Ricerche strumentali e archivistiche riaccendono il dibattito sull’origine della stampa a caratteri mobili. Il contributo dimenticato del prof. Bruno Fabbiani torna a far discutere.
Di Helmut Mathes
Premessa del redattore
Quanto riportato dall’Autore è frutto di ricerche svolte su documenti e appunti del Prof. Bruno Fabbiani, il quale dedicò diversi anni a ricostruire criticamente le vicende legate alla nascita della stampa a caratteri mobili. Nei due articoli precedenti ai quali rimandiamo
Perché Gutenberg non usò i caratteri mobili per la stampa della Bibbia? – I
Perché Gutenberg non usò i caratteri mobili per la stampa della Bibbia? – II
l’autore ha ripercorso la genesi della stampa a caratteri mobili, tra Strasburgo, Magonza, Colonia, Subiaco.
In questo terzo articolo l’autore trae le conclusioni, con una approfondita analisi delle ricerche di Fabbiani. Per semplificare la lettura su una rivista di tecnica e cultura grafica abbiamo scelto di pubblicare questo articolo conclusivo in forma sintetica, ma esaustiva. Chi fosse interessato alla descrizione originale completa (in lingua tedesca o nella sua versione in italiano) può richiederla all’autore (helmut.mathes@alice.it) o alla nostra redazione (info@metaprintart.info).
In sintesi
La stampa a caratteri mobili è generalmente attribuita a Johannes Gutenberg, orafo e incisore di Magonza. Tuttavia, questa versione canonica è stata messa in discussione da diversi studiosi, tra cui il Prof. Bruno Fabbiani, che osservava: «La figura di Gutenberg è stata costruita a posteriori, sulla base di documenti lacunosi e testimonianze interessate.»
Fabbiani ha raccolto e analizzato con rigore documenti notarili e fonti dell’epoca, individuando numerose contraddizioni. A suo parere, non era da escludere che «la tecnica tipografica fosse il frutto di una convergenza di saperi, e non il parto esclusivo di un solo uomo.»
L’Autore sottolineava l’ambiguità del rapporto tra Gutenberg e i suoi collaboratori, Johann Fust e Peter Schoeffer, i quali avrebbero avuto un ruolo decisivo sia sul piano tecnico che finanziario.
«Fust non fu solo un finanziatore: i documenti mostrano una progressiva marginalizzazione di Gutenberg a vantaggio di Schoeffer, vero maestro di officina», scriveva.
Inoltre, Fabbiani ipotizzava che conoscenze analoghe fossero già circolanti in Italia, nei contesti monastici e universitari: «Ci sono elementi che fanno pensare a esperimenti precedenti, forse a Subiaco o nella Padova preumanistica, dove il libro era già al centro di riflessioni tecniche». [basti pensare alla rapidità con cui, per quei tempi Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz giunsero in Italia nel 1465 con torchi e polizze di caratteri e si misero subito a stampare – ndr].
Il cuore della sua tesi, comunque, era rivolto a una revisione critica del “mito fondativo”: «Non si tratta di negare a Gutenberg il suo posto nella storia, ma di restituire alla ricerca storica la sua funzione: distinguere i fatti dalla retorica celebrativa».
In definitiva, il complesso e dettagliato lavoro del Prof. Fabbiani, rigoroso e spesso controcorrente, propone una lettura alternativa della nascita della stampa moderna. Le sue ricerche non si limitano a criticare l’attribuzione esclusiva a Gutenberg, ma evidenziano un contesto più ricco e sfumato, dove l’invenzione emerge da un intreccio di collaborazioni, esperienze precedenti e opportunità culturali.
Alcuni punti fondamentali
Pur tralasciando la lunga e complessa analisi dell’Autore, riportiamo qui i sorprendenti risultati (inediti) di una ricerca condotta dal prof Fabbiani con due suoi studenti, sul Giudizio Universale (Weltgericht) di Gutenberg:
1) Il frammento del Weltgericht fu trovato da Eduard Beck nel 1882 a Magonza e lo regalava al Gutenberg Museum nel 1903.
