Una mostra alla Biblioteca Universitaria di Pavia ripercorre la storia dei 711 incunaboli conservati nella città lombarda.

La Biblioteca Universitaria di Pavia, attraverso Davide Maritini, Pier Luigi Mulas e Maria Cristina Regali, ha curato una mostra dedicata agli incunaboli: “All’alba della stampa. Itinerari tra gli incunaboli della Biblioteca Universitaria di Pavia“. È stata anche occasione per illustrare l’origine della biblioteca, legata alla riforma del sistema d’istruzione pubblica e universitaria, voluta dall’imperatrice Maria Teresa a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. La Biblioteca fu istituita nel 1754 in supporto alle attività dell’Università: un luogo che profuma di Storia e che merita di essere visitato. Chi la frequenta abitualmente, è probabile che non si renda neanche più conto di quanto sia ricca e di quale fascino sprigionino le scaffalature in legno, i ballatoi con la ringhiera arrotondata, voluta da Maria Teresa per permettere ai ragazzi di muoversi più agevolmente durante la consultazione dei testi.

Incunabolo, dal latino incunabulum che significa in culla, è il nome dato ai primi prodotti della tipografia, dalle origini al 1500, detti anche quattrocentine. Il termine fu usato per la prima volta con questo significato da B. von Mallinckrodt in un trattato sull’arte tipografica, stampato a Colonia nel 1639. Il primo incunabolo è la Bibbia latina che J. Gutenberg stampò a Magonza nel 1453-55 *. In Italia i primi incunaboli furono prodotti nel1464-65 a Subiaco dai magontini K. Schweineim e A. Pannartz. In precedenza erano stati stampati solo libri tabellari e fogli isolati.
L’incunabolo richiama una nuova era, anche se non riesce ancora a distaccarsi dal codice manoscritto, al quale si rifà e da cui riprende il contenuto. I testi classici di epoca romana e greca venivano infatti copiati, e quelli greci, tradotti in latino. E quindi, dei codici riproponevano anche la scrittura. I caratteri mobili dovettero inizialmente mantenere le sembianze della scrittura antica a mano per non allontanarsi dai manoscritti; la lettera gotica e il frontespizio attesero ancora qualche decennio prima di comparire come fonte delle principali notizie tipografiche ed editoriali. Nell’incunabolo, infatti, il titolo e l’autore erano contenuti nell’incipit del testo, mentre le note tipografiche ed editoriali costituivano il colophon, posto alla fine dello stesso.

Rapida espansione della tipografia

Ma veniamo alla mostra. Sono esposti i primi libri a stampa, che si incuneano tra la produzione manoscritta e i libri a stampa, prodotti tra il 1455 e il 1500. In questi primi 50 anni della stampa furono attive in tutta Europa oltre cinquecento tipografie, con una produzione di circa 30.000 edizioni. Oggi ne restano, sparse nel mondo, circa 450.000 esemplari, di cui circa 110.000 in Italia, dove furono impressi più di un terzo del totale degli incunaboli.
La Biblioteca di Pavia ne conserva 711. Lo studio e l’esposizione di questi preziosi esemplari sono promossi grazie al progetto nazionale PRIN2017 “L’alba dell’editoria italiana. Tecnologia, testi e libri nell’Italia centrale e settentrionale nel XV e XVI secolo”. È un progetto di ricerca finanziato dal MIUR al quale collaborano anche gli atenei de la Cattolica di Milano, l’Università di Bologna, LUMSA di Roma e Udine.

I tre itinerari

L’esposizione si snoda su tre itinerari: gli incunaboli pavesi, quelli miniati e quelli bolognesi. La completano gli incunaboli delle “tre corone”, Dante, Petrarca e Boccaccio, considerati apice di purezza poetica e linguistica, modello per la lingua italiana.

Gli incunaboli pavesi hanno ereditato molto dalla tradizione manoscritta. Le iniziali fogliacee, i campi in lamina d’oro, i bianchi girari intorno ai capilettera e gli stemmi caratterizzano gli incunaboli miniati, dove l’uso di personalizzare i libri con ornati dipinti, passa dalle carte manoscritte alle pagine impresse, senza soluzione di continuità. Il luogo di stampa e quello di esecuzione delle miniature non sempre coincidono.
Gli incunaboli bolognesi evidenziano l’importanza che la città di Bologna riveste nella storia della stampa in Italia. Nel periodo tra l’introduzione della stampa in Europa, fino alle soglie del XVI secolo, in città si contano più di cinquanta tipografi, perlopiù italiani, che diedero luce a oltre cinquecento edizioni sugli argomenti più vari, da quelli destinati agli studenti e professori del fiorente polo universitario, all’editoria funzionale, al mecenatismo dei Bentivoglio, Signori di Bologna, alle opere impresse di ampia diffusione, destinate al pubblico di notai, professionisti e mercanti.

