Competere.Eu ha lanciato la nota congiunturale di settembre dalla quale emerge come nonostante le revisioni Istat alzino la dinamica del Pil del triennio 2020-2022, la congiuntura attuale resta negativa.

Curata dall’Ufficio Studi e di Analisi Macroeconomica di Competere.Eu la nota congiunturale di settembre recentemente ripresa dai principali quotidiani risulta ora evidente quanto preannunciato in agosto: i principali previsori come Confindustria, Banca d’Italia e il Governo stesso stanno prendendo atto del mutamento di contesto rivedendo al ribasso le proprie stime di crescita, a oggi molto, forse troppo, ottimistiche.

Riportiamo qui una sintesi dello studio che Competere.EU ci ha fornito il Segretario Generale in esclusiva per le riviste del nostro settore.

Solo dopo il Meeting di Rimini il Governo e la Commissione Europea hanno rivisto a ribasso i tassi di crescita del PIL e annunciato significative revisioni rispetto a quanto previsto nel DEF.

Nota congiunturale sull’economia italiana

Nell’ultimo mese, da quando il 16 agosto Competere.Eu ha realizzato la precedente nota congiunturale, i dati qualitativi e quantitativi diffusi da diversi istituti hanno confermato il deterioramento del contesto economico italiano all’interno di uno scenario che, anche a livello internazionale, mostra segnali di ulteriore rallentamento.

Tra i fattori che incidono sono citati gli accentuati scricchiolii del dragone cinese a causa della crisi del settore immobiliare e delle tensioni geopolitiche, che accentuano un rallentamento globale in corso anche per gli aumenti dei tassi i cui effetti sulla domanda sono già evidenti, soprattutto nel nostro continente, dove in piú, la Germania si sta rivelando il “malato d’Europa”, per effetto dei forti legami con la Cina. L’Italia non è esente da questo contagio poiché è il principale fornitore dell’economia tedesca per componenti di auto.

A differenza da quanto ci assicurano nei talk show televisive, l’industria italiana mostra segnali di forte debolezza. In luglio la produzione industriale è tornata a diminuire (-0,7%) dopo due mesi di recuperi. A livello settoriale ha dato un contributo positivo solo il comparto energetico, che ha prodotto più del solito per l’accresciuta domanda di energia dovuta alle temperature elevate registrate nel mese [quindi è un dato niente affatto positivo – ndr].
Se si osserva la dinamica nel solo manifatturiero, la diminuzione è più marcata (-1,1% su giugno), con i settori alimentare e mezzi di trasporto che mostrano i cali di attività più forti. In luglio è venuto meno l’apporto di entrambe le componenti della domanda: quella estera è diminuita dell’1,8% mentre la caduta delle importazioni nello stesso mese (-4,7%), insieme alla diminuzione delle vendite al dettaglio (-0,2% in volume), è sintomo di una ulteriore perdita di slancio anche della domanda interna, già fortemente compromessa dal contestuale impatto di tassi elevati e inflazione in lento rallentamento, fattori che hanno ridotto il potere d’acquisto delle famiglie e limitato le prospettive di consumo [dati questi che avranno una certa influenza negativa sul comparto del packaging – ndr].

Dinamica piatta

Con i dati disponibili fino a luglio, la produzione industriale entra nel terzo trimestre con una dinamica quasi piatta che. Gli indicatori qualitativi non offrono informazioni favorevoli: la fiducia degli imprenditori manifatturieri è diminuita tra giugno e agosto e le scorte di prodotti finiti sono aumentate pur in presenza di attese di produzione in peggioramento, segno che la domanda sta diminuendo più di quanto atteso e l’accumulo nei magazzini rappresenta un deterrente alla produzione nei prossimi mesi.

I consumi delle famiglie

Dal punto di vista della domanda, il vero problema all’orizzonte sono i consumi. Nel secondo trimestre il dettaglio della spesa per consumi finali delle famiglie mostra una diminuzione degli acquisti di beni non durevoli e semidurevoli, prevalentemente di beni alimentari, di medicine, di prodotti per la cura delle persone, di calzature. È un segnale molto negativo anche per il settore stampa e packaging.

