Nel viaggio attraverso le professioni dell’editoria, MetaÃlice incontra Emanuela Navone, editor e direttrice di collana di una piccola casa editrice NoEAP, nonché scrittrice.

Abbiamo incontrato Emanuela Navone di recente a una fiera per l’editoria ad Acqui Terme (AL), organizzata da Archicultura, di cui alleghiamo una breve intervista video.

MetaÃlice – Emanuela qual è la tua preparazione e che cosa ti ha indirizzata verso la professione di editor?

Emanuela Navone – In realtà, io vengo da tutt’altro ambiente: sono laureata in Studi internazionali ed europei, anche se recentemente ho intrapreso un percorso di studi dedicato alla traduzione. Nel 2014, ho iniziato a lavorare come assistente editor presso una casa editrice genovese specializzata in narrativa per l’infanzia; in seguito, nel 2016, ho aperto la partita IVA per continuare l’attività come freelance.

La narrativa per l’infanzia è un settore che suscita l’interesse di MetaÃlice, quindi mi riservo di ritornare sull’argomento. Parliamo, per cominciare, di Emanuela scrittrice: quando la scrittura ha fatto il suo ingresso nella tua vita, perché scrivi?

Direi da sempre, se non fosse una risposta banale. Il primo “libro” che scrissi fu quando avevo una decina d’anni: un pasticcio che sbeffeggiava King e Stine e che sono contenta di aver perduto. Ho tenuto un diario personale dai tredici ai ventisei anni e quando avevo vent’anni ho cominciato a tirar giù cosette, brevi racconti, scene, storie incomplete… Non so perché scrivo, a dir la verità, e ogni risposta ricalcherebbe le risposte di altri cento scrittori. Forse, potrei dire che scrivo perché ne sento il bisogno quasi fisico. L’atto di mettere una parola dietro l’altra è insito in me, un po’ come respirare.

Immaginiamo – anzi lo diamo per scontato – che ti piaccia anche leggere per diletto. Quali letture catturano il tuo interesse? Si tratta di generi diversi da ciò che invece ami riportare su carta?

Ho sempre letto horror, Stephen King in primis, e thriller. Da adolescente adoravo l’epic fantasy. Adesso, forse perché sono più adulta (ma penso perché ho macinato pagine su pagine), sono più golosa e selettiva. Ultimamente, mi sto dedicando alla lettura dei classici gotici e dell’orrore dell’Ottocento e del Novecento. Lovecraft è il mio secondo “maestro”, dopo King.

Districarsi nel mondo degli editori non è cosa semplice, soprattutto nel periodo attuale; in passato hai incontrato difficoltà a far pubblicare un tuo testo, a trovare l’editore giusto?

In realtà, io ho sempre autopubblicato. Ritengo che il self-publishing consapevole – per il quale mi batto ormai da anni – sia un’opportunità non tanto per gli scrittori “scartati” da case editrici, quanto per chi vuole essere imprenditore di se stesso. Sono una persona indipendente in tutti gli aspetti della mia vita e forse è per questo che autopubblico. Non ho mai cercato un editore, a dire il vero.

Quali sono, secondo il tuo giudizio, i punti di forza del self-publishing, e quali no, rispetto alla pubblicazione canonica con un editore?

Il self-publishing, se fatto con consapevolezza, e questo richiede quindi anche un investimento economico, perché l’autore è editore di se stesso, può dare grandi soddisfazioni. Un self-publisher ha tutto sottomano, può valutare se fare una promozione anziché un’altra, può scegliere prezzo, copertina, ecc. Spesso, con un editore, questo non si può fare. Ho sentito di editori che impongono copertine, titoli e prezzi. Dall’altra parte, avere alle spalle un editore (serio) può dire molto, soprattutto per uno scrittore emergente (e quindi sconosciuto). L’editore (ribadisco: serio) investe nel suo nuovo autore, che quindi non dovrà fare tutto da solo, come nel self-publishing, e raramente deve investire grandi cifre economiche. Non parlo di EAP, rientra nella categoria degli editori poco seri.