La marca tipografica

La marca tipografica contraddistingue gli incunaboli stampati da ogni tipografo come un vero e proprio marchio di fabbrica. Allo stampatore era indispensabile per farsi riconoscere e ottenere pubblicità per quotarsi a livello professionale.
Con i suoi motti, le insegne e i monogrammi, la marca tipografica si prestò anche a funzioni decorative, soprattutto quando conquistò un posto sul frontespizio, abbandonando quello alla fine del testo, adottato inizialmente a imitazione dell’explicit dei manoscritti. Nel corso del tempo, i tipografi apportarono spesso modifiche alla loro marca per renderla sempre più riconoscibile.
Un esempio ce lo fornisce Leonardo Gerla [Leonardo Arnaldo Ganda de Gerlis], tipografo, libraio, editore e bidello dell’Ateneo pavese, professione cruciale per chi stampava libri, in quanto permetteva di conoscere in anteprima i titoli necessari a docenti e studenti e di valutare il loro potenziale di vendita in base al numero degli iscritti ai corsi e all’influenza dei docenti, che erano spesso anche gli autori.

Fig.1 Marca di Leonardo Gerla prima e seconda versione

La marca di Leonardo, una gerla appunto, nella prima e seconda versione

Il Liber chronicarum di Schedel, con oltre 1800 xilografie, è il libro più riccamente illustrato del XV secolo. È una sorta di summa enciclopedica sulla storia del mondo che, in base al racconto biblico, è suddiviso in sette epoche. Il suo autore fu uno dei primi cartografi a utilizzare la tecnica della stampa. Ciò che rende prezioso questo incunabolo è la complessità della composizione delle pagine in cui lo stampatore Anton Koberger di Norimberga (padrino e maestro di Albrecht Dürer) alterna illustrazioni e testo con grande maestrìa.
Il Liber chronicarum, dedica un’incisione xilografica a Pavia, accompagnata da un testo, che narra la sua storia a partire dalle origini. Molti sono i dettagli sul passato longobardo e sugli edifici religiosi, che però non sono rappresentati nell’illustrazione: la stessa matrice xilografica è stata utilizzata per raffigurare altre città, com’era pratica corrente all’epoca della composizione tipografica dell’incunabolo di Schedel.
Dai confronti iconografici, risulta che la xilografia della veduta di Pavia è stata impressa dalla stessa matrice lignea utilizzata anche per Atene e altre città greche.

Liber Chronicarum di Schede

Liber Chronicarum di Schedel

Alternanza cromatica

La lettura di un testo in caratteri gotici non era facile, ma poteva essere agevolata dal succedersi dei colori rosso e blu che indicavano i capoversi. L’alternanza cromatica aiutava a individuare le righe e a localizzare le porzioni di testo.
Il volume di Nicolò Tedeschi è rappresentativo della tipografia religiosa e filosofica pavese, che si concentrò negli anni Ottanta del Quattrocento. L’editoria religiosa crebbe soprattutto grazie all’impulso degli ecclesiastici pavesi che commissionarono i testi di cui erano i principali destinatari.

Lectura super quinque libros Decretalium

Lectura super quinque libros Decretalium di Nicolò Tedeschi, stampato da Francesco Girardengo

Il romano sostituisce il gotico

Il testo a due colonne, con margine per le postille del lettore, spazi per le iniziali decorate e il formato in folio contraddistinguono i libri di medicina a Pavia, dove il carattere utilizzato è insolitamente quello romano, più leggibile del gotico. Questa scelta può celare l’intento di rendere il testo fruibile da un pubblico più ampio, accrescendo così la fama dell’autore.
Rispetto all’impaginazione a una colonna, questa richiedeva maggior impegno e abilità, tanto che il lavorante poteva ambire a una paga più alta. Negli anni Ottanta del XV secolo, Damiano Confalonieri, tra i primi a stampare opere di medicina a Pavia, pagava 13 lire per le “fazatas simplices”, contro le 16 lire per le “duplices”.

