Il colore esce dalle tenebre e inverte la rotta. Purtroppo solo simbolicamente, attraverso la sua arte, Shamsia Hassani, artista afghana, è una voce nel buio che si oppone all’oppressione delle donne afghane nella loro società.

di Wilma Coero Borga

Nella fotografia di Shamsia Hassani emerge quel piccolo, ridottissimo spazio di cromia che è il colore che inverte il senso di marcia, liberandosi del buio con cui il burqa avvolge e spegne ogni libertà. Per distinguersi, uscire dalla massa, perché non accetta di uniformarsi alla paura comune e alla rassegnazione ed esprime molto più delle parole che non riescono più a uscire, in quanto la realtà ha superato di molto la fantasia. Il colore rosso che è il simbolo, ormai, di chi perde la vita per la libertà, in oriente come in occidente, in Afghanistan come in Europa.

La mentalità afghana ha continuato, nonostante le deboli aperture, a fasi alterne, negli anni passati, a considerare le donne quasi come oggetti, costringendole a rimanere in casa e svolgere le mansioni di casalinga. La violenza contro le donne in tutto il paese è rimasta molto alta, nonostante gli interventi della comunità internazionale.

Dopo il ritorno del regime dei talebani dal 2021 a oggi alle donne non vengono riconosciuti i diritti fondamentali e devono fronteggiare ancora più ostacoli di quanti non ne avessero prima, come spostarsi da sole oltre un raggio di 72 km, vestirsi come vogliono, frequentare liberamente la scuola in tutto il territorio afghano, esercitare la propria professione e lavorare. In Afghanistan non è permesso studiare e andare alle scuole superiori. Alle donne è vietato lavorare fuori casa, salvo poche eccezioni. Non ci sono donne al governo, non esiste un dicastero dedicato alle problematiche femminili.

Il 7 maggio 2022 il governo talebano ha firmato una direttiva che obbliga di nuovo le donne a indossare il burqa e viene loro vietato di entrare nelle università con un hijab, il velo colorato, al massimo è concesso il nero e alle donne giornaliste è imposto di coprire il volto.

Ma, è anche vero, che ci sono alcune rappresentanti del gentil sesso tra loro, che sono favorevoli alle imposizioni del governo talebano e condannano le libertà della donna in America che le mercifica e mostra troppa apertura e libertà.
A questi esemplari, forse, è stato fatto il lavaggio del cervello o si sono autoconvinte che meglio non potrebbero stare, affette dalla sindrome del prigioniero (detta anche Sindrome di Stoccolma).

In occidente siamo consapevoli che il maschilismo e la misoginia sono dannose al mondo femminile [e non solo, aggiungerei – ndr] e ne limitano i movimenti. La gratificazione personale fatica ad arrivare ed è una continua lotta per dimostrare all’uomo di essere all’altezza di compiti che erano in passato prettamente maschili e per mantenere il proprio diritto di realizzarsi nel lavoro, pur creando una famiglia. Ma nessuno ci vieta di studiare o di vestire come più ci piace. Salvo qualche maschio un po’ arretrato, con un retaggio mentale antiquato che, a volte, sfoga le frustrazioni o i complessi di inferiorità con la violenza nelle sue diverse forme, fino a giungere al femminicidio che è sempre alla ribalta delle cronache.

Ma immaginiamo che cosa succederebbe nel nostro mondo se qualcuno ci negasse in modo completo la libertà, considerandoci una “cosa” che è utile a soddisfare l’uomo, mettere al mondo figli e occuparsi delle mansioni primarie della casa come rassettare, cucinare, pulire, e via dicendo. Come ci sentiremmo a non essere considerate persone degne di rispetto e considerazione?

Quanto coraggio ci vuole per ribellarsi a un regime simile? Eppure le donne afghane [e nel vicino Iran – ndr] ne hanno molto per scendere in piazza, continuare a svolgere il proprio lavoro, informare il mondo sulla loro condizione e studiare, sfidando un governo maschilista e dittatore.

Quando i telegiornali ci mostrano immagini agghiaccianti e in contrasto con la modernità occidentale, si rimane esterrefatti, come se non si trattasse di notizie reali, ma di immagini cinematografiche che ingigantiscono la realtà. Il cervello non lo accetta, così come qualcuno nega, farneticando, che siano esistiti l’antisemitismo barbarico di Hitler e i campi di sterminio.

L’arte, nelle sue molteplici forme, è espressione del momento storico che ispira chi dipinge, compone, scrive e fotografa.

Della stessa autrice, suggeriamo il romanzo breve “La più autentica soddisfazione” sulle problematiche delle donne nel lavoro professionale.

Shamsa Hassani

La fotografia dell’artista afghana Shamsia Hassani che ha fatto il giro del mondo