Il quarto appuntamento con la copertina dei libri è un resoconto che mostra l’atteggiamento degli editori piccoli, medi e grandi nei confronti di questo piccolo manifesto che mostra il contenuto del catalogo con lo scopo di attrarre il lettore senza ingannarlo con falsi messaggi.
L’editore deve vestire i testi, di cui si fa padrino e promotore, di un abito consono che non solo deve essere coerente ma anche soddisfare le esigenze stilistiche della sua produzione.
Oggi sono molti gli editori che lasciano “carta bianca” all’autore, delegandogli la scelta o, quanto meno, l’indicazione del tipo di immagine che gli sembri più rappresentativa del contenuto.
Se da una parte emerge la differenza rispetto al passato, in cui era prerogativa specifica della casa editrice decidere in tal senso, oggi è lecito porsi qualche domanda su tale cambiamento di tendenza. In realtà, così facendo, chi ha l’onere di pubblicare si sgrava di un compito, a volte anche due. L’effettiva lettura attenta del testo che l’editore delega a un editor esterno che comunica a grandi linee se l’opera è da prendere in considerazione o meno, senza informare nel dettaglio l’editore, e la mancata comunicazione tra chi lo ha effettivamente letto e il grafico che deve curarne l’aspetto esterno e l’impatto sul lettore. Nei rari casi in cui le ultime due figure coincidono – e si parla di piccola editoria – la coerenza è rispettata, in caso contrario, il volume finisce nel calderone delle opere appartenenti a quel genere o a quella collana, per le quali si è deciso a monte di sfruttare una grafica generica riconoscibile, senza informare l’utente finale di molto di più di questo, e lasciando al titolo e alla lettura della sinossi, il compito di spiegare di che cosa si tratta.
È il caso dei medi e grandi editori che pubblicano molti testi all’anno.
Mi vengono in mente le copertine di Munari, a cui ho già accennato nel primo articolo, che sfruttava il colore e le forme su sfondo bianco, per distinguere i generi di appartenenza. Ma anche oggi alcuni editori optano per tale scelta. Al Salone Internazionale del Libro di Torino abbiamo incontrato stand che esponevano libri con copertine alla Munari e che creavano un bel colpo d’occhio.
Durante il mio percorso professionale nel campo dell’editoria mi è capitato di lavorare per editori e di conoscerne alcuni che si sono distinti nel tempo proprio per aver creato un’immagine forte e riconoscibile sul mercato. Penso ai libri di Franco Maria Ricci, rivestiti in tela nera su cui è applicata, nell’incavo rilievo centrale, una stampa a colori scelta tra quelle dell’interno come più significativa. Della stessa scuola era un altro Ricci, omonimo, per cui ho lavorato per anni, che possedeva il culto del bello: belle carte, ottima stampa, rilegatura e cura maniacale del testo che non doveva assolutamente uscire con errori o refusi. Le sue copertine differivano a volte per il colore dello sfondo del logo dell’editore, posto in alto al centro della prima di copertina, che riproduceva un guerriero con lunghi capelli al vento, sul cui scudo vi erano le iniziali della casa editrice. Se non era il colore dello sfondo del logo a cambiare, lo era quello della carta, sempre di ottima qualità. Il comune denominatore è lo stesso: creare un’immagine riconoscibile della C.E.
Le tendenze
Dalla Lombardia ci spostiamo in Piemonte, dove spicca la Priuli & Verlucca Editori che per anni ha pubblicato bei libri fotografici e quaderni di cultura alpina con immagine fotografica di copertina a piena pagina, talvolta a piena copertina. La semplicità è stata la loro parola d’ordine. Oggi la Hever Edizioni, sulle orme della Priuli & Verlucca, segue gli stessi canoni appresi in gioventù dai veterani e offre ai propri autori un’immagine riconoscibile creando, a volte una sorta di collana per i libri dello stesso autore. In questo caso c’è l’aiuto dello scrittore che si fa carico con piacere di fornire l’idea e l’immagine di copertina creata ad hoc, ad esempio, da pittori e illustratori di sua conoscenza. È una sorta di sinergia e collaborazione tra editore e autore che mira a portare a termine un prodotto perfetto, preciso, stampato su buona carta e con una propria identità riconoscibile tra tante.
In questa sede non parlerò di editoria EAP e NEAP, ma di copertine e tendenze. E in merito alle tendenze, torno in Lombardia, a Belgioioso, dove un altro editore pubblica testi di classici e non, che hanno quasi tutti lo stesso formato e identica grafica di copertina, stampata su buona carta colorata. La differenza tra un libro e l’altro? Il colore della carta e, minimamente, il formato. Il colpo d’occhio è assicurato e pure l’esperienza tattile. Per una come me che ama toccare la carta, vi assicuro che è difficile lasciare il bancone su cui sono esposti questi libri senza acquistarne almeno uno. Il contenuto merita? A volte no, ma questa è un’altra storia, comunque il messaggio dell’editore-venditore si compie alla perfezione: attrarre con la stessa grafica e con ottima carta colorata e legatura accurata.
Appare evidente che il lavoro è più semplice e snello se non si opta per un’immagine fotografica di copertina, sia in materia di copyright sia di ricerca dell’iconografia ad hoc che costituisce un costo. Sfruttare una grafica lineare, geometrica a colori, o il colore della carta, preferendo la qualità, è sicuramente una scelta economica che può risultare vincente. Attira il lettore? Forse non tutti, perché c’è chi sceglie in funzione dell’attrazione o dall’impatto emotivo che genera una foto o un disegno, dal quale immaginare il contenuto del libro.
Per il grande editore il problema sull’immagine non si pone perché ha in genere un service, ovvero un centro iconografico interno alla casa editrice che fornisce i prodotti fotografici per tutte le opere pubblicate. Nel caso l’archivio non possegga il materiale richiesto, affida l’incarico a un fotografo.
Anche i piccoli editori possono acquistare un archivio generico di foto a cui attingere, in base alle proprie esigenze, e senza copyright. Oggi, inoltre, fa capolino l’IA che sostituisce illustratori e fotografi.
Le coedizioni della grande editoria
Un capitolo a parte meritano le coedizioni, vale a dire quei testi che sono editati da più paesi per i quali il grande editore, acquista insieme al testo, la griglia di impaginazione del libro originale, compresa la copertina. Il testo viene tradotto in lingua italiana e inserito nella griglia. L’interno è uguale per tutte le edizioni, ma anche la copertina lo è. Conserva la stessa grafica con il titolo tradotto in italiano. La coproduzione, che riduce i costi di produzione anche dei due terzi, può essere pure un’uscita in contemporanea delle edizioni nei vari paesi del mondo.
Si individuano i titoli che rappresentano novità assolute o sono di grande pregio grafico o volumi che il pubblico è abituato ad acquistare e che hanno un mercato sicuro. Tale scelta si opera alle fiere di Francoforte e Londra, principalmente.
In metà dei casi nelle coedizioni si conserva la copertina originaria che è già studiata per un pubblico internazionale. Si cambia il lettering per adattarlo alla tradizione della casa editrice.
In altri casi viene modificata parzialmente o totalmente per adattarla al pubblico a cui si rivolge il volume. In merito alla stampa c’è quasi sempre l’obbligo di farla eseguire da parte dell’editore estero che ha venduto, che avviene di solito in città come Singapore e Hong Kong, dove la manodopera costa la metà.
Il self-publishing
Un discorso a sé merita il self-publishing, dove anche l’autore inesperto può creare la sua copertina seguendo alcuni modelli forniti da Amazon, per fare un esempio, oppure affidando alla piattaforma editoriale tale servizio grafico che è a pagamento. Nel primo caso il risultato potrebbe risultare scarso, per mancanza di conoscenze grafiche, ma in una società in cui le professionalità si sono livellate e tutti possono fare tutto, basta possedere un computer, è probabile che a lavoro finito i lettori mordi e fuggi non lo notino neppure.
Come si vede, il comportamento della piccola e media editoria è diverso rispetto al grande editore che ha voce in capitolo su tutto, titolo e grafica compresi.
E voi, quale copertina preferite? Siete per la grafica semplice che identifica il genere e che rimane comune a tutti i testi pubblicati in quella collana o catalogo, o propendete per la diversificazione attraverso l’immagine fotografica o il disegno che sprigionano fantasia e curiosità? In altre parole, prediligete l’omologazione e la rigidità del grande editore o la maggiore libertà di espressione grafica della piccola e media editoria? Oppure siete sostenitori del fai da te? Quale peso date alla copertina?
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