Guardiamo da vicino la professione di editor. Alcuni pensano che tale figura professionale possa stravolgere un testo, ma chi conosce il mondo dell’editoria libraria sa bene quanto conti un buon editing: dagli autori più avveduti agli editori seri. Considerata la tua esperienza, che cosa ci puoi dire in merito?

Quando avevo iniziato c’era molta nebbia in merito a questa professione, ed è grave, perché parliamo “solo” di sette anni fa. Oggi, c’è più chiarezza, ma allo stesso tempo l’aver scoperto la professione di editor ha portato tantissime persone a intraprenderla senza avere le giuste basi che, comunque, si coltivano col tempo. Poiché non c’è un albo degli editor e non abbiamo un sindacato specifico, chiunque voglia può diventarlo, spesso compromettendo la credibilità della professione, un po’ come per i traduttori. Spero che in futuro la situazione migliori e che all’editor venga dato il giusto rispetto giuridico, e non solo monetario perché, purtroppo, si tende ancora a pagare pochissimo l’editing.

Nonostante sia un compito ingrato quello di sistemare un testo a un autore, perché spesso chi scrive non vede i propri errori o non riconosce i limiti di ciò che ha messo nero su bianco, un editore dovrebbe farlo eseguire a regola d’arte. Ma, anche in questo caso, qualcuno lo fa in modo superficiale pur di pubblicare o non lo fa affatto. Un occhio allenato a leggere, però, nota la differenza. Non addentriamoci nei corsi di scrittura creativa, che un po’ omologano lo stile mentre ognuno dovrebbe conservare il proprio, un’impronta riconoscibile; qual è il tuo punto di vista?

Io penso che i corsi di scrittura creativa possano dare una base e fornire la cassetta degli attrezzi; sta poi all’autore coltivare il proprio stile. Certo, la tendenza “di mercato” è di avere romanzi con un preciso stile, che vende, mentre invece ogni libro dovrebbe essere unico proprio perché ogni autore è unico. Nel mio lavoro, cerco sempre di mantenere intatto lo stile dello scrittore, anche se magari piú pesante o denso di quello che “vende”, ma è solo cosí che l’originalità ha ragion d’essere.

Concordo, lo stile è la firma e dovrebbe essere riconoscibile nella moltitudine di autori vecchi e nuovi. Qualcuno potrebbe anche prenderne spunto!
Ti sarà capitato di leggere testi mediocri o di incontrare qualche aspirante autore che alla prima esperienza crede di aver scritto un best seller. In questi casi, qualcosa si salva? Potrebbe un testo non maturo, o semplicemente scritto male, ma di ottimo contenuto, diventare un bel cigno con un buon editing? O, per esempio, quando chi scrive ha una bella storia da raccontare, ma non conosce perfettamente la lingua italiana, come ti regoli?

Mi è capitato sia di avere buoni testi dal punto di vista grammaticale, ortografico, eccetera, ma carenti di storia, e cattivi testi ma con una buona trama. Nel primo caso, c’è poco da fare: l’editor non può riscrivere ma solo suggerire che, forse, la trama andrebbe migliorata. Nel secondo caso, un intervento di editing profondo può migliorare senza dubbio il testo. Purtroppo, ci sono anche casi “disperati” in cui nemmeno l’editing riesce, e mi riferisco a testi non soltanto carenti grammaticalmente, ma anche strutturalmente e logicamente. Se l’editor non capisce cosa voglia dire l’autore con quella frase, è difficile intervenire.

Mi pare di capire che tu sia un editor “gentile” che aiuta l’autore senza cambiargli i connotati, ma operi una selezione per scegliere un testo piuttosto che un altro adatto alla pubblicazione?

La prima selezione è di bon-ton: se un autore che invia inediti in redazione non si presenta, manda la mail a più editori indiscriminatamente o si mostra già “maleducato”, viene scartato a priori. Idem se un testo, nelle prime battute, presenta tanti errori grammaticali e di contenuto. Abbiamo già lavorato, in passato, con inediti e autori del genere e non è stata una bella esperienza. Dopo questa prima “scrematura”, leggiamo attentamente la sinossi e le prime venti pagine: se attirano, proseguiamo. Se il romanzo convince, siamo disposti a pubblicarlo.

