Nell’intricato mondo dell’editoria libraria ogni nuovo autore si destreggia come può per emergere e farsi notare dai lettori.

La nostra rassegna degli autori oggi ospita uno scrittore-blogger: Michele Larotonda. Conosciamolo meglio e facciamoci raccontare che cosa lo ha spinto a iniziare a scrivere e a diventare blogger. Michele ha accennato a una scintilla. Indaghiamo quindi partendo da questa.

Michele, di recente sei stato al SalTo23 presso lo stand di PAV Edizioni, come autore di due romanzi. Parlaci di te e della tua scintilla.

– Ciao, intanto grazie per ospitarmi sulle vostre pagine. Sono nato a Potenza nel 1977, ma sono cresciuto e vissuto sempre a Milano. La passione per la scrittura nasce già dalle scuole elementari dove, appena appreso e capito il meccanismo della scrittura, ho iniziato a scrivere brevissime poesie. Ovviamente erano scritti di un bambino, niente di impegnativo e niente che potesse far presagire un futuro fatto di parole. Poi di passioni ne ho avute tante: musica, cinema, radio, fotografia e in ognuna di queste attività, il mio ruolo era quello di scrivere. Nella band dove ho suonato per anni, ero l’autore dei testi. Ho scritto sceneggiature per cortometraggi che ho anche diretto e che hanno avuto visibilità in rassegne specializzate a Milano, Varese e Roma. Per un anno ho scritto e condotto un programma radio per un’emittente di Bergamo. Infine ho lavorato nel campo della fotografia e, come ben sai, fotografare è scrivere con la luce. In realtà, in tutti questi anni, il mio sogno era quello di scrivere un romanzo e quando è nato mio figlio, ho sentito quella scintilla che mi ha portato a pubblicare il primo (“Il Sognoscuro” Link Edizioni). Doveva essere solo un “gioco”. Oggi dopo cinque anni mi trovo ad averne pubblicati altri due (“Da un’altra parte” e “Tutto quello che non ti ho detto”) con PAV Edizioni.

Ami leggere?

– Sono stato un lettore molto tardivo. Tutta la mia adolescenza è stata caratterizzata da un’idiosincrasia verso ogni tipo di lettura. Quella che consigliavano e obbligavano a scuola, quella consigliata da mia madre che era un’insegnante. Insomma, un rifiuto a prescindere. Se a scuola ci facevano leggere un romanzo, la prima cosa che facevo era indagare se esistesse una versione cinematografica. Guardare il film era sempre meglio che leggere e a volte mi è andata bene, altre male. Poi a diciannove anni è cambiato tutto. Un caro amico di famiglia venne a cena e mi regalò Il Profumo di Suskind, chiedendomi come favore personale di leggerlo. Mi sono ritrovato a leggere la prima pagina e non ho più smesso, finendolo in brevissimo tempo. “Illuminato sulla strada per Damasco” sono diventato un lettore compulsivo. Leggevo di tutto, di qualunque genere, di qualsiasi autore. Ho recuperato gli autori storici e passavo a quelli contemporanei con estrema semplicità. Quando poi mi sono ritrovato a leggere Dino Buzzati è stata una folgorazione che è diventata una passione al limite dell’ossessione.

L’amico di famiglia è stato un Caronte che ti ha traghettato verso la lettura, ma quali sono i tuoi generi preferiti?

– Amo leggere di tutto, non mi pongo dei limiti. Forse il fantasy, il thriller, il giallo sono generi poco consoni per quello che sono. Ultimamente ho letto Tre Piani di Eshkol Nevo, La Canzone Popolare di Nicolas Mathieu e ora sto leggendo l’ultimo di Paolo Giordano, Tasmania, tre romanzi completamente diversi, per stile, per linguaggio e per ambientazione. Comunque dipende molto dal momento, ti posso dire che tra i prossimi ci sono Il Grembo Paterno di Chiara Gamberale, Parole Nascoste di Arianna Montanari e poi ho comprato un romanzo di Nicholas Sparks, un autore che non ho mai letto ma che mi incuriosisce molto.

Al Salone del Libro di Torino ti sarai sentito come un bambino in un negozio di giocattoli, circondato da tante tentazioni e sicuramente avrai anche tratto degli stimoli, o chiamiamoli suggerimenti, per la tua attività di blogger. Quindi mi sorge una curiosità: sei prima autore o blogger? Quale identità è nata prima?