2) La prima riproduzione ufficiale fotografica in bianco e nero, che corrispondeva all’originale fu pubblicato dalla società Gutenberg. Questa immagine che corrispondeva in pieno all’originale fu pubblicata nel 1935 ancora nella edizione Librarie Italiane.
3) Queste fotografie vengono sostituite dal 1940 con una serie di fotografie chiaramente ritoccate. Queste fotografie vengono tuttavia certificate dal Gutenberg Museum. I caratteri con difetti o mancata inchiostrazione erano stati ritoccati. Erano questi gli esemplari che venivano dati a ricercatori e scienziati tedeschi e internazionali, ma eseguivano così studi sulla morfologia dei caratteri su campioni non originali, e quindi impossibili.
4) Queste copie (rielaborate) venivano probabilmente prodotte come segue: riprese fotografiche in bianco nero con ingrandimenti da 2 a 10 volte. Su questi ingrandimenti su carta fotografica opaca i caratteri difettosi venivano ritoccati con inchiostro di china o colori neri.
5) Il ritocco cambiava lo spessore della linea delle lettera perché i punti mancanti sono stati disegnati più sottili. In questo modo l’immagine della lettera cambia.
6) Un’analisi grafologica [campo in cui il prof Fabbiani era esperto di fama mondiale – ndr] indica la mano del correttore leggermente tremante, un ritocco impreciso che veniva fatto spesso a mano libera. Il ritoccatore non era un disegnatore di caratteri o grafico. Sembra quasi che un ritocco così grossolano venisse fatto sotto pressione per mancanza di tempo.
7) I ritocchi venivano poi ri-fotografati e stampati usando carta fotografica al tratto duro con forte contrasto.
8) Che si lavorasse sotto pressione lo dimostra il fatto che non si è notato che una macchia sulla carta è stata trasformata in un punto con la stessa intensità di colore come le lettere. Questo errore di riproduzione è noto in tutte le pubblicazioni su Gutenberg a partire dal 1940. Tanti ricercatori non hanno saputo dare una spiegazione logica.
[Questi otto punti mostrano in definitiva un comportamento poco scientifico. Possiamo in qualche modo ‘giustificare’ questo comportamento, in quanto tutto ciò risale al 1940 in piena propaganda degli “Hitler Jahre” – ndr].
Cosa emerge da questa ricerca?
Mel 2004, il Prof.Fabbiani, dopo ripetute richieste, ricevette dal Museo di Gutenberg una diapositiva a colori di grande formato del frammento originale del Weltgericht. Il controllo della diapositiva gli permetteva di stabilire che il formato massimo del frammento era di 94,4×133,9 mm in base alle scale millimetriche allegate. La riga più lunga è di 120 mm con una altezza dei caratteri di circa 8,5 mm. Alla fine della quinta riga c’è la parola “sprechen” (Fig 1 e 2): nella riproduzione si vede nel cyan la mancanza di pezzi delle lettere. L’immagine del 1940, in mezzo, indica in magenta il ritocco, (contro la legge) delle lettere. Sovrapponendo il cyan e il magenta si vede il ritocco fatto in relazione alla stampa originale. Il ritocco si vede chiaramente nell’ultima lettera “n” che diventa una “a” ugualmente come la macchia sulla carta dopo la lettera “n” che diventa un punto tipografico.
La domanda principale che si dovrebbe porre ogni ricercatore sulla base delle analisi del Prof Fabbiani è: perché dal 1940 al 1996 sono state messe in circolazione fotografie ritoccate?
Conclusione
Visto che il Prof. Bruno Fabbiani è scomparso e del Suo libro non si trova traccia neanche dopo due anni, lasciamo ai prossimi ricercatori l’onore e il merito di completare e rivedere criticamente il Suo lavoro — anche se, forse, non si potrà mai giungere a un giudizio definitivo sulla diatriba. Come già affermò il Prof. Loris Jacopo Bononi nel 2004, a conclusione del “Processo a Gutenberg” presso ARMUS a Genova, “Fabbiani ha aperto una strada critica, a tutto vantaggio della ricerca. Ai posteri l’ardua sentenza.”
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