Come i nostri lettori piú attenti possono aver notato, da tempo siamo sensibili a quei problemi che pochi considerano. La sicurezza e sostenibilità degli inchiostri che usiamo in stampa.

Ne abbiamo parlato con diversi produttori ed esperti. Questa volta ci rivolgiamo a Franco Lo Giudice, titolare di Quasar di Torino, che produce inchiostri per serigrafia e, da alcuni anni anche per stampa digitale inkjet.
Conosciamo Lo Giudice da qualche decennio e sappiamo che è chiamato da aziende e istituzioni per la sua profonda conoscenza della chimica degli inchiostri e per la sua meticolosa attenzione alle conseguenze.

Prendiamo, ad esempio un pennarello in mano a un bambino. Certamente lo mette in bocca. Che sia stampato in tampografia e serigrafia, cosa gli rimane in bocca? Analogo discorso le facemmo con un altro esperto produttore di inchiostri, relativo agli indumenti che indossiamo a contatto con la pelle. Che effetto fanno? Oggi la stampa digitale è presente sia nella stampa dell’abbigliamento, sia nella cosiddetta stampa industriale su bicchieri, tazze, penne e vari prodotti di uso quotidiano.

Franco Lo Giudice Quasar

Franco Lo Giudice Quasar

Chiediamo quindi a Franco di parlarci della sostenibilità degli inchiostri digitali.

«Sai che fabbrichiamo inchiostri da stampa sia nel modo serigrafico che digitale. Ho trasmesso la mia passione ai miei figli – Lorenzo ingegnere chimico che troviamo in laboratorio e Chiara che cura la gestione di questa azienda familiare – e della cosa ne sono molto fiero.
«Quando abbiamo iniziato a studiare questo tipo di miscele abbiamo chiesto lumi un po’ dappertutto. Dopo mesi di ricerca siamo stati contattati da una grande multinazionale, che ci ha offerto collaborazione. Premetto che abbiamo iniziato a studiare solo inchiostri a base solvente e UV. Con stupore abbiamo constatato che nessuno di questi inchiostri veniva prodotto in Europa

Può sembrare strano, ma i più grandi produttori al mondo hanno sede in Sud Corea e fanno inchiostri per tante marche sul mercato. Fin qui nulla da eccepire.

«Però quando abbiamo fatto le prime indagini chimiche mirate – prosegue Lo Giudice – abbiamo verificato che i componenti di questi prodotti erano molto problematici. Componenti aromatici pericolosi (benzenici), composti e derivati dal pirrolo, formaldeide, formammide, tutti prodotti altamente pericolosi, teratogeni, mutagenici e anche cancerogeni

Ci chiediamo come questo sia possibile, ma del resto in molti Paesi estremo orientali, non sono in vigore leggi restrittive per questi prodotti e le composizioni di questi prodotti sono quasi sempre molto pericolose.
Ma le schede di sicurezza? Le certificazioni?
«Siamo riusciti a venire in possesso solo di alcune schede di sicurezza ma non tutte, perché non sono disponibili» ci dice Lo Giudice.

Regolamento Reach

A questo punto il nostro interlocutore fa una digressione sul Regolamento Reach 18 dicembre 2006. Questo regolamento, con le sue decine di aggiornamenti, è un sistema adottato da tutti i Paesi Europei, che prevede la registrazione di tutti i prodotti chimici, intesi come prodotti primari. Attraverso una serie di test, prove, analisi e risultanze tossicologiche dedicate alla riduzione dei pericoli derivanti dall’uso indiscriminato di sostanze poco conosciute. In tanti anni di vita il Reach ha permesso di registrare parecchie migliaia di sostanze, indicando con discreta precisione la reale pericolosità. Per i prodotti più pericolosi è stata redatta la Candidate List che contiene moltissimi componenti dei prodotti descritti prima.
Secondo il Regolamento Reach, nessuno potrebbe importare in Europa prodotti provenienti dall’estero senza prima registrare le varie materie prime. Anche se sono state già registrate in Europa. Si tratta di analizzare queste sostanze e di procedere alla loro registrazione, spendendo molte centinaia di migliaia di euro.

«In questo modo si è generato un mercato dei furbi, che importano in Europa miscele già pronte senza alcuna registrazione. Inutile dire che nessuno si preoccupa più di tanto. In pratica nessuno controlla nulla ma, peggio, nessuno conosce nulla

Ma in Italia esiste dal 2008 la legge 81 sulla sicurezza. Questa prevede la responsabilità oggettiva del Datore di Lavoro in azienda. Cosa significa?

«Ecco il punto. La terza considerazione riguarda la sicurezza nell’uso di questi prodotti in azienda.  In caso di problemi di salute ai lavoratori, di conclamato inquinamento da prodotti tossici, di insorgenza di malattie o peggio, non sarà processato l’importatore del prodotto, ma il povero datore di lavoro che, utilizzando un prodotto a lui sconosciuto, incorrerà non solo in pesanti sanzioni, ma anche penalmente

Contatto con alimenti

Passiamo al dibattuto tema degli inchiostri con contatto alimentare.
«Anche in questo caso non si va a leggere le norme, ma ciò che si sente dire dall’amico, dal venditore, trascurando ciò che è obbligatorio per legge.  Le più importanti normative relative al contatto alimentare non trattano solo di migrazione, ma di vero e proprio trasferimento di sostanze. Gli stessi regolamenti Europei non sono univoci. La Svizzera, ad esempio, aderisce a una linea molto meno restrittiva di quella italiana.»

Normative alimentari

Uso dei coloranti per contatto con gli alimenti, norma Europea

REGOLAMENTO (UE) N. 10/2011 DELLA COMMISSIONE del 14 gennaio 2011 riguardante i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari
REGOLAMENTO (CE) N. 1935/2004 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE.
Progetto CAST (Contatto Alimentare Sicurezza e Tecnologia) Linee guida per l’applicazione del Regolamento 2023/2006/CE alla filiera dei materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti anno 2009.

Le norme sopra riportate sono solo una parte, ma le più significative.
Per sintetizzare, tutte queste norme dissuadono dall’utilizzare inchiostri che contengano elementi in qualche modo irritanti o nocivi. Men che meno qualunque inchiostro UV (attenzione tutti) che, dagli ultimi accertamenti Reach, viene classificato come corrosivo, inquinante e nocivo.

Certificazioni o analisi?

«Vorrei ancora solo dire che esiste una certa differenza tra la certificazione e l’analisi. Sai che produciamo inchiostri per il mondo del bambino, che tecnicamente in Europa si chiama EN71. Quando esportiamo in nord Europa, ma anche Canada e addirittura Algeria, non ci chiedono più la certificazione ma l’analisi, per essere precisi 19 analisi specifiche.»
«Quando si fa riferimento alla certificazione occorre fare riferimento a una valutazione privata di certe specifiche che però non hanno valore legale.
«Per esempio l’istituto del giocattolo di Como non fa certificazioni, ma rilascia certificati di analisi. Sembra la stessa cosa ma è molto diversa.  C’è un modo di bypassare le analisi e le certificazioni: farsi rilasciare le dichiarazioni firmate di esenzione da taluni componenti.  A oggi non mi ricordo nessuno che l’abbia mai rilasciata.»

E Franco Lo Giudice conclude con un fatto significativo: «Sono stato tempo fa invitato a una conferenza sulla sicurezza degli inchiostri digitali in azienda. Ho detto le cose che penso ancora. Non mi hanno più invitato