Nostra Signora delle Vigne, nata nel 980 in un vigneto fuori le mura, è oggi la più grande chiesa, anzi Basilica, del centro storico di Genova.

Per chi sale dal Porto Antico verso il centro storico, mantenendosi sul lato a sinistra della via S. Lorenzo – che potremmo assumere a spartiacque tra centro storico di levante (quello piú antico) e di ponente – entra in un dedalo di vicoli e piazzette, palazzi altissimi e chiese, tale da non poter immaginare di trovarsi in mezzo ai campi.

Letteralmente in campagna, qual era nel Medioevo, questo territorio era fuori dalle mura (quelle del Barbarossa). Qui erano orti e vigneti. Soprattutto questi ultimi, tanto che l’appalto per la costruzione di una chiesa (intorno al 950) a sostituzione di una piccola cappella del VI secolo (forse la prima chiesa cristiana di Genova), fu pagato in vino (ben 500 litri). Da qui il toponimo di quella che è oggi la piazza principale racchiusa tra palazzi storici nobiliari e affrescati sulle pareti esterne (qui era l’Albergo della famiglia dei Grillo, passato poi ai Doria).

Tra i palazzi storici della piazza, questo del 1545 fu costruito per Domenico Grillo. Gli affreschi sulla facciata sono attribuiti a Gio Battista Castello. La parte inferiore chiude la loggia medievale in cui si svolgevano gli affari dei Grillo Negrone e Vivaldi

Alla piazza delle Vigne si giunge da piazza Soziglia (di cui parleremo in altra occasione) passando per uno stretto vicolo che fu, in via sperimentale, la prima strada pavimentata (con arenaria proveniente dalla Spezia). Da qui si sbuca in piazzetta delle Oche che merita una citazione per due motivi. Primo, in origine fino circa il 1100 non era che il piccolo cimitero annesso alla chiesa, poi trasferito al chiostro e, dopo il 1200 fu il cortile del palazzo dei Vivaldi (che forse qui commerciavano questi volatili). Il secondo motivo di menzione è che qui alloggiò per qualche mese, ospite dello zio che era in affari con il porto di Genova, l’adolescente Albert Einstein. Ma questo è relativo.

La chiesa di Santa Maria delle Vigne, appunto, è una delle più antiche di Genova, anche se il suo aspetto attuale è decisamente barocco. Della costruzione originale resta ben poco: il caratteristico campanile romanico di metà XII secolo, il Chiostro del Canonici – una strada lo separa dalla chiesa – che ospita una formella con un altorilievo di S. Giorgio e il Drago del XIV secolo (v. foto in alto) e alcuni muri, comunque nascosti dalla facciata seicentesca.

Chiostro dei canonici in S. Maria delle Vigne

Chiostro dei canonici in S. Maria delle Vigne – XII sec.

La chiesa è in realtà una Basilica perché in origine si trovava fuori città, e porta sull’architrave la scritta «UNA EX SEPTEM ECCLESIIS» cioè una di quelle chiese che godevano dell’indulgenza plenaria.
Lasciando perdere una descrizione che si può trovare ovunque, o con le guide della Associazione Luoghi d’Arte, vale tuttavia accennare ad alcune sue peculiarità.

Intanto il grande specchio che per alcuni anni aveva permesso di ammirare, senza torcicollo, le volte affrescate. Oggi il grande specchio al centro della navata è stato rimosso e sostituito da uno più piccolo posto lateralmente. Funzionale, ma non altrettanto suggestivo.S. Maria delle Vigne Navata

 

 

 

I lati delle due navate ospitano varie Cappelle, per la maggior parte dedicate alle corporazioni che operavano in zona: quella degli Orefici, quella dei Corrieri, quella dei Greci.

I Corrieri avevano stabilito in zona (in vico dei Corrieri) la loro corporazione nel XV secolo per tutelare i propri affari e la propria sicurezza, dopo l’ultimo ‘assalto alla diligenza’ da parte di briganti sul Passo del Bracco (peraltro infestato dai briganti fino alla costruzione dell’autostrada: vi fu infatti assaltato anche Sandro Pertini il futuro presidente della Repubblica, nell’immediato dopoguerra). I Corrieri, o ‘maestri di posta’ costituivano gli efficienti servizi postali dell’epoca, in particolare con Milano che raggiungevano in 12 ore, ma anche con Trebisonda e le colonie genovesi in Crimea.

Quanto ai Greci, qui risiedeva la comunità di lingua greca fino al 1810, come ricorda l’attigua piazzetta dei Greci.
I Greci (o Levantini) erano in ottimi rapporti con i genovesi, a seguito del Trattato di Ninfeo, la convenzione firmata nel 1261 da Genova, guidata dal primo capitano del popolo
Guglielmo Boccanegra e l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo. Come racconta Wikipedia, “il trattato prevedeva l’appoggio genovese nella ripresa di Costantinopoli agli imperatori latini con una flotta ormeggiata nel porto della capitale bizantina, onde evitare incursioni veneziane dal mare, e il successivo impegno da parte genovese di provvedere alla difesa marittima del ricostituito impero. Da parte del Paleologo vi era l’impegno a scacciare i nemici dei genovesi dal proprio territorio, di concedere loro ogni privilegio commerciale e il controllo marittimo degli stretti per il Mar Nero. L’impero bizantino rimase così, fino alla sua caduta nel 1453, appannaggio dei Genovesi che ne controllarono per circa due secoli le sorti”.

Cappella degli Orefici

Lastra tombale in marmo nella Cappella degli Orefici i quali avevano il loro quartiere non distante, in quella che è oggi l’omonima via

Nella cappella a sinistra dell’altare maggiore, possiamo ammirare la Crux Magna. È una enorme croce in legno, rara opera toscana del XIII secolo, dalle mille avventure. Restò poco in questa chiesa e fu collocata, durante i lavori di rifacimento nel ‘600, nella chiesa di S. Agostino (che curiosamente ha un campanile nello stesso stile di quello delle Vigne). Da qui nel 1942 fu trasferita a Voltaggio ‘per proteggerla dai bombardamenti’ . Dopo la guerra tornò a Genova, a Palazzo Bianco. Fece finalmente ritorno a casa nel 2019. La posizione attuale è solo provvisoria in quanto sarà spostata sull’altro lato (che ospita la bellissima tavola lignea La Madonna col Bambino di Taddeo di Bartolo, XIV secolo) dove sono in corso (inizio 2020) lavori di restauro per alloggiarla. Ed è bene, perché al momento la Crux Magna nasconde due grandi statue lignee attribuite al Maragliano, il grande scultore genovese barocco (Genova,1664-1739).

Recentissima (1999) è la statua di una Madonna col Bambino di Mario Nebiolo, scolpita in pietra di Finale, un bel calcare fossilifero rosa. Anche se non fa ufficialmente parte degli arredi della chiesa, è opera che merita di essere osservata. Nebiolo è uno scultore definito ‘acrobatico’ per il fatto di operare soprattutto sulle pareti di cave abbandonate (soprattutto nel finalese, ma anche su un muraglione di via Dino Col a Genova), in stile Mount Rushmore. Due sculture contemporanee di Mario Nebiolo raffiguranti rispettivamente la “Raccoglitrice di olive” e lo “Zappatore” si trovano nel Museo Etnografico della Val Varatella a Toirano (SV).

Nella foto in apertura: Chiostro dei Canonici. S. Giorgio in lotta col drago. Questo altorilievo del XIV sec. è ritenuto il più antico rimasto in Genova e diede il via ai tanti bassorilievi (in ardesia e non in marmo) presenti sui portali di moltissimi palazzi medievali.