Parafrasando il titolo del celebre romanzo di Robert Musil mi permetto alcune considerazioni sul complesso e non sempre trasparente mondo dell’editoria libraria.
Vorrei proporre un dibattito a queste mie considerazioni a commento sull’editoria di oggi, per il quale prendo spunto da questo brano tratto da L’uomo senza qualità di Robert Musil:
“Il suo editore smette di dire che un commerciante che diventa editore è un tragico idealista, perché potrebbe avere ben altri guadagni vendendo stoffa o carta non stampata. La critica scopre in lui un oggetto degno della propria attenzione, infatti molto spesso i critici non sono gente cattiva, ma a causa di circostanze sfavorevoli sono lirici mancati che devono appendere il loro cuore a qualcosa per potersi esprimere, sono lirici di guerra o d’amore, a seconda del vantaggio interiore che vogliono ricavare, ed è comprensibile che a tale scopo preferiscano il libro di uno scrittore all’ingrosso, piuttosto che quello di uno scrittore qualunque.”
L’editoria di oggi sembra aver preso Musil molto sul serio ‒ o forse troppo poco.
Da un lato, l’editore moderno non è più il ‘tragico idealista’ che avrebbe potuto fare fortuna vendendo carta non stampata; oggi, l’industria libraria è spesso gestita da conglomerati che avrebbero più piacere a vendere direttamente carta igienica, purché garantisca margini migliori. Dall’altro lato, i critici ‒ i “lirici mancati” di Musil ‒ sono ormai una specie in via d’estinzione, sostituiti da algoritmi, recensioni a cinque stelle su Amazon e influencer letterari che giudicano un libro più dal colore della copertina che dal contenuto. O dal nome, vero o fittizio che sia, dell’autore, meglio se un politico che il libro lo ha fatto scrivere a un ghost writer.
Nel nostro tempo, lo “scrittore all’ingrosso” di cui parla Musil potrebbe essere l’autore seriale di bestseller prefabbricati, magari assistito dall’intelligenza artificiale, mentre lo “scrittore qualunque” finisce sommerso dal rumore digitale. L’editoria si trova quindi in bilico tra il culto della quantità (mille nuove uscite a settimana) e l’illusione della qualità (dove l’originalità è una colpa e il rischio un lusso). E l’editoria indipendente? Si difende come può, purché sia “editoria” e non “stamperia”.
Se Musil scrivesse oggi, probabilmente ambienterebbe L’uomo senza qualità in una casa editrice: al posto di Ulrich, un editor oberato dal marketing, costretto a trasformare ogni manoscritto in un “prodotto editoriale” con un target ben definito. E, chissà, magari il suo alter ego sarebbe un astrofisico e un gesuita in vena di dialoghi cosmico-ironici… (ma questa è un’altra storia).
L’immagine in alto tratta da un’idea e relativa installazione di Camillo Cuneo
L’avvento della stampa digitale ha fornito e fornisce molte opportunità di pubblicare che prima non c’erano. In buona sostanza il 90% di chi pubblica oggi (e fa bene), prima non avrebbe pubblicato.
Ma dove c’è business ecco che crescono gli opportunisti.
Una miriade di editori lavorano esclusivamente sulle copie acquistate dall’autore.
E la domanda sbagliata è quella che porta al confronto di editori a pagamento e non. Orbene gli editori sono TUTTI a pagamento perchè è il loro mestiere. La vera differenza è la qualità della promozione. Ove si sviluppa la promozione, che ha un costo, riprende vigore anche il filtro a ciò che si pubblica (finchè l’editore guadagna sulle copie acquistate dal cliente si stampa tutto).
Vi è poi una responsabilità per gli autori che troppo spesso trattano con sarcasmo gli altri che vivono la loro stessa passione. Li apostrofano “emergenti” svilendo il lavoro degli altri quasi che tarpando le ali agli altri si prendesse visibilità. Nessuno è così umile da pensare che il 90% delle vendite riguardano amici e parenti, cioè persone che diversamente non avrebbero acquistato altri libri.
In buona sintesi umiltà, sensibilità e rispetto per la passione
In un articolo, che si può porre in parallelo a questo e lo completa, si leggono il disappunto e le lamentazioni di un editore indipendente nei confronti dell’editoria attuale, in cui i grandi editori oscurano i medio-piccoli e si prendono quasi tutto il mercato delle vendite grazie agli accordi con le librerie, come Feltrinelli, che chiedono una percentuale sempre più alta del prezzo di copertina che erode quindi i guadagni esigui della media-piccola editoria. Ma questo avviene in tutti i settori. Anche i grandi magazzini mettono in ginocchio i negozi di prossimità, ma la qualità che propone il negozio in termini di competenza e offerta dei prodotti è differente e migliore in molti casi rispetto ai primi. E ci sarà sempre il cliente che preferirà la nicchia alla grande distribuzione. Quale fetta di mercato vogliamo ritagliarci? Questa è la domanda. E come desideriamo impegnarci per attrarre i nostri clienti? Questo è il secondo quesito. Aggiungo che la differenza la fa la professionalità. Quanto si è preparati nel mestiere che si decide di intraprendere?
L’editore deve sapere fare l’editore, non può improvvisarsi. E per sapere fare l’editore, dovrebbe conoscere le regole di impaginazione e tipografiche, saper eseguire un buon editing, sapere come si stampa e chi stampa in modo professionale (e non chi possiede una macchina di ultima generazione ma la usa male), quali sono i tipi di carta e come reagisce la carta alla stampa a seconda dell’inchiostro che si utilizza. Questo è necessario per cominciare, fondamentale. Se si pensa di poter esercitare una professione, è d’obbligo conoscere tutto di quella professione. È logico che più ci si avvale di collaboratori (grafici, impaginatori, editor, e via dicendo) più si erode una parte di guadagno. In ultima analisi, i tempi cambiano e se l’editoria sta cambiando anche l’editore deve cambiare con lei, altrimenti tanto varrebbe per uno scrittore rivolgersi ad Amazon. Inoltre bisognerebbe impegnarsi di più nella promozione dei libri con presentazioni e fiere per i propri autori e per se stessi, in alcuni casi, aiutando gli stessi autori ad autopromuoversi in modo efficace e ad essere presenti quando l’autore organizza un evento di un certo interesse; seguirli, farli crescere insieme alla casa editrice.
Conosco una piccola casa editrice, in campo da quasi una decina d’anni, che partecipa a tutte le fiere, segue gli autori, li tiene al corrente di ogni iniziativa che organizza, e non si lamenta. Ha un ritorno soddisfacente, visto che i suoi autori la seguono e partecipano volentieri alle fiere e agli incontri virtuali sul suo canale. Non credo che sia una pazza o una martire che si ostina a stare sul campo in perdita secca. Quindi, cari editori o futuri tali, se volete occuparvi davvero di questo settore, è richiesta come in ogni campo: professionalità-competenza, dedizione, passione, fantasia e determinazione e un po’ di sana follia. E se ambite ad arricchirvi pubblicando libri da dietro una scrivania, allora questo lavoro non fa per voi. Ci si potrebbe anche arrivare ma occorre impegno e dedizione, come in ogni lavoro imprenditoriale.