Riceviamo questa lettera a commento dell’articolo “Dov’è il mio formaggio?” che, lunga e articolata perderebbe valenza quale semplice commento in calce all’articolo.

Caro Direttore,
Il tuo editoriale ha, come di consueto, colto nel segno. Il riferimento al libro di Johnson Spencer non solo è pertinente, ma rispecchia esattamente quelli che sono i comportamenti delle istituzioni e di molti addetti ai lavori. Nulla è cambiato rispetto al passato, sembra di sentire un disco rotto che ripete continuamente la stessa canzone: c’è sempre qualcun altro che ha spostato il nostro formaggio!
Se vai a rileggerti l’indagine congiunturale della filiera, relativa al primo e secondo trimestre 2014 (ma anche degli anni precedenti), troverai le stesse indicazioni e le stesse ricette per rilanciare domanda e competitività. Sembra proprio che in certi ambiti, sia molto radicato il ‘pensiero scientifico’ contenuto nella metafora del Rasoio di Occam (A parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire).
Questo conferma, oltretutto, una carenza di iniziative a tutti i livelli, dalle istituzioni agli imprenditori (non tutti per fortuna), dirette a modificare una situazione ancor oggi preoccupante. La crisi, come surrogato per giustificare la incapacità di rimettersi in discussione e di guardare al cambiamento come un fatto positivo. Eppure una persona non certo di poco conto, come A. Einstein, ha detto: “La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi perché è proprio la crisi a portare il progresso. La creatività nasce dall’ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.”
Per molti, nella nostra bella Italia, guardare lontano, predisporre il cambiamento e accettarne i rischi non è invece una priorità e la cosa brutta, come ho già avuto modo di dire a commento del tuo editoriale sull’Assemblea pubblica della Federazione della Filiera della Carta e della Grafica del 17 giugno 2014, è che l’esigenza di innovazioni e cambiamenti è percepita più dai collaboratori tecnici delle aziende che dagli imprenditori! E questa la dice lunga sull’esigenza di trovare intuizione, coraggio e intraprendenza, ma soprattutto apertura mentale, come hai scritto a chiusura del tuo editoriale.
Mario Di Berardino
N.B. A proposito di ‘cambiamento’, ti trascrivo di seguito il pensiero espresso al riguardo da Wayne W.Dyer, uno psicologo statunitense della nostra età.
Accettare il cambiamento come cosa inevitabile, anche se non vi piace. Niente rimane uguale su questo pianeta sempre in rotazione. Le nuove idee, i nuovi atteggiamenti, le nuove abitudini, le nuove convinzioni non vogliono dire che il mondo si sfasci; sono invece gli ingredienti che rendono eccezionale l’essere vivi. I cambiamenti avvengono a prescindere da ciò che voi pensate, allora perché non diventare individui che si permettono di provare quei cambiamenti con gioia, invece di combatterli ogni giorno? Più vi abituate a godere dell’ignoto, esplorando ciò che non vi è familiare e assumendovi dei rischi, più la vostra vita ne risulterà arricchita. La noia deriva dalla monotonia e dalla routine. La sensazione di avere uno scopo, di avere una missione, parte dall’accettazione nuova e diversa del cambiamento. Tiratevi su le maniche!”.