Meno note dei più famosi Arlecchino e Pulcinella, le maschere genovesi hanno tutte una loro storia piuttosto interessante. Ed esistono ex libris dedicati a queste maschere di Carnevale.
Molti collezionisti e artisti hanno realizzato ex libris ispirati alle maschere tradizionali della Commedia dell’Arte, come Arlecchino, Pulcinella e Pantalone, oppure a maschere tipiche di vari carnevali storici. Alcuni ex libris presentano raffinate incisioni con figure mascherate, spesso accompagnate da elementi simbolici o decorativi legati alla festa, come coriandoli, stelle filanti e costumi elaborati.
Anche le, forse meno note, maschere genovesi della Commedia dell’Arte, come Capitan Spaventa e Baciccia, sono state rappresentate in vari ambiti artistici, inclusi gli ex libris. Alcuni collezionisti hanno commissionato ex libris con l’immagine di Capitan Spaventa, caratterizzato dal suo tipico aspetto baldanzoso e armatura elaborata. Allo stesso modo, Baciccia, noto personaggio genovese, è stato talvolta rappresentato in ex libris, evidenziando la sua connessione con la cultura ligure.
Può sembrare strano, ma anticamente il carnevale genovese era più chiassoso e anche più irriverente di quello veneziano. Dei festeggiamenti carnevaleschi si ha notizia già intorno al 1200 come risulta in un documento della Repubblica che autorizzava i debitori a sospendere il pagamento per tutto il carnevale affinché, grazie a queste dilazioni potessero passare più allegramente queste festività.

Francesco Sciaccaluga, Baciccia della Radiccia, ex Libris Marco F. Picasso, puntasecca, 2025, mm 160×118
Il Carnevale genovese
Per le strade e le piazze della città si danzava ai ritmi della “Rionda” con relativa filastrocca, e anche la ballata “la danza del bastone”, ma quest’ultima doveva essere qualcosa di decisamente piccante e fu proibita dagli inquisitori che la attribuivano solo a “homini immorali e bagasce”.
Alla fine del ‘500 nacquero i primi sontuosi cortei, i cosiddetti “Carrossèzzi” che attraversavano la città, ed esistono ancora oggi.
Ma passiamo alle maschere tradizionali che a Genova sono essenzialmente due. Anche se alcuni studiosi ne contano parecchie, e sono quelle create dal teatro comico e anche dei burattini e delle marionette. Fino alla più recente nota a tutti, piuttosto mascotte che maschera: il Gabibbo creato nel 1989 da Antonio Ricci in contrapposizione ai commentatori in voga nei tardi anni ‘80. Il nome viene dal termine inventato a metà ‘800 dai marinai dell’armatore genovese Raffaele Rubattino in Eritrea che così chiamavano gli scaricatori del porto della baia di Assab, dal termine arabo khabìb che significa burlone ed è anche un nome proprio molto all’epoca diffuso a Massaua, che significa Amato. Secondo un’altra versione, già nel ‘500 i genovesi conoscevano il nome ‘gabibi’ sempre in Africa. I gabibi erano, appunto, maschere che i pescatori usavano per spaventare i contadini per rubare i loro prodotti. Come sappiamo, oggi ‘gabibbo’ equivale al ‘terrun’ milanese, ma in senso bonario e non spregiativo.
Capitan Spaventa

Capitan Spaventa o Capitan Fracassa
Ma le vere maschere di carnevale sono due: Capitan Spaventa (detto anche Capitan Fracassa) e Baciccia della Radiccia. Entrambe di derivazione teatrale; la prima viene creata nell’ambito della commedia dell’arte, la seconda dai burattini.
Capitan Spaventa di Vall’Inferna fu creato dal capocomico Francesco Andreini tra il ‘500 e il ‘600, per la Compagnia dei Gelosi. È la maschera di un soldato sognatore, colto e raffinato, che ci sa fare più con le parole che con la spada, vantando avventure mai compiute. Una specie di Don Chisciotte ma forse venuto prima o contemporaneo visto che quello di Cervantes è del 1615. Ha baffi molto lunghi e un grande naso, si veste con una livrea a strisce colorate gialle e arancio, o giallo e rosso, o anche crema-rosso scuro, completato da una gorgiera candida e un cappello ad ampie tese adorno di piume. Porta una spada dall’elaborata elsa barocca.
Proprio per questa somiglianza con il Don Chisciotte spagnolo, riproponiamo qui uno degli ex libris dell’artista genovese Liliana Bastia, più volte incontrati nelle sue esposizioni.

Don Chisciotte – ex libris di Liliana Bastia
Capitan Spaventa si presenta sul palcoscenico con queste parole: “Io sono il Capitano Spavento da Valle Inferna, soprannominato il Diabolico, Principe dell’ordine equestre, Termigisto cioè grandissimo bravatore, grandissimo feritore e grandissimo uccisore, domatore e dominator dell’universo, figlio del Terremoto e della Saetta, parente della Morte, e amico strettissimo del gran Diavolo dell’Inferno”.
La maschera ebbe molto successo in Italia e in Francia con le compagnie teatrali che giravano l’Europa a cavallo tra Cinque e Seicento.
A metà del ‘600 questa maschera fu rinverdita dal nobile diplomatico e letterato Anton Giulio Brignole Sale che così descriveva nel “Carnovale”, “Italia ha pochi luoghi dove il Carnevale si festeggi siccome in Genova…”: e certo si riferiva anche all’attività dell’Accademia degli Addormentati nella quale lui e altri nobili si riunivano per ideare eventi magnifici per festeggiare appunto il Carnevale.
Eventi spettacolari che animavano il “quartiere nobiliare” di Strada Nuova (oggi via Garibaldi ritenuta la strada più bella del mondo) eventi autocelebrativi dei nobili al governo della Repubblica di Genova.
Nella “Invenzione” di un altro letterato genovese, Giulio Pallavicino, con l’intento di scriver tutte le cose accadute “alli tempi suoi” (1583/1589), l’Autore descrisse alcuni di quegli splendidi Carnevali dell’età barocca.
La maschera fu “codificata” nel 1864 nell’Almanacco delle Maschere Italiane di Sonzogno, ripresa dalla descrizione di qualche anno prima Maurice Sand, nel suo Masque et Bouffons de la Comedie Italienne.
Baciccia
L’altra maschera, più popolare, è Baciccia della Radiccia e proviene dal teatro dei burattini. Nasce, alla fine del XIX secolo, da un’idea dell’attore teatrale e marionettista Raffaele Pallavicini, anche se poi gran parte del suo successo lo deve al burattinaio Mario Magonio.
La maschera tradizionale di Baciccia (il nome viene da Giovanni Battista il patrono di Genova) rappresenta il classico popolano genovese, povero, allegro ma mugugnone. Nato inizialmente come Baciccia Casagrande viene rinominato “della Radiccia” da Magonio per dargli in maniera scherzosa un titolo nobiliare (in genovese radiccia indica la cicoria). Affiancato nell’affrontare le sue avventure dall’amico Barudda, contadinotto balbuziente e sempliciotto ma dal buon cuore, finisce sempre per essere punito per il ritardo nel rientrare a casa dalla moglie Texinin.
O Baccicin lascime stà
O Baccicin nu me anguscià
O Baccicin vattêne a cà
Teu muë a t’aspëta.
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