Secondo le recenti indagini di Competere.EU l’economia italiana e internazionale sono alla prova del conflitto in Medio Oriente con il rischio di allontanare ulteriormente il raggiungimento dell’obiettivo di crescita.

Riportiamo in esclusiva i commenti di Roberto Race all’analisi congiunturale di Competere.Eu. Per i diagrammi facciamo riferimento a quelli di Mazziero Research presentati da Vittorio E. Malvezzi alla Commissione Carte e Cartoni della CCIA di fine ottobre.

Tra i canali d’impatto sull’Italia l’interscambio commerciale, l’aumento dei prezzi di gas e petrolio, le conseguenze dovute alle possibili interruzioni lungo la filiera globale dei semiconduttori e l’incertezza derivante dalle crescenti tensioni geopolitiche, aumentano i rischi al ribasso sull’andamento dell’economia italiana nel breve periodo. Tutto questo rischia di allontanare ulteriormente il raggiungimento dell’obiettivo di crescita del Governo.

Il segretario generale di Competere.Eu Roberto Race nel presentare l’analisi congiunturale di ottobre del think tank sull’andamento dell’economia italiana afferma che «i dati congiunturali dell’ultimo mese tracciano un quadro a tinte fosche per l’economia italiana; un quadro che si tinge di scuro a causa del conflitto Israelo-palestinese, che causa morti e sofferenza, oltre che ricadute economiche.»
«Gli effetti del conflitto – aggiunge Race – potranno essere significativi e colpire l’economia italiana attraverso canali diretti e indiretti. Un’economia che già mostrava segni di indebolimento a causa della caduta della domanda interna. Credit crunch e perdita di potere d’acquisto hanno fiaccato investimenti delle imprese e consumi delle famiglie

Scambi con Israele

Dal punto di vista prettamente economico, l’impatto del conflitto Israelo-Palestinese sull’economia italiana non è ancora valutabile dal punto di vista quantitativo, ma i canali di trasmissione sono sia diretti che indiretti. Per quanto riguarda i primi, il canale principale potrebbe essere quello del commercio tra i due Paesi: nel 2022 l’interscambio commerciale tra Italia e Israele valeva circa 4,8 miliardi di euro (con un saldo positivo per 2,3 miliardi di euro), con export concentrate prevalentemente in macchinari e apparecchiature, prodotti alimentari e gomma-plastica; mentre l’import da Israele è rilevante per i prodotti chimici e l’elettronica.
Gli effetti indiretti sono gli aumenti dei prezzi dei beni energetici, specie il gas, di cui l’Italia è fortemente dipendente, e le tensioni internazionali che generano impatti sulla crescita globale, attraverso un rallentamento del commercio internazionale e degli investimenti.

Inoltre, poiché Israele è tra i principali produttori al mondo di microchip avanzati, ci potrebbero essere ricadute significative sulla catena globale dei semiconduttori, come già avvenuto negli anni scorsi per altre ragioni, con conseguenze economiche rilevanti in vari settori.
Gli effetti sui prezzi al consumo potrebbero essere modesti per ora, poiché siamo lontani dai picchi raggiunti nell’agosto del 2022, quando il prezzo del gas aveva superato i 350 euro per Mwh. Tuttavia, incrementi dei prezzi dei beni energetici, incluso il petrolio (che però attualmente mantiene una certa stabilità), sono possibili, specie in caso di allargamento del conflitto nell’area mediorientale. Secondo Nomisma il prezzo del petrolio, in caso di coinvolgimento diretto di Arabia e Iran, potrebbe passare dagli attuali 90 dollari a 150 dollari al barile.

Nuova incertezza

«Le tensioni geopolitiche e il rischio di escalation – spiega Race nella nota congiunturale di Competere.Eu stanno già generando nuova incertezza e rischiano di fare deragliare l’economia globale, in un momento in cui la crescita procede a macchia di leopardo.»

