Leggere “Il mio fare – Storia di un manutentore visionario” di Giorgio Tomassini è come fare un tuffo in un’Italia che non c’è più, ma che ha lasciato radici profonde in chi ancora crede che l’impresa sia un fatto di testa, cuore e mani. E magari anche un pizzico di follia.
Giorgio, noto come “il matto” per la sua genialità, non è semplicemente il fondatore di Tecnocarta, azienda umbra oggi punto di riferimento per soluzioni d’avanguardia nella stampa e cartotecnica. È un esempio di quella razza rara d’imprenditori capaci di vedere oltre, senza mai perdere il contatto con la realtà. Il suo libro, scambiato con il mio in un incontro nella sala Atelier Tomassini a Passaggio di Bettona, è molto più che una biografia: è un manuale non dichiarato di vita, lavoro e visione imprenditoriale.
C’è una differenza sostanziale tra chi racconta e chi fa. Io, da cronista, osservo e narro. Giorgio, invece, ha fatto. E tanto. La sua storia affonda le radici nella terra umbra del dopoguerra, tra campagna e ingegno, mentre la mia si sviluppa sul mare di Liguria e la pianura industriale di Milano: vite parallele, epoche condivise, esperienze diverse. Eppure, leggendo Il mio fare, ho trovato frammenti della mia stessa Italia, quella del boom economico, della voglia di costruire, del “tirarsi su le maniche” che oggi sembra merce rara.
Ostacoli? No opportunità
Il tratto distintivo di Giorgio Tomassini è la capacità di vedere opportunità dove altri vedono ostacoli. La scuola? Poco amata. Ma la curiosità e la voglia di capire come funziona il mondo meccanico hanno fatto il resto. Con la stessa passione con cui, ancora ventenne, si beccò cinque giorni di cella al CAR per costruire un rocchetto da maglieria alla futura moglie, Antonia, smontando un motorino del tergicristallo. Altro che gesti romantici: qui si parla di creatività al servizio dell’amore.
Il suo racconto ci porta anche nei giorni tesi del terrorismo altoatesino, quando prestava servizio militare in una zona di confine che conoscevo bene, avendola presidiata anch’io da giovane sottotenente. Chissà se ci siamo incrociati, senza saperlo.
Essere amici sinceri. Prima di tutto
Il cuore del libro, però, non è solo il racconto cronologico di una carriera. È una miniera di insegnamenti veri, nati dall’esperienza: le occasioni vanno colte al volo; la ricchezza non è la liquidità, ma il reinvestimento; clienti e fornitori devono essere prima di tutto amici sinceri. Massime che paiono aforismi, ma sono state – e sono – la filosofia alla base di Tecnocarta, azienda che ha fatto della solidità umana e della creatività tecnica i suoi asset principali.
E come si costruisce un’impresa che resiste nel tempo? Con genio, certo. Ma anche con tenacia, onestà e famiglia. Quella d’origine, quella creata con Antonia, e quella che si forma dentro l’azienda. In Tecnocarta, il senso di comunità si festeggia ogni anno con “Il maiale è servito”: una festa tra amici, collaboratori, clienti e fornitori, nella taverna di casa Tomassini. Più che un evento, un rito.
Il mio fare è il racconto di un uomo che ha trasformato un’officina in un laboratorio d’idee, un mestiere in una missione, un’attitudine alla manutenzione in una capacità di invenzione. E anche una storia familiare in un’impresa collettiva. Che poi, e non poteva certo mancare, sfocia anche nel suo Museo della carta e della sua lavorazione abbinata alla creazione artistica, oggi in fase di allestimento con l’amico Francesco Tacconi e la moglie di Alessandro, Francesca Capitini.

Atelier Tomassini
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