del poco interesse da parte degli editori di cercare l’ago nel pagliaio. Certo è impegnativo, ma a volte fa scoprire un tesoro.

Nel loro piccolo, sono quindi nati gruppi e blog che, tramite internet, hanno il privilegio di far conoscere alcuni di questi autori, che la grande stampa nazionale, i media in genere, trascurano. E i cui testi, i grandi editori neppure leggono. Tra questi blog ci piace citare ScambievolMENTE, che comprende sia autori che lettori, che regolarmente si incontrano (virtualmente) a presentare e discutere un lavoro.

Il sottobosco della pubblicazione editoriale

Esiste anche il self-publishing di altre piattaforme editoriali, oltre ad Amazon, che forniscono sempre assistenza a pagamento in merito all’editing, correzione bozze e all’impaginazione. Viceversa, l’autore si dovrebbe arrangiare da solo, se non volesse pagare, a suo rischio e pericolo di mettere in commercio un’opera piena di refusi, errori e frasi non italianamente corrette e sgrammaticate. Inoltre, agiscono sul prezzo di copertina che è quasi sempre alto per guadagnare di piú su ogni copia venduta, riservando all’autore un misero 20% sul prezzo di copertina (quando va bene) che, sebbene sia piú di quanto conceda un editore, è pur sempre poco. Guadagnano sull’ingegno dell’autore (fatica, lavoro) e sulla preparazione del prodotto libro. Quindi, perché l’autore dovrebbe pubblicare con queste piattaforme? Solo per non vedersi bocciare il testo da un editore o non dover attendere tempi biblici?

Anche Amazon ha i suoi rischi perché costringe a diventare imprenditori di se stessi, in quanto l’autore deve possedere svariate capacità e conoscenze che prescindono dalla scrittura.

Inoltre, gli editori piccoli o grandi che siano non seguono l’autore nella promozione e vendita post pubblicazione, però – con il pretesto che loro investono e rischiano – pretendono di lucrare sulle vendite dell’opera dell’ingegno (altrui). Ma allora che ci stanno a fare se tutto il lavoro lo deve fare lo scrittore?

E anche le agenzie letterarie o i sedicenti esperti di relazioni pubbliche e comunicazione, che aiuto forniscono se, dietro pagamento, insegnano, se cosí si può dire, agli autori a promuoversi da sé e ammettono che questa auto-promozione diventa, in realtà, un lavoro? Ma l’autore non è la persona a cui piace – e auspicabilmente ne è capace – scrivere? Perché dovrebbe trasformarsi in esperto di marketing e commerciale, blogger e influencer?

C’è rimedio? A voi la parola

Gli autori di questo articolo hanno partecipato a EDITA con il gruppo Autori Erranti che hanno tutti manifestato la propria soddisfazione, soprattutto per le conoscenze e nuove esperienze che l’evento ha loro permesso.
Questi alcuni dei commenti ricevuti dopo l’evento: “Nostalgia canaglia, cantava qualcuno… Bellissima esperienza, da ripetere! Grazie a tutti!”. “Due belle giornate in compagnia di “umanisti” e “scienziati”, diversi ma accomunati dall’amore per la scrittura e la lettura!”. “Grazie a tutti, è stata una bella esperienza. Ed è stato un piacere conoscervi. Spero di poter replicare… e ora, vi leggerò”. “Ciao a tutti! È stato un vero piacere conoscervi e passare questi giorni con voi. Spero di ritrovarvi presto.” “Un grazie di cuore a tutti, è stato bellissimo!