Nel mese di aprile ISTAT ha pubblicato un accurato studio sul Benessere in Italia. Se per salute e lavoro non c’è da stare allegri, ma quanto a Cultura stiamo peggio.

Nel suo commento, nel presentare questo corposo rapporto ISTATBes (Benessere Equo Sostenibile) 2023, Vittorio E. Malvezzi ci dice che “spesso, le cose che dovrebbero essere semplici e addirittura scontate, riescono a diventare complicate e addirittura si trasformano in bandiere politiche.

Afferma questa sentenza lapalissiana – ma neanche troppo – rilevando il fatto che “il benessere debba essere equamente distribuito e debba necessariamente essere sostenibile in termini tecnici economici e sociali, è una roba che non dovrebbe neppure essere discussa.

E infatti, spulciando tra le tante tabelle riportate nello studio ISTAT, ci sarebbero da fare commenti, anche un po’ cattivi.

Il rapporto ISTAT prende in considerazione la Salute, il Lavoro (non solo quanto e come, ma anche, l’incidenza della mortalità sul lavoro che purtroppo è ben lontana dallo ‘zero’). E, infine, il livello di studi, l’analfabetismo di ritorno e l’acculturazione.
Stendiamo un velo pietoso sui giovani che non studiano e non lavorano con una media nazionale del 16,1% con un divario spaventoso tra il nord (10,8%) e il mezzogiorno (24,7%), ci soffermiamo su studi e acculturazione, in cui notiamo un livello generale molto basso – rispetto ad esempio alla media europea – e sempre di gran lunga inferiore al 50%, per scendere al 25% in alcune Regioni.

In particolare, per quanto riguarda gli studi, se il “passaggio all’Università” supera il 50% in quasi tutte le regioni (media nazionale 51,4%), l’ottenimento di una laurea resta molto al di sotto con una media nazionale ferma al 30,6% (contando anche le lauree triennali).

Ma veniamo al tema che ci preme di piú: la lettura. Partiamo dai dati sulla competenza alfabetica non adeguata: una media nazionale del 38,5 % che non ci fa onore e con una oscillazione dal 34,3 al 49,2% tra nord e isole. Come dire, in parole povere, che da un terzo alla metà degli italiani adulti non sa ‘leggere e scrivere’.
Sembra, a frequentare le librerie e a seguire i vari gruppi su FB e nel contare il proliferare di case editrici – il piú delle volte sono stampatori digitali che si improvvisano anche editori –, che in Italia ci siano molti lettori. Ma non è così. La lettura dei libri e quotidiani (ma sarebbe meglio che ISTAT separasse le due cose, perché quasi sempre, per lettura dei quotidiani si intende anche il solo dare una sbirciata al giornale sportivo mentre si beve il cappuccino al bar) si è ben al di sotto al 50% (escluso il Trentino Alto Adige con un 52,6%). Si resta al 35,2% su media nazionale, da un 43,3% nel nord-est a un misero 23,7% nel meridione. Peggio la frequentazione delle biblioteche, che dovrebbero essere la fonte primaria per la lettura (per non avere la scusa che i libri non si leggono perché comprarli costa): la media nazionale è del solo 12,4% (17,3% nord – 5,9% sud).
Eppure, nonostante questo divario, per tradizione, il nostro meridione vanta una tradizione letteraria di alto livello. La domanda quindi è: perché oggi c’è questo calo spaventoso? Di chi è la responsabilità? Una risposta l’avrei, ma la tengo per me.