Se la mole di testi da revisionare è ingente, ti avvali di collaboratori o lavori da sola?

Ho una collaboratrice molto preziosa che mi aiuta da anni, sia come freelance, sia con la collana che gestisco per PubMe. In ogni caso, tendo sempre a organizzarmi in base alle tempistiche e al resto. Forse alcuni diranno che sono lenta rispetto ad altri editor, ma preferisco spendere un mese in più, ad esempio, che terminare il lavoro in poche settimane, e farlo male, perché, si sa, l’editing richiede tempo, che sia leggero o profondo.

L’IA nella scrittura

Che cosa pensi di ChatGpt, la cosiddetta intelligenza artificiale applicata alla scrittura, che intelligenza non è. Ti è già successo di avere tra le mani un testo scritto con l’aiuto di un supporto pseudo-intelligente? Secondo te, perché si ricorre a questo strumento? E, soprattutto, capisci immediatamente quando il testo che ti arriva ha utilizzato ChatGpt?

Mi è capitato tra le mani un libro che ipotizzo, ma non ne ho la certezza, sia stato scritto con ChatGPT. Questo bot può essere utile per pianificare una storia e per strutturarla in scene o capitoli, ma è ancora molto limitato se si tratta di scrivere un libro vero e proprio. ChatGPT usa frasi e termini preconfezionati e spesso li ripete, con una perdita di ricchezza lessicale e contenutistica enorme. Penso che chi scrive usando l’intelligenza artificiale lo faccia per “far prima”, ma purtroppo la mano di un computer non è ancora quella di un essere umano. Per fortuna, aggiungerei.

Condivido il tuo pensiero: un professionista serio o che desidera diventarlo non dovrebbe utilizzare simili scorciatoie ma, al più, aiutarsi leggendo come si scrive un buon testo e imparare qualche buona regola, sia di stesura sia tipografica, che snellirebbe anche il lavoro dell’editor. Considerata la tua conoscenza della materia, hai scritto qualche manuale per aiutare gli aspiranti scrittori a non commettere errori grossolani e presentare un manoscritto più corretto dal punto di vista formale?

Sí, ho autopubblicato due piccoli manuali: Prontuario di editing e Prontuario di scrittura. Spero siano utili all’aspirante scrittore per avere almeno la base, premesso che è sempre fondamentale che un esterno legga il libro, perché non solo, se professionista, ha un occhio allenato, ma perché l’autore, me compresa, non ha la consapevolezza, spesso, di quello che scrive, oppure dà per scontato.

È fuor di dubbio che chi scrive non veda piú certi “errori” e dia per scontato ciò che per altri non è. E qui si entrerebbe nel “mondo” dei beta-reader: lettori accaniti, divoratori di libri che, senza operare correzioni, sono in grado di fornire una prima impressione sul testo.

Tanti autori tanti colori

Ma arriviamo alla collana che curi da anni: Policromia. Questo sostantivo è una tua idea o lo hai ereditato dalla C.E. e reso tuo?

Quando PubMe aveva avviato lo scouting per aprire le collane, mi sono proposta subito con una collana mainstream. Il nome, Policromia, l’ho scelto io, perché è proprio questo il suo fulcro: pubblicare libri che trattino vari generi – i colori, appunto – e vari argomenti.

In Policromia trovano posto vari generi. Anche i tuoi autori sono “policromi”?

Sí, esatto. Inoltre, gli autori di Policromia spaziano spesso fra vari generi e pubblicano anche altrove: c’è chi scrive romance, chi thriller, chi addirittura fantasy.

Qualcuno ripubblica con te?

Sí, qualcuno ha deciso di rifarlo. Questo, spero, vuol dire che si è trovato bene e anche noi siamo contenti, perché si crea negli anni un rapporto di cordiale amicizia che va oltre la “sola” pubblicazione.

In qualità di direttrice di collana, segui i tuoi autori anche nel post pubblicazione?

Sí, li seguo anche dopo, anche se non tutti. Con alcuni si è creato anche un rapporto di amicizia, seppur a distanza.