Dopo una fase in cui le famiglie hanno cercato di mantenere gli standard di consumo precedenti al Covid, utilizzando l’extra risparmio che era stato forzatamente accumulato durante i lockdown, si è passati a una fase in cui è stata sacrificata la qualità dei beni acquistati e oggi vi è una riduzione delle quantità. Se questa interpretazione è corretta, ci troviamo in una situazione di aumento delle famiglie in gravi difficoltà economiche, cosa che richiede un intervento di ampio respiro a supporto del reddito di queste fasce della popolazione e di quelle che stanno scivolando in area di povertà. Tema molto caro al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Inflazione e salari

Ciò avviene anche a causa di una dinamica dell’inflazione che decelera in misura più graduale di quanto atteso nei mesi scorsi. In agosto l’inflazione in Italia ha toccato il 5,4% su base annua, un dato di oltre sei punti inferiore rispetto al picco di fine 2022.

La discesa dei prezzi è stata frenata, nelle ultime settimane, dai rincari del petrolio e del gas, i primi prevalentemente a causa del blocco della produzione decisa da Arabia e Russia e i secondi soprattutto a causa degli scioperi nel settore del GNL in Australia e per lavori di manutenzione del gasdotto in Norvegia.
In tale contesto, dinamiche salariali che procedono a un ritmo più lento di quello dell’inflazione [non dimentichiamo che il comparto poligrafico è tra quelli che non ha un salario minimo – ndr] stanno generando impatti significativi sui bilanci delle famiglie. Una gran parte dei CCNL (circa il 50%) deve essere ancora rinnovato per cui, sotto questo punto di vista, se oggi gli effetti sono negativi, nel 2024 si può attendere un miglioramento delle condizioni: a fronte di una decelerazione ulteriore della dinamica dei prezzi (che secondo molti previsori dovrebbe scendere sotto il 3% nella media dell’anno prossimo, quasi dimezzandosi rispetto al 2023) si avranno incrementi significativi delle retribuzioni (i cui contratti verranno rinnovati a tassi superiori) e ciò aumenterà il potere d’acquisto delle famiglie, liberando risorse per i consumi.

Dinamica del PIL

La combinazione di questi fattori rappresenta un pesante fardello sull’andamento del PIL quest’anno e il prossimo. Il Governo non può non tenerne conto nella prossima manovra finanziaria, la quale dovrà considerare anche i circa 30 miliardi di Superbonus che andranno a incrementare di circa 1,5 punti la dinamica del deficit, portandola al 6% (o sopra), rispetto a quanto considerato nel DEF in aprile (4,5%). Per il 2024 i dubbi sull’attribuzione delle risorse del Superbonus lasciano spazio a una grande incertezza. Nel DEF era previsto un deficit del 3,7% ma con una dinamica del PIL più robusta (+1,5% previsto) di quella che sarà. I problemi, dunque, non mancano e una gran parte delle soluzioni si trova sui tavoli di lavoro organizzati a livello europeo, in particolare quelli che prevedono modifiche al Patto di Stabilità. Su questo fronte le ultime notizie non sono rassicuranti, a causa del riemergere di “falchi” che intendono limitare qualsiasi revisione rispetto alle regole già stabilite e fino al 31 dicembre sospese.

Le revisioni dell’ISTAT

Una piccola mano potrebbe arrivare dalle nuove revisioni che l’ISTAT ha annunciato per il triennio 2020-2022 (presentate nella conferenza stampa di venerdì 22 settembre, in cui sono stati presentati gli aggiornamenti delle stime di crescita del PIL nominale (e in volume) “in particolare del sistema informativo integrato per la stima delle variabili dei Conti economici delle imprese”.

Il caso italiano non è isolato, in quanto revisioni della crescita del PIL a ridosso della crisi Covid sono in atto anche in altri paesi, sebbene gli incrementi siano di intensità inferiore.

Per l’Italia questa revisione cambierà la narrativa sull’uscita dal Covid: il recupero dei livelli pre-Covid sarebbe stato raggiunto, infatti, già nel 2021 e attualmente, secondo alcune nostre valutazioni preliminari, il livello di PIL potrebbe essere di oltre 4 punti più alto rispetto a fine 2019, confermando il primato europeo dell’Italia nella velocità di recupero.

Ma questo riguarda il passato. I problemi adesso riguardano il prossimo futuro.