– Sicuramente sono, prima di tutto, un autore. Il mondo dei blog è arrivato dopo, nel senso che sicuramente la realtà dei social, del digital è una parte che mi ha sempre affascinato anche perché purtroppo, ad esempio, il giornalismo cartaceo sta vivendo un periodo di crisi senza precedenti. Le edicole stanno chiudendo. Il lettore ha bisogno di rapidità, non ha più voglia e/o tempo di andare a comprarsi un quotidiano e leggere quello che succede nel mondo. Ed è un peccato, ma questa è la realtà. Quando ho iniziato a scrivere, o meglio a capire che questa era la strada che volevo percorrere, ho cercato di allargare gli spazi dove poter scrivere e in questi anni ho collaborato con diverse testate giornalistiche scrivendo articoli di letteratura, musica, e attualità, ma a un certo punto ho sentito la necessità di realizzare qualcosa di diverso e completamente mio.
È nato il Barnabò, un blog pop come amo definirlo. Sentivo che in questo campo c’erano delle voci inespresse e quindi ho iniziato a parlarne in giro, “reclutando” non i soliti giornalisti, ma solo scrittori, autori, personalità diverse tra di loro, ma accumunate da una sola cosa: l’amore per la scrittura. Esistiamo da un anno, abbiamo pubblicato più di trecento articoli parlando di tutto, esprimendo il nostro punto di vista, senza mai dare un giudizio. Abbiamo raggiunto traguardi che hanno stupito anche noi stessi. Da semplice blog è diventato sempre più accattivante e più connesso con la realtà digitale d’informazione, che va molto di moda oggi. Abbiamo una newsletter bisettimanale con numerosi iscritti. Abbiamo il mensile (Fiction) dedicato al mondo del racconto. L’anno scorso abbiamo partecipato a Edita, la fiera dell’editoria indipendente a Milano, riscontrando un enorme interesse per la nostra proposta. Ora stiamo lavorando a diverse novità che spero piacciano ai nostri lettori.

Andiamo per ordine e approfondiamo la tua prima anima. Che cosa ti suscita la scrittura, perché scrivi?

– Questa è una domanda difficile. Sicuramente perché ne sento il bisogno, forse perché è la cosa che so fare meglio. Una cosa è certa, quando scrivo, o meglio quando accendo il computer è come ritrovare cari amici con i quali trascorrere del tempo e raccontarci un po’ delle nostre vite. Ti dico questo perché i miei romanzi non nascono da uno studio, da una preparazione, sono storie che nascono di pancia e spesso è capitato che, a parte l’inizio, non sapevo proprio come sarebbe finita la storia. Mentre scrivo sono gli stessi personaggi che mi raccontano la storia e che mi accompagnano, pagina dopo pagina, alla fine.

Ciò che scrivi vive con te, anzi strada facendo assume vita propria. I tuoi romanzi quale tema affrontano? Come nasce l’idea?

– Cerco sempre di scrivere storie diverse, non mi piace adagiarmi nella mia zona di confort. Poi sicuramente i miei tre romanzi hanno in comune tematiche dove i protagonisti cercano sempre di dare una svolta alla loro vita, chi con la musica, chi fuggendo, chi innamorandosi. Inoltre, i tre romanzi sono rispettivamente un’analisi sulle fasi più importanti della vita: l’adolescenza, la giovinezza e l’età matura, quasi come se fosse una trilogia. Probabilmente nel prossimo cambierò totalmente le carte in tavola.

Ogni autore sa che, soprattutto oggi, la fatica non termina con la stesura del testo, ma continua con la promozione. I non famosi devono sgomitare tra la folla di scrittori e in mezzo a un volume di pubblicazioni sempre in aumento. Che cosa fai per promuovere i tuoi libri e come valuti il lavoro svolto dalla C.E. che ti ha pubblicato?