E ora ritorno sull’argomento lasciato in sospeso: la narrativa per l’infanzia. Richiede piú impegno e attenzione rispetto al mainstream e a ciò di cui ti occupi adesso? Che cosa ti ha spinta a decidere di lasciarla? E, soprattutto, c’è qualche autore “policromo” che ti propone testi di questo genere?

La narrativa per l’infanzia è complessa perché ha molte sfaccettature. Ogni fascia d’età ha alcune regole che vanno rispettate, cosí come i temi. Nella casa editrice per cui lavoravo, avevamo varie collane suddivise in fasce d’età, dai piú grandi ai piú piccoli, fino ai giovani adulti. Mi è sempre piaciuto lavorare nel settore dell’infanzia, ma, spesso, mi rendo conto di non avere la giusta sensibilità per trattare alcuni temi. E sí, alcuni autori “policromi” spesso propongono anche libri per bambini, ma preferiamo rimanere sul mainstream.

Mi sembra di capire che occuparsi di testi destinati ai giovani lettori dia piú da fare e sia piú complicato di quanto non sembri e impegni di piú l’editore. Che cosa pensi della realtà delle piccole C.E. come quella per cui lavori?

È difficile farsi conoscere ma soprattutto ascoltare. Quando ho iniziato, contattavo molti blogger o giornalisti, ma solo uno su tre rispondeva. Ho notato subito la tendenza a pubblicizzare autori già noti, grandi nomi, autori con alle spalle uno “sponsor”. Se però una piccola CE riesce a ritagliarsi il suo spazio, come ha fatto PubMe, è una bella cosa, anche perché molte hanno chiuso.

Hai una visione del mondo editoriale librario da dentro e da fuori essendo editor e scrittrice. È arrivato il momento di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. In virtú della professione che svolgi e dopo aver partecipato a fiere del libro piccole, medie e grandi, in qualità di curatrice di collana o di autrice, sei giunta a qualche riflessione relativa a questo mondo?

Se potessi parlare liberamente senza rischio di querele o eliminazioni da liste di amici, ne avrei di cose da dire. Il mondo editoriale è difficile e super competitivo, pieno di squali pronti a tutto per sbranarti o portarti via la tua fetta (di qualsiasi cosa). Le fiere sono quelle che sono: o enormi e caotiche e super politicizzate, oppure piccoline e sconosciute. Di autori, ce n’è di tutti i tipi: educati, maleducati, competenti e imbrattacarte. Qualcuno direbbe che è cosí dappertutto. Lo penso anch’io. Però, ripeto, se si riesce a ritagliarsi un piccolo spazio, è possibile sopravvivere.

Si può affermare che la professione di editor ti soddisfi, oppure vorresti migliorare qualcosa? Consiglieresti la tua professione?

Sono sempre in continuo miglioramento, seguo corsi (ho terminato, ultimamente, il Laboratorio del mistero tenuto da Bottega di Narrazione) e leggo libri appositi, approfondisco la lingua italiana e ho sempre a portata di mano un vocabolario. Questo lavoro è cosí: devi studiare sempre, e a me non dispiace. Certo che consiglio la professione di editor, ma che sia consapevole: non basta aver letto due libri e aver frequentato il classico o la facoltà di Lettere. Bisogna essere curiosi, sapersi mettere in gioco ogni giorno e riconoscere che talvolta di sbaglia. E bisogna studiare, sempre. Non si è mai arrivati.

Questo consiglio è molto utile: una buona dose di umiltà non guasta mai e bisogna sempre aggiornarsi per rimanere al passo con i tempi. Auspichiamo che qualità, competenza e professionalità emergano sempre. Ringraziamo Emanuela e le auguriamo di proseguire al meglio su questa strada stimolante, ma non facile, che implica pazienza, dedizione oltre a un’indiscussa competenza.

Grazie a voi!

Emanuela Navone alla Fiera del Libro di Lavagna (GE). In alto al Salone del Libro di Torino

Emanuela Navone alla Fiera del Libro di Lavagna (GE). In alto al Salone del Libro di Torino