Quella che racconto qui è una storia che presenta risvolti contrastanti. Da quello, più importante, molto positivo per come un gruppo di persone di buona volontà ha saputo trasformare quello che poteva essere un dramma in una iniziativa vincente; a quello, meno edificante, di come a volte raccontare le cose come stanno possa danneggiare una carriera.

L’episodio cui mi riferisco fu vissuto personalmente più di 40 anni fa. Posso parlarne perché ormai tutti gli attori, sono in pensione, e oltre.

All’epoca ero responsabile della comunicazione in una grande industria che operava nei settori dell’industria, dell’edilizia e dell’ingegneria mineraria. I suoi clienti italiani, molto vari, spaziavano dal gruppo Fiat alla Martini&Rossi, dalle grandi imprese che costruivano le autostrade e ferrovie in Italia, a quelle che lavoravano in giro per il mondo per la costruzione di grandi dighe, ponti e gallerie.

Oltre a curare la documentazione tecnica sulle macchine, gestivo la rivista aziendale, anzi due: una dedicata all’industria, l’altra all’ingegneria civile e miniere. Un lavoro che mi appassionava, per l’opportunità che mi dava di visitare opere fondamentali per la crescita del Paese: il tunnel autostradale del Frejus, la Direttissima Firenze-Roma, l’autostrada della Cisa. E tanto altro.

Tra questi servizi di documentazione un giorno fui invitato a visitare, in Liguria, una miniera di manganese: Gambatesa. Aperta nel 1878, era una miniera apparentemente piuttosto piccola, ma che con uno sviluppo di gallerie al suo interno di circa 25 chilometri su sette livelli, era la più importante miniera di manganese d’Europa per l’elevato tenore di Mn contenuto nel minerale (la braunite) da cui era estratto il metallo.
Ne fui felicissimo perché in quella valle poco nota avevo svolto le mie ricerche per la tesi di laurea pochi anni prima, per documentare le successioni dalle ofioliti di base alle arenarie del Monte Zatta. Era la Val Graveglia, che si trova nell’entroterra di Lavagna, nel ponente ligure, tra i monti Zatta, Chiappozzo, Gòttero. Una valle pressoché chiusa – sbocca al Passo del Biscia, che già il nome non ispira, da cui si accede a Varese Ligure – e che ospita alcune piccole borgate, sconosciute ai più.

La miniera era, in quegli anni, di proprietà di una grande impresa statale con sede a Genova. La quale impresa, valutando la miniera improduttiva – o più precisamente, non economicamente vantaggiosa, – aveva deciso di chiuderla, licenziando tutti coloro che vi lavoravano, dal direttore al geologo e a tutti i minatori. Non molte persone, in realtà, ma famiglie, alle quali non aveva offerto alcuna alternativa, anche perché i minatori erano tutti abitanti della zona. Va ricordato, infatti, che siamo in una regione nota per le cave di ardesia, e quindi qui c’era una tradizione radicata per quel genere di lavoro.

Il direttore e tutti gli operai avevano quindi deciso di mantenere attiva la miniera, costituendosi in cooperativa. Quando mi recai in visita il direttore mi disse che la decisione di formare una cooperativa era stata unanime, anche se non ben vista della azienda, che ne era stata proprietaria (o meglio concessionaria). Ma mi disse anche che il loro obiettivo non era tanto l’estrazione di manganese, quanto l’idea di trasformarla in parco geologico, un museo all’aperto (all’aperto si fa per dire visto che in realtà si deve scendere nelle viscere della terra).

E così fecero. Il Museo ebbe successo e fu ampiamente visitato soprattutto dai ragazzi delle scuole dell’intera regione. E lo è tuttora dopo diverse vicissitudini legate a leggi e concessioni, ben raccontate nel sito web della Miniera.

miniera_gambatesa_val_graveglia

Una galleria della Miniera di Gambatesa in Val Graveglia – foto Claudio Pia, Nature Photographer  (per gentile concessione)  www.claudiopia.it 

Un servizio non gradito

Nel mio servizio mi limitai, oltre a una descrizione storica e geologica della miniera, a mettere in evidenza come un sito non ‘vantaggiosamente produttivo’ per una grande industria, può esserlo, visto sotto una luce culturale e didattica.

Una volta pubblicato l’articolo sulla rivista aziendale, il più importante mensile italiano del settore mi chiese il permesso di pubblicarlo. Ne parlai al mio capo – che gestiva il marketing e la pubblicità – il quale si disse d’accordo.

Quando la rivista in questione era ormai prossima alla stampa, dopo aver arricchito il servizio con ottime fotografie, venne l’ordine dalla direzione di sospendere tutto, perché la ‘grande azienda’ non aveva gradito l’articolo che avevamo da poco pubblicato sulla nostra rivista aziendale. Minacciando anche [sic] di annullare tutte le commesse in corso con la nostra azienda e di passare alla concorrenza. Un vero ricatto.

Fui chiamato in direzione e l’allora ad, che da pochi mesi aveva assunto quella posizione, mi fece una romanzina, ventilando persino l’ipotesi che io fossi stato pagato (leggi corrotto) per pubblicare quel servizio. Detto tra parentesi il servizio era stato richiesto dal capo filiale di Genova della nostra azienda perché lo riteneva, giustamente, di sicuro interesse per la rivista aziendale. E forse anche per dare una mano alla neonata cooperativa.

Per evitare la pubblicazione dell’articolo sulla rivista nazionale, fummo costretti ad acquistare alcune pagine di pubblicità per coprire lo spazio ormai compromesso, mancando il tempo per proporre un articolo alternativo. Quella rivista pubblicava volentieri miei articoli e in seguito divenni un loro costante collaboratore. Tra gli altri, pubblicò un mio articolo piuttosto ‘delicato’ su un lavoro di scavo per una galleria autostradale nei pressi del Lago Maggiore. Qui, una errata valutazione geognostica – o meglio l’aver trascurato le preoccupazioni del geologo che aveva condotto il rilevamento, trovando all’interno della montagna roccia milonitizzata e quindi inconsistente – aveva costretto l’interruzione dei lavori per effettuare costosissimi interventi strutturali di consolidamento (questo è stato lo spunto per un mio romanzo scritto anni dopo e tuttora inedito in Italia).

Dopo questo episodio fui ‘quasi’ invitato a presentare le mie dimissioni, in quando il nuovo amministratore delegato non gradiva la mia presenza. Fortuna vuole che il precedente ad, da poco in pensione, venuto a conoscenza del fatto e conoscendo bene la mia etica professionale, mi diede l’opportunità di valutare un’offerta presso un’altra azienda. Ma questa è un’altra storia.

Qual è la morale di questo racconto? A volte fare il proprio lavoro con coscienza e, soprattutto, con entusiasmo, non paga. Purtroppo nel mondo del lavoro, come in tanti altri ambiti, si fa carriera con la prudenza dello ‘yesman’. Ma questo non mi è mai piaciuto.

Miniera_di_Gambatesa

Miniera di Gambatesa (Ne) ingresso galleria Cadorin