Sembra che la parola dell’anno scelta per il 2023 sia “autentico”. Anzi, Authentic o Authenticity, visto che la scelta viene da oltre oceano. A noi piace di piú il termine genuino.

E cosí, va da sé che ora nel marketing sia di moda la “Authenticity Market Growth”, e gli strateghi del mercato vi parleranno di “how to be authentic” e persino “Embrace Authenticity!”.

Ma certo, chi mai vorrebbe pubblicizzare i propri prodotti e i propri servizi in maniera “non autentica”? Beh, per la verità, e la politica dal 1994 ce lo insegna: non serve essere autentici, ma convincenti. Il cliente, meglio sarebbe dire “l’uomo della strada” preferisce ricevere promesse.

Comunicazione genuina

Eppure, il Cliente, quello con la maiuscola, no. Vuole autenticità? Neppure questa, perché se analizziamo la parola questa dice tutto e niente. Autentico è un documento ufficiale, un orologio di marca, ma il mondo è pieno di Rolex “autentici” taroccati.
Preferiamo allora usare termini piú terra terra, familiari, come schietto, genuino.
E, visto che è il nostro mestiere, parliamo di Comunicazione.
Le domande sono due: “Perché a una azienda conviene fare Comunicazione?” E la seconda è: “Come deve farla?” Con il “fai-da-te” o facendo parlare il cliente? (nel senso che se il vino è buono lo attesta il cliente, non l’oste) e, nel secondo caso, come?

Scuola scandinava

Parlo in prima persona, perché ho imparato la Comunicazione lavorando 10 anni in una azienda svedese, che all’epoca era all’avanguardia non solo nella sua tecnologia, ma anche nel saperla comunicare. È stata una scuola molto utile e interessante.
Innanzitutto, mi dicevano: essere sempre schietti, anzi, genuini.
Quando usciva una nuova macchina dovevo andare in fabbrica, capirne il funzionamento, poi dai clienti beta per vedere se erano soddisfatti. Solo dopo si studiava la tecnica di comunicazione.

Un principio che mi è rimasto impresso e che applico negli articoli che scrivo sulle riviste che curo ormai da 40 anni, prima in altri settori e, dalla drupa 1990, nel settore dell’industria grafica, della quale ho seguito gli enormi cambiamenti avvenuti in questo periodo.

Perché questa premessa?

Perché da quando si è diffusa la comunicazione via Social, molte aziende ritengono che sia sufficiente tempestare di post le pagine di LinkedIN e persino di Facebook o Instagram, per mettersi in vista e dire quanto si è bravi.

Ma non dà i risultati attesi e a volte è controproducente. Lo si può anche vedere dal numero di visualizzazioni reali che ‘mamma google’ ci indica. In genere gli annunci fatti dall’azienda che ha installato, restano come dire, tra amici. Ognuno ha il proprio giro, che è sempre quello.

L’azienda, con i suoi tecnici e commerciali, devono limitarsi al loro specifico lavoro, e affidare la Comunicazione a chi la sa fare. Ci sono, è vero le agenzie, piuttosto costose nelle quali chi scrive ha forse una laurea triennale, ma non conosce nulla delle tecnologie che tenta di descrivere. Un conto è comunicare un prodotto di consumo al supermercato, altro è comunicare una tecnologia.

Proprio per questo ci sono le riviste tecniche. Alcune di buon livello, anche se non sempre chi ci scrive ha una esperienza e una conoscenza scientifica specifica. Ma sono diffuse e sono lette. E questo è un bene per tutto il settore, e le riviste tecniche vanno sostenute perché contribuiscono a tenere viva l’informazione. È anche un concetto di Etica delle aziende che ricevono dal mercato ma devono contribuire a tenerlo “genuinamente” aggiornato, perché così crescono loro ma cresce anche tutto il settore attraverso il confronto e il dibattito.

Comunicare bene è un servizio in più che l’azienda fornitrice dà al proprio cliente.

*in apertura una scultura di Yoshitoshi Kanemaki