La mancata crescita in Cina si fa sentire sul commercio mondiale, essendo la Cina uno dei principali esportatori globali, con una quota del 14%.
Il rallentamento, comunque, si sta manifestando con particolare ampiezza in Europa, dove la Germania è osservata speciale. L’economia tedesca secondo il FMI è attesa arretrare dello 0,5% quest’anno.
«Per l’Italia – aggiunge Roberto Race – il Fondo Monetario Internazionale ha tagliato le stime di crescita sia per il 2023 che per il 2024, quando il PIL è atteso avanzare dello 0,7% in ciascun anno, con un taglio, rispettivamente, pari allo 0,4% e allo 0,2% dalle previsioni pubblicate lo scorso luglio. Anche la Banca d’Italia, nel bollettino economico di ottobre, ha rivisto ampiamente al ribasso la dinamica del PIL italiano: +0,7% quest’anno e +0,8% il prossimo, con una revisione al ribasso di 0,6 punti per il 2023 e di 0,2 per il 2024.»
Sono stime più pessimistiche rispetto a quanto il Governo ha indicato nella NADEF (PIL +0,8% quest’anno e +1,2% il prossimo) e ciò non depone bene. Se si realizzasse una crescita del PIL più bassa rispetto a quanto atteso del Governo, si avrebbero implicazioni significative su deficit e debito, oltre a ricadute reputazionali per il nostro Paese, «un aspetto decisivo per potere “piazzare” presso investitori stranieri i nostri titoli di Stato, in un contesto in cui la BCE ha smesso di acquistarli. Come già detto, la differenza viene sostanzialmente dalla capacità di realizzare nei tempi giusti e in maniera efficiente il PNRR.»

Terziario

Restano i servizi a potere sostenere la crescita o la tenuta dell’economia italiana. Se durante l’estate qualche segnale positivo era venuto, soprattutto dal turismo, l’autunno non è partito con il migliore abbrivio. Il Purchasing Manager Index dei servizi – un indicatore mensile prodotto da Standard and Poor’s che monitora lo stato di salute del comparto terziario – in settembre è sceso sotto la soglia di 50, indicando così una lieve contrazione, soprattutto per gli accresciuti costi.

«Se viene meno il sostegno del terziario – e con un manifatturiero estremamente debole – allora si va incontro a una contrazione del PIL alla fine dell’anno che avrebbe ricadute significative anche sulla dinamica della crescita nel prossimo anno.»

Inflazione

Secondo Competere.EU, tra gli aspetti che potranno dare un contributo positivo per c’è la decelerazione dell’inflazione.

Dalle stime preliminari sull’andamento dei prezzi al consumo in ottobre, si può osservare una forte decelerazione, spiegata prevalentemente da effetti base (ovvero dal fatto che la variazione annua dei prezzi si calcola con un indice che nell’ottobre del 2022 era rimbalzato a causa dei forti aumenti delle quotazioni del gas tra agosto e settembre). Ciò potrebbe portare a una correzione di almeno due punti percentuali, portando l’inflazione al di sotto della soglia del 3%, dal 5,4% attuale. Anche nei prossimi due mesi potrebbe confermarsi questa tendenza.

«Sarebbe un sollievo pur nella consapevolezza che i livelli dei prezzi sono comunque più elevati di circa il 18% rispetto a quelli pre-pandemia. E ciò significa un forte arretramento del potere d’acquisto, aspetto che richiede un impegno deciso da parte del Governo che già nella Nadef ha destinato risorse a sostegno dei redditi delle famiglie.
In conclusione, l’incertezza è estremamente elevata e si è accresciuta nell’ultimo mese. Non è facile prevedere la direzione verso la quale si orienterà l’economia italiana; di certo i rischi sono al ribasso e il buon senso richiede un monitoraggio continuo da parte dei policy makers per potere programmare risposte adeguate a situazioni che potranno rapidamente peggiorare.
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Economia italiana alla prova
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