L’impaginazione a una colonna era una delle soluzioni adottate dai tipografi, non solo pavesi, per stampare libri di piccolo formato, affinché fossero appaganti esteticamente e funzionali, ovvero pratici.

Fig.4 Libro di medicina in folio su due colonne di Giiovanni M. Ferrari

Consilia de diversis aegritudinibus di Giovanni Matteo Ferrari, stampato da Confalonieri.

Tra i testi medici a uso accademico, il Sermones medicinales di Nicolò Falcucci fu tra i più costosi in città. Comportò la stampa di oltre 1500 carte in folio per ciascun esemplare. Poiché si trattava di un’opera in più tomi e considerando che una tiratura prevedeva 300-700 copie, l’impresa comportò l’uso di una quantità spropositata di carta e l’intervento editoriale di Giovanni Antonio Bassini per sostenere la spesa. L’impresa fu onerosa ma, nonostante l’opera fosse poco diffusa a stampa, era degna di conoscenza ed ebbe un discreto successo.

Fig.5 Sermones medicinales di Nicolò Falcucci

Sermones di Nicolò Falcucci

Nell’impresa editoriale di Francesco San Pietro, troviamo, a differenza dei suoi colleghi, l’intento di intercettare un pubblico diverso, lontano dall’ambiente universitario, ed è quindi alla ricerca di una migliore leggibilità. Stampò libri di diritto in caratteri romani, che incrementarono le vendite del tipografo.

Fig.6 Hec supradicte sunt omnes... stampato da F. San PietrojpgHec supradicte sunt omnes rubrice iuris civilis per alphabetu, stampato da Francesco San Pietro.

Si passa poi alle edizioni in formato ridotto, come Martyrologium, che ha un impatto visivo piacevole grazie all’alternanza di caratteri maiuscoli e minuscoli che creano spazi bianchi, alleggerendo lo specchio di stampa e all’avvicendarsi del rosso e del nero. La stampa a due colori, se da un lato conferisce eleganza all’incunabolo, dall’altra risulta una soluzione complessa perché comporta la necessità di inchiostrare e stampare lo stesso foglio in due riprese, una per colore. Impone un raddoppio dei tempi e un più alto costo, per cui era riservata a testi di particolare rilievo, come i libri liturgici che potevano contare su un mercato stabile.

Fig.7 Martyrologium

Martyrologium stampato da Francesco di Girardengo

 

Fig.9 Incunaboli miniati

Codici miniati

Passando agli incunaboli miniati, il Commentum super quarto libro Sententiarum Petri Lombardi, del teologo Richard of Middleton, contiene elaborate riflessioni sull’etica dei contratti e delle rendite. Il frontespizio miniato è di notevole qualità e richiama i modelli elaborati sui fogli della famosa Bibbia del duca Borso d’Este: i fregi filigranati dal tracciato regolare e fitto come una trina, i volumi lisci dai riflessi metallici, che si apprezzano nei fiori e nei frutti sferici del margine inferiore, gli animali dipinti in medaglioni e, infine, i toni freddi e luminosi della tavolozza. Le iniziali filigranate tracciate a inchiostro completano la decorazione del volume.
Nel Quattrocento, le iniziali e gli altri elementi accessori (cornici, rubriche, titoli) potevano essere aggiunti a mano, copia per copia, in un momento successivo alla stampa del libro.
Fig.8 Commentum super quartoCommentum super quarto

 

Expositio in primun librum Canonis Avicennae

L’assenza di frontespizio, come abbiamo detto, è una caratteristica tipica degli incunaboli. Spesso il nome dell’autore è fuso con il testo in una frase che contiene anche l’indicazione della materia trattata o il titolo del libro, così come accadeva nei manoscritti. Lo possiamo notare nell’incipit del primo libro di Avicenna di Giacomo della Torre.

Passando infine alle xilografie che impreziosirono i primi libri, ci sono le opere di Dante e Petrarca, di cui mostriamo alcuni esemplari ricchi di belle xilografie a tutta pagina.

Fig.11 Dante Aighieri La Divina Commedia

Dante Alighieri e la Divina Commedia

Fig.12 Francesco Petrarca I Trionfi

Francesco Petrarca e I Trionfi

La mostra sarà aperta fino al 24 maggio, dal lunedì al venerdì – dalle 8.30 alle 18.30 e il sabato dalle 8.30 alle 13.30.

* Per chi fosse interessato ad approfondire rimandiamo ai nostri articoli sulla Prototipografia.