– Con la PAV Edizioni, questo è il secondo romanzo che pubblico. L’incontro con loro è stato del tutto casuale. Non ero rimasto molto soddisfatto dell’editore del primo romanzo e quando ho fatto una ricerca per il secondo, il loro nome è comparso un po’ ovunque. Ho letto diverse opinioni e tutte erano positive e quando ho spedito il manoscritto, dopo qualche mese è arrivata la risposta: positiva. Ci abbiamo lavorato qualche mese e a luglio 2020 è uscito “Da un’altra parte” che, a mio parere è stato un romanzo poco fortunato. Non parlo in termini di vendita, ma essendo uscito in piena pandemia, ha sofferto la mancanza di una promozione adeguata. Io, come tanti altri, ho dovuto promuoverlo sugli store on line, ho dovuto presentarlo principalmente con dirette che ho sempre ritenuto poco convincenti e poco utili. La PAV si è data molto fa fare, Aurora (direttrice responsabile – ndr) ha fatto numerose interviste a tutti gli autori e solo un anno dopo siamo tornati in presenza alla fiera di Fontevivo. Un’esperienza bellissima. Io credo che le presentazioni in presenza, le fiere, siano momenti importantissimi e imprescindibili per un autore e reputo la PAV un’ottima casa editrice che ha a cuore tutti gli autori che pubblica. Senza dimenticare che anche l’autore deve fare tanto per promuovere il proprio lavoro.

Bisogna diventare imprenditori di se stessi e imparare a farsi notare e a resistere senza perdere la fiducia in se stessi. Che cosa pensi, in generale, del mondo editoriale?

– Le case editrici sono un mondo affascinante, ma anche un mondo complesso. Lasciando perdere le grandi case, i grandi nomi, ho la sensazione che la media-piccola editoria, piano piano, si stia dando molto da fare per lasciare un segno in questa realtà che, ripeto, è complessa. Ho avuto un po’ il sentore che di editori ne esistono a migliaia e sceglierne uno non è una cosa così facile per un autore che si affaccia per la prima volta con il proprio manoscritto. Per questo sono nate quelle aziende editoriali che vengono comunemente chiamate “a pagamento”. Queste sfruttano la smania di pubblicazione e l’egocentrismo dell’autore per spillare denaro in cambio di una pubblicazione di qualità scadente e senza alcuna promozione. Anni fa, quando ero alla ricerca di una casa editrice, mi sono imbattuto in un editore che, dopo tante belle parole, mi ha chiesto circa duemila euro di contributo, altri mi hanno proposto la formula crowdfunding, altri ancora l’acquisto di un centinaio di copie a prescindere. Insomma, è un mondo vario, però tralasciando gli editori a pagamento, che non sono altro che tipografie camuffate, quelle NEAP sono comunque aziende che, al di là della loro serietà e passione, devono sopravvivere in un mondo altamente competitivo e vivendo questa realtà sulla mia pelle tutti i giorni, capisco e comprendo che non è certo una cosa facile.

Hai imparato a non farti imbrogliare, a individuare e scegliere l’editore non a pagamento, ma sei soddisfatto del riscontro avuto sin ora dai tuoi testi?

– Direi proprio di sì, ma credo che ci si possa sempre migliorare. Non ho mai dato una grande importanza alle vendite, sono più orientato ad ascoltare i pareri che mi arrivano di persona, via cellullare o via social. L’ultimo romanzo ha avuto numerosi riscontri positivi e tanti mi hanno detto che, leggendolo, hanno avvertito una grande maturità e uno stile che è riconoscibile all’istante. Ecco la cosa che a me fa più piacere è che dopo tre romanzi sono riuscito ad avere uno stile che è tutto mio e che non è copiato da nessuno. La vendita è una diretta conseguenza.

Fa piacere avvertire dell’ottimismo insieme alla consapevolezza che non è tutto oro ciò che luccica ed è difficile orientarsi nella direzione giusta e avere “successo”.  Vedendo tanti editori tutti insieme e tanti scrittori tra gli stand, a te, che cosa ha lasciato la partecipazione al SalTo23? Pregi, difetti, che cosa miglioreresti se potessi intervenire nell’organizzazione per gli autori e per gli editori? Quale aspetto ti è piaciuto e, invece, quale no? E se potessi rimanere tutta la settimana in fiera, come sfrutteresti le giornate a tua disposizione?

– Era la prima volta che partecipavo sia come visitatore, sia come autore. Per anni avevo desiderato visitarlo, ma poi impegni imprevisti mi hanno sempre bloccato. Quando Aurora della PAV, mi ha comunicato la partecipazione all’evento, ho colto subito l’occasione e il 20 maggio sono partito per Torino. Onestamente io di grandi difetti non ne ho visti. È stata una bella manifestazione piena di gente che condivide con te la passione per la lettura. Non avevo idea di quanti editori ci siano in Italia (davvero tanti), tenendo conto che di sicuro qualcuno mancava. Ho avuto anche l’occasione di partecipare ad alcuni incontri davvero interessanti e utili e ora che Nicola Lagioia ha lasciato la direzione, sono proprio curioso di vedere se il Salone continuerà ad essere uno degli appuntamenti più attesi dell’anno.

Ci auguriamo di sì, hanno già cercato qualche anno fa di sottrarlo a Torino e scopiazzarlo, senza riuscirci e senza riscuotere il successo sperato. Il passaggio di consegne ha già dimostrato che i contenuti restano alti e così pure l’interesse collettivo. Ma, attendiamo fiduciosi.
E ora conosciamo la tua seconda anima. Il blog Il Barnabò collabora con PAV Edizioni di Roma, mettendo in luce gli autori e al contempo l’editore. Perché un blog, che cosa racconta?

– Sì, è una collaborazione nata nel novembre dell’anno scorso. Sono stato contattato da Aurora che ha chiesto informazioni su questo progetto che al tempo aveva solo otto mesi, abbiano fatto subito una riunione e in tempi brevissimi è partita questa partnership che, a oggi, ha riscontrato molto interesse sia in termini di attenzione sia in termini di vendita. Abbiamo realizzato con PAV la rubrica “Chiacchiere con l’Autore”, uno spazio un po’ diverso dalla classica intervista e dalla classica recensione. In questo spazio è l’autore stesso che parla del proprio libro, noi forniamo solamente una traccia, contattiamo l’autore e insieme creiamo l’articolo che, alla fine, viene girato in rete e sui principali social network (Facebook, Instagram, TikTok, Pinterest, Twitter) dove siamo presenti. Perché un blog? Perché sono una grande lettore di Huffpost (il blog più influente al mondo) e ho una grande ammirazione per Arianna Huffington e non ti nego che l’ispirazione per il Barnabò è nata da qui.

Un progetto ambizioso. A chi è rivolto?

– A tutti senza distinzione alcuna.

Bisogna sempre alzare l’asticella e non porsi dei limiti, perché il primo limite è in sé stessi. Continuerai a scrivere?

– Sì perché è un’esigenza. Magari non subito, perché avendo pubblicato da poco, mi sento un po’ svuotato e come ho sempre detto bisogna vivere per poi scrivere della vita.

L’ispirazione è tutto per uno scrittore e dalla vita si traggono gli insegnamenti da imparare e da trasmettere. A volte si capisce scrivendo ciò che si vive. Come vedi il futuro del “libro”, considerando l’avvento dell’IA, gli ebook, gli audiolibri. Secondo te, il libro cartaceo esisterà sempre?

– Sul Barnabò abbiamo affrontato spesso il tema dell’intelligenza artificiale e non ti nego che la temo molto. Sono affascinato dalla tecnologia, ma credo che ogni cosa debba avere un controllo e una limitazione. Temo che la cosa possa sfuggirci di mano. Gli ebook e gli audiolibri sono stati grandi invenzioni che hanno avvicinato la lettura e hanno ingigantito il mercato. Personalmente io amo ancora il libro cartaceo, amo andare in libreria e amo l’odore che emana la carta, per cui io mi auguro che il libro fisico non sparisca mai e gli ultimi dati statistici dicono che nell’ultimo anno le vendite dei libri hanno superato nettamente gli acquisti digitali. È una bella notizia, spero che continui così.

Ringraziamo Michele e concludiamo con una breve considerazione: la tecnologia è importante e rappresenta un aiuto da considerare, ma nelle giuste dosi, però la carta è il “supporto” che permetterà alla memoria di conservarsi nei secoli, lasciando una traccia del passaggio del genere umano sulla Terra.

Invitiamo gli appassionati del settore a scoprire lo stile di Michele Larotonda e del suo Barnabò e auspichiamo che l’ispirazione armi la sua mano di penna e di tastiera per continuare a raccontare esperienze di vita in nuovi romanzi.tutto quello che non ti ho detto