Anche nel settore della stampa la diffusione di fake news (bufale) è dannosa, perché distoglie l’attenzione dai problemi reali da affrontare e da risolvere. Può essere un modo per scaricare su altri (“piove, governo ladro”) le colpe di contingenze sfavorevoli, o perché manca il lavoro, o il cliente non paga, o semplicemente per lamentarsi, che ci sta sempre. Si aggiunga poi il troppo diffuso analfabetismo di ritorno, che alimenta la diffusione di notizie infondate.

È un fenomeno non nuovo, ma più evidente negli ultimi anni con il diffondersi della comunicazione via social. Un modo semplice per estendere le chiacchiere da bar a un pubblico vasto. Il settore stampa ha i propri gruppi social, in genere molto seri e utili, nei quali ci si scambiano informazioni tecniche. A volte, purtroppo, usati da alcuni per sfoghi personali, che nulla hanno a che fare con le tecnologie.
E qui viene il brutto. Si esce dal tecnico e si entra nella polemica gratuita e spesso basata su bufale. Si diffondono e si tengono per buone notizie infondate cui si crede senza documentarsi. Il controllo, la cosiddetta post-verità, non è ascoltata per un’ostilità diffusa rispetto agli standard della razionalità. Un esempio? Diversi quotidiani lanciano titoli allarmanti ma falsi. Salvo, eventualmente, alleggerire l’attacco nel testo. Il genere non letto o non compreso, a causa dell’analfabetismo strutturale. Ciò che resta è il titolo falso. Che poi viene diffuso sui social come vero. Fenomeno attualissimo.

Analfabetismo e bufale: punti in comune

In un recente intervento su LinkedIN, Carlo Fraschetti *, ha analizzato il noto fenomeno dell’analfabetismo strutturale o di ritorno, che lui giustamente estende all’analfabetismo digitale (su cui torneremo).
I due temi – fake news e analfabetismo – hanno punti in comune.
Gli ‘analfabeti strutturali’, che magari sono ottimi artigiani e anche ottimi stampatori, non sono in grado di comprendere a fondo un testo scritto. Si fermano ai significati più semplici e superficiali. È quel fenomeno noto per il quale i politici (certi politici) tendono a ‘parlare alla pancia’. Ma cosa significa ‘parlare alla pancia’?

Per essere scientifici diciamo che ‘parlano al nostro cervello rettiliano’. E molti (pare circa un quarto degli italiani) utilizzano solo quello. Da qui le errate convinzioni, che hanno notevole rilevanza sociale: da quelle in materia di rappresentanza politica, alle scelte relative alla salute pubblica o a questioni ambientali. E persino sulle tecnologie. Oppure il complottismo : si rifiuta il valore dei dati scientifici, visti spesso (analfabetismo strutturale) come creati ad arte per raggiungere oscuri fini.

Istinto e ragione

Purtroppo non è facile contrastare chi gioca sporco, vale a dire c0hi ricorre a un utilizzo strumentale e ingannevole della comunicazione. E far ragionare chi si oppone ‘a prescindere’ alla razionalità.
Noi esseri umani (Homo Sapiens) abbiamo due sezioni di cervello (tre in realtà, ma semplifichiamo): quello rettiliano che hanno tutti gli animali dai rettili in su; e quello cerebrale, situato nella neocorteccia, che si è sviluppato solo nel tempo con l’evoluzione, che ha portato ai primati e quindi al genere Homo.

Il cervello rettiliano è istintivo, non razionale, ma influisce molto sulle convinzioni, e decisioni, di chi si ferma a quello. E per questo molto sfruttato dai moderni guru del marketing: il neuromarketing, decisamente molto utilizzato in politica.

Poi c’è lo strato cerebrale esterno, la neocorteccia, sede delle funzioni cognitive superiori.
Ora, non è che molti di noi non abbiamo questa neocorteccia: l’avevano persino i Neandertal e, prima di loro gli Australopitechi.
Il problema è che, come fa intendere Fraschetti, molti non la utilizzano. O la utilizzano solo in parte. Anche perché, questa parte superiore del cervello deve essere ‘nutrita’ e ‘oliata’. E l’analfabetismo di ritorno non aiuta in questo.

Si potrà obiettare che fino all’800 molti erano analfabeti, tuttavia per nulla stupidi. Quindi è bene sottolineare che non si deve confondere: l’analfabetismo di ritorno si ha per pigrizia, sia perché si rifiuta la cultura, dove per cultura si intende “l’insieme di tratti comportamentali, simboli e idee condivisi da un gruppo animale”. Compreso lo spidocchiamento delle scimmie (social grooming) che, secondo gli antropologi, è alla base dell’evoluzione dello strato cerebrale esterno. Operazione che noi abbiamo sostituito con il linguaggio, parlato e scritto. Quindi dialogo e confronto. Reciprocità.

Qui la mia linea di pensiero si unisce a quella di Fraschetti.   Il quale giustamente approfondisce il concetto con il problema dell’analfabetismo digitale.
Cito: “Gli analfabetismi digitali, uniti alla mancanza di empatia, di emozioni, di soft skill dei vertici aziendali si alimentano degli stessi analfabetismi dei lavoratori in un circolo vizioso difficile da interrompere, ma che è necessario spezzare perché è possibile e alla portata di mano di tutti.”

Carlo Fraschetti analizza a fondo questo tema dell’analfabetismo digitale, cui dedicheremo un approfondimento nel prossimo editoriale di fine agosto.

Il rifiuto di documentarsi

Tornando al tema principale come da titolo, i motivi per cui ci si ferma alle fake, o meglio bufale, possono essere due. Primo, che la cosiddetta post-verità in genere non è ascoltata per un’ostilità diffusa rispetto agli standard della razionalità (rettiliano).

Secondo, a causa dell’analfabetismo di ritorno: il rifiuto, o incapacità di approfondire, documentarsi, perché “fatti oggettivi e criteri razionali sono assai meno influenti nell’orientare l’opinione pubblica di quanto non lo sia l’appello alle emozioni e alle convinzioni personali, per quanto irrazionali queste possano essere” afferma in uno studio Elena Castellani professore associato, Dipartimento di filosofia, Università di Firenze.
Perché persistano le bufale anche quando è del tutto palese la falsità delle notizie, e quindi l’infondatezza delle credenze che ne derivano, è oggetto di studio.

* Carlo Fraschetti si occupa di carta e “… consiglia la miglior scelta di carte e supporti da stampare per il tuo progetto grafico”. A sua firma abbiamo pubblicato il 18 dicembre 2019 l’articolo Leggere, Ascoltare e Partecipare per